[23/10/2012] News
Ad ogni manovra una nuova sforbiciata. Quando i conti pubblici traballano, il settore della conoscenza è il primo a soffrirne: che si tratti di scuola, università o ricerca, si contrappone la logica dell'emergenza a quella degli investimenti necessari a formare cittadini migliori, più consapevoli e - perché no - economicamente più produttivi. Anche se per avere un quadro aggiornato dovremo aspettare il 2013, dalla conclusione nel 2005 dello studio All (Adult Literacy and Life Skills - Competenze alfabetiche funzionali e abilità per la vita), condotto sotto il cappello dell'Ocse e curato in Italia da Vittoria Gallina, lo sconforto rimane lo stesso.
«Parliamo di casi di analfabetismo funzionale, o di illetteratismo, nei casi di persone che hanno avuto occasione di sperimentare un percorso scolastico, anche molto breve - commenta Vittoria Gallina (docente dell'Università la Sapienza di Roma e Roma3, Nella foto), contattata da greenreport.it - ma hanno comunque una modalità estremamente ridotta di usare gli strumenti appresi». I profili culturali sono ricavati dall'analisi di 3 diverse competenze: prose e document literacy, competenza alfabetica funzionale; numeracy, competenza matematica funzionale; problem solving, capacità di analisi e soluzione di problemi. Su una scala di 5 livelli in cui viene valutata la competenza alfabetica, il livello 3 è quello che permette al cittadino di avere un uso abbastanza solido della lettura e della scrittura, tanto da permettere loro non solo di non perdere le competenze già acquisite, ma da permettergli - volendo - di arricchirle e «di interagire in modo efficace nei contesti di vita e di lavoro».
In sostanza, il livello 3 è indicato come un livello zero, minimo: bene, in Italia soltanto il 25% della popolazione circa rientra nei livelli 3, 4 e 5. I livelli 1 e 2, quindi racchiudono i ¾ della popolazione studiata, suddivisi in un «5% di popolazione che pur avendo frequentato la scuola presenta fenomeni gravi di regressione culturale al limite dell'analfabetismo, e una massa, circa il 70% della popolazione, che ha competenze estremamente limitate».
Certo, influisce molto che l'obbligo scolastico sia stato portato a 10 anni, in Italia, solo nel 2007, ma «non è un problema che si risolverà automaticamente quando le persone più anziane spariranno dal campione: ancora adesso già un grave fenomeno di dispersione scolastica, e abbiamo anche giovani a cui diamo un titolo della scuola dell'obbligo ma che hanno competenze limitate». Un problema non solo italiano, ma che ci vede particolarmente indietro rispetto ad altri Paesi Ocse.
E se parlare di sostenibilità è prendere coscienza degli scambi che regolano i rapporti tra economia, società e ambiente, come può una società dell'ignoranza aspirare a metabolizzare un tema così intrinsecamente complesso? Dalle scuole elementari ad un progetto di lifelong learning, «la scuola a ogni livello diventa fondamentale, perché lì si forma il cittadino, ma non c'è bisogno di essere laureati per capire concetti complessi. È un nodo strategico per raddrizzare il nostro modo di vivere, produrre, consumare. Ma dobbiamo stare attenti a non ridurre il tutto sul piano delle semplificazioni ideologiche: occorre un'educazione civica non costruita sulle parole belle ma percorsi didattici mirati», che plasmino un sapere strutturato attinente alla realtà che sta dietro un'economia ecologica.
«È una partita molto seria. Siamo arrivati ad un limite dove non è più sostenibile andare avanti a colpi di réclame, propaganda e buone intenzioni, come sul tema dei rifiuti urbani: non serve una laurea per capire che il concetto "rifiuti zero" è propaganda. Una visione scientifica della realtà in senso ampio è alla base di una convivenza ragionata tra persone che si rispettano, senza cadere in discorsi moralistici o del tutto ideologici. Il rapporto con la realtà è un rapporto molto duro, che richiede di fare delle scelte, ma è quello che abbiamo di fronte». E che non possiamo illuderci di evitare rifugiandoci nel mondo delle illusioni.