[15/10/2012] News
Dalla tana del leone arriva, forse, una tregua rivolta alla vittima sacrificale per eccellenza di questa nuova Europa da premio Nobel per la pace. Il settimanale tedesco Der Spiegel riporta infatti che l'altera Troika - composta da Fmi, Bce, Ue - ritenga adesso opportuno concedere alla Grecia una dilazione temporale: due anni in più per portare a termine il piano di austerity che già sta flagellando la società ellenica. Vedremo se l'indiscrezione sarà confermata, e come verrà accolta dai falchi del nord. Rappresenterebbe comunque un passo avanti, ricalcando le impronte già lasciate da Christine Lagarde - direttore generale del Fondo monetario internazionale - che da Tokyo ha ingranato (con qualche ritardo) la retromarcia sul primato dell'austerità: «La storia ci insegna chiaramente una lezione: è incredibilmente difficile ridurre il debito pubblico senza crescita».
«A questo punto - scrive con ironia Fabrizio Galimberti sul Sole24Ore - si apre quel dibattito che avrebbe fatto cascare le braccia a Keynes. C'è - o, per fortuna, c'era - una scuola di pensiero dell'"austerità espansionista" che suona così: riducete il deficit e l'economia ripartirà, perché famiglie e imprese, confortate da queste "coraggiose" misure, ritroveranno fiducia e voglia di spendere: la maggiore spesa privata si sostituirà alla minore spesa pubblica e l'economia, alleggerita e salubre, ritroverà la via della crescita». Raccontata così, la storia ha in effetti i toni della barzelletta. Ma «questa è stata specialmente la posizione della Germania» e, almeno ufficialmente, lo è ancora. Anche in Italia (e sullo stesso Sole24Ore, il principale quotidiano economico del Paese) mantiene ancora numerosi adepti: ma non per molto, c'è da sperare, anche se l'ultima manovra varata dal governo Monti non lascia certo segnali incoraggianti in tal senso.
I poderosi fardelli accollati sulle spalle dei cittadini europei dal 2007 ad oggi non stanno dunque portando la sperata ripresa economica, anzi. L'unica cosa che è vertiginosamente aumentata è la dimensione dei debiti pubblici, già grandemente sofferenti per i 1600 miliardi di euro che sono stati elargiti in tre anni - dal 2007 al 2010 - per puntellare il sistema finanziario. In cinque anni, e nonostante tagli alla spesa pubblica e aggravi d'imposta, il debito pubblico è aumentato del 20% in Italia, del 42% in Francia, del 58% in Grecia, del 74% in Portogallo, del 123% in Spagna, del 368% in Irlanda.
In economia, si sa, i numeri sono importanti, e si viene così ad ammettere che il grande perché dell'austerità che non funziona è relegato in un paragrafo a cura del capo-economista del Fmi, Olivier Blanchard, all'interno dell'ultimo World Economic Outlook stilato dal Fondo. Come riporta ancora il Sole24Ore, qui si sostiene che «i moltiplicatori fiscali sono stati sottostimati. Cosa vuol dire? Vuol dire che quando si prendono misure restrittive, per ridurre i deficit, mettiamo, di 100, si sa che l'economia ne sarà, in prima battuta, danneggiata, poco o tanto. E questo danno veniva quantificato in genere con un moltiplicatore di 0,5: cioè a dire, una riduzione del deficit di 100 riduceva il Pil di 50.
Un sacrificio, dicevano i fan dell'austerità, accettabile se vale a riportare i conti sulla retta via. Ma cosa succede se invece il moltiplicatore è di 1,5? Se una riduzione di 100 del deficit riduce il Pil di 150? Succede che il bilancio non si risana mai, perché il Pil minore riduce le entrate fiscali e crea disoccupazione, con le conseguenze che già sappiamo. E il Fmi ha appunto calcolato che, col senno di poi, i moltiplicatori fiscali possono essere stimati a livelli tra 0,9 e 1,7! Tutto questo rappresenta una grande rivendicazione delle teorie keynesiane».
Come a dire: ci spiace, abbiamo fatto male i conti. Ma quei trascurabili punti percentuali - tra 0,4 e 1,2, che sarà mai! - hanno in questi anni condotto alla disperazione intere fette della società europea. Si abbia adesso il coraggio anche di cambiare strada, dopo aver ammesso lo sbaglio. Attualizzare il buon vecchio Keynes (Ritratto nella vignetta), tingendolo di verde ed indirizzando risorse e pubblica volontà verso un progetto di sviluppo che guardi ad una rinascita industriale europea basata su tecnologie e orizzonti sostenibili è il prossimo passo che sarebbe legittimo attendersi, e per il quale è necessario continuare a spingere.