[20/08/2012] News

Il futuro è dei green jobs: le risorse ci sono, ma vengono mangiate dall’evasione fiscale

Monti vede la fine della crisi. Forse perché sbaglia dove guardare

Sono 450mila gli occupati che dal 2007 la crisi si è scrollata di dosso, in Italia. Su una popolazione totale di 60,8 milioni di residenti, sono soltanto poco più di un terzo (22,3 milioni di persone) coloro che conservano il posto di lavoro. I dati snocciolati dall'Eurostat, e riproposti da Fubini sul Corriere della Sera, stridono e non poco con l'uscita di Mario Monti al Meeting di Comunione e Liberazione, ieri a Rimini. Davanti ad un'assemblea di giovani ciellini, il premier torna sul tema della «generazione perduta», affermando che un'intera generazione sta pagando il conto salatissimo del disimpegno delle classi politiche degli ultimi anni», e si chiede: «Siamo veramente in crisi? Io vedo avvicinarsi il momento in cui se ne esce». Lo ribadisce oggi il ministro Passera. Vorremmo vederlo anche noi.

Quel che sembra più evidente è, piuttosto, che ancora nessuno ha ben chiaro la strada da imboccare per uscire dalla crisi, che continua dal 2007. La proposta di un nuovo modello economico più equo ed inclusivo, centrato sul fulcro della sostenibilità economica, ecologica e sociale è, sulla carta, l'unico che non proponga una strategia d'uscita al ribasso per i cittadini e l'ambiente. Secondo i dati resi noti dall'Ilo (l'Organizzazione internazionale del lavoro, un'agenzia delle Nazioni Unite) prima dell'estate, il passaggio «verso una economia più verde potrebbe generare tra i 15 e i 60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo nei prossimi vent'anni e aiuterebbe decine di milioni di lavoratori ad uscire dalla povertà».

Molto più che una boccata d'ossigeno, che manca sempre più alle economie mature dell'eurozona. I risultati del rapporto Ilo Green Jobs per lo sviluppo sostenibile. Il caso della Spagna mettono in evidenza che politiche adeguate permetterebbero di creare 2 milioni di nuovi posti di lavoro in terra iberica da qui al 2020. « L'economia verde offre una buona opportunità per aumentare la competitività, promuovere la creazione di posti di lavoro di qualità e ridurre l'impatto ambientale dell'economia», ha commentato in proposito Joaquín Nieto, responsabile Ilo per Madrid.

Il lamento è quello di non avere abbastanza risorse a disposizione, con i conti pubblici in crisi, per incentivare l'economia verde con politiche di stampo keynesiano. Eppure, secondo l'Unep (United Nations Environment programme, basterebbe un investimento di lungo periodo «del 2% del Pil mondiale (in media, 1.300 mld di dollari l'anno, ndr) in 10 settori economici chiave» per produrre «una transizione dal nostro modello economico attuale (inquinante e inefficace) verso una green economy». Dove trovare tutti questi soldi? Trovare una risposta non è facile, ma ci sono più opzioni aperte sul tavolo: sembrano anche solo frutto del buon senso quelle che passano per una più equa ripartizione del carico fiscale e dalla lotta all'evasione fiscale.

In occasione del suo incontro con il presidente della Confederazione elvetica, pochi giorni fa, Mario Monti ha dichiarato «guerra» contro l'evasione fiscale, ma l'accordo fiscale che si vuol stipulare con la Svizzera, sul modello di quello tedesco e britannico non convince del tutto (tanto che la Spd, in Germania, lo definisce già «morto», ancor prima che diventi operativo). L'abolizione del segreto bancario è lontana, e intanto - secondo il recente rapporto dell'organizzazione britannica Tax Justice Network - nei paradisi fiscali è depositata la cifra record di 21mila miliardi di dollari evasi al fisco (senza contare le proprietà mobiliari ed immobiliari, che alzano l'asticella a quota 32mila miliardi di dollari).  

Dunque, le risorse per avviare un serio e globale processo di riforma economica, che rilanci lo sviluppo globale in termini di sostenibilità, ci sono. Per una risposta globale - l'unica che possa mostrarsi davvero incisiva - presuppone però domande globali, prima ancora che delle risposte. Più che ostacoli insormontabili, troviamo su questo cammino allarmanti semplificazioni: contro una crisi di civiltà è necessario agire insieme per trovare una soluzione. L'alternativa è rimanere al palo, ed aspettare che la buriana della crisi passi lasciando dietro di sé macerie sociali di quello che veniva dipinto con una certa spocchia come il "migliore dei mondi possibili".

 

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