[28/12/2012] News
L’agenda del professore, a parole, promette molto «green». Ma non pensa all’uguaglianza
«Nell'agenda Monti c'è molto pink e molto green», ha affermato lo stesso premier dimissionario in un momento di "autopromozione" del proprio progetto politico, riferendosi all'attenzione rivolta alle donne e al settore della green economy. Nella sua ormai famosa agenda, in effetti, per quanto riguarda il «green» è presente una sezione esplicitamente dedicata allo «Sfruttare tutto il potenziale dell'economia verde». Il paragrafetto contiene poche parole, ma alcune pesanti.
Spaziando dalla necessità di creare «una vera domanda alle materie "verdi"», alla promozione dell'innovazione «aprendo i mercati a prodotti realizzati con materiali riciclati» e un abbattimento degli «smaltimenti» in discarica, Mario Monti per una volta sembra invertire la tendenza pressoché universale a concentrare tutti i dibattiti sulla sostenibilità attorno ai flussi di energia, trascurando quelli di materia. In ogni modo, anche stavolta per quanto riguarda la materia ci si ferma al considerarla nella sua rinnovabilità, col riciclo. Sul risparmio e l'efficienza nell'utilizzo della materia che ogni anno viene metabolizzata dalla nostra economia il professore non si sofferma. Eppure l'ultimo dato Istat contabilizza in circa 2 miliardi di ton/anno tale flusso di materia, mentre la summa dei rifiuti prodotti viaggia attorno alle 150 milioni di ton/anno, di cui quelli urbani - differenziati e non - arrivano ai 30 milioni. "Material throughput, questo sconosciuto", avrebbe forse commentato il grande economista ecologico Herman Daly.
Un equilibrio tra materia ed energia, comunque, sembra lontano dall'essere raggiunto: in questa agenda sono le energie rinnovabili a rimanere completamente fuori discussione. E come potrebbe essere altrimenti, con una Strategia energetica nazionale - al momento "dispersa" - presentata dallo stesso governo Monti ma concentrata in prevalenza sull'utilizzo delle fonti fossili (con trivellazioni petrolifere et similia, a firma del ministro Corrado Passera)?
Bisognerebbe pure capire, poi, se nel «green» sponsorizzato da Monti ci stanno anche cose come la svendita del patrimonio pubblico e il taglio dei fondi ai parchi, le uniche vere agenzie territoriali di tutela del territorio, della biodiversità e dei servizi ecosistemici italiani senza i quali non c'è green economy, a meno di non scambiarla con una tecnocrazia con una mano di verde.
D'altronde, l'esecutivo nel suo complesso non sarà certo ricordato per la particolare brillantezza con la quale, nell'anno a disposizione, ha scaldato i motori al decollo dell'intero comparto della green economy in Italia. Date le scarse premesse - e i compagni di viaggio che si affiancano a Monti che non hanno certo un pedigree green-pink, vedi il tema dei diritti delle donne - è doveroso prendere con le molle i contenuti dell'agenda Monti su questo punto... e non solo su questo. Nella stessa agenda, infatti, Monti esalta la priorità dell'istruzione e della ricerca, mentre il suo governo lascia il campo pregiudicando «il funzionamento dell'intero sistema della formazione superiore» (è il giudizio dello stesso ministro dell'Istruzione di questo governo, Francesco Profumo).
Fatto sta che, a parole, nel suo programma Monti osserva adesso l'ineluttabilità della green economy: «L'economia verde non può essere "altro" dall'economia, ma è parte integrante dell'economia». Qualcosa di molto simile a quella «politica industriale integralmente ecologica» richiamata nella Carta d'intenti proposta a suo tempo dal Partito democratico. Vogliamo credere che dietro questa convergenza si nasconda più di una semplice coincidenza: dopo sei anni di crisi, la riconversione ecologica dell'economia comincia a ritagliarsi crescenti consensi non soltanto nella sfera della cultura, ma anche in quella della politica. Un'ulteriore conferma arriva dall'interesse che sono riusciti a catalizzare due importanti Stati generali tenutisi entrambi in questo 2012: quello della Green economy e quello della cultura. Entrambi apparentemente dimenticati, hanno raccolto e mobilitato forze quotidianamente latenti nel tessuto socioeconomico del Paese, e della loro esperienza (complementare) dobbiamo riuscire a far tesoro.
La scarsità e le fluttuazioni delle materie prime, la progressiva degradazione degli ecosistemi e l'avanzare dei cambiamenti climatici pressano per un cambiamento nel modello di sviluppo della nostra società che appare anche l'unico in grado di garantirci un massiccio rilancio dell'occupazione: le Nazioni unite, tramite l'Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) indicano chiaramente come una transizione «verso una economia più verde potrebbe generare tra i 15 e i 60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo nei prossimi vent'anni e aiuterebbe decine di milioni di lavoratori ad uscire dalla povertà».
L'attenzione rivolta anche dal programma Monti al settore della green economy risulta, quindi, comunque apprezzabile. Rivelando però una falla di non poco conto: la sostenibilità è insieme un obiettivo economico, ecologico e sociale, altrimenti non è. La parola "equità" è stata più volte sbandierata da Mario Monti, ma assai meno di frequente applicata. Da anni fette crescenti di patrimonio e reddito (e non solo a livello nazionale) vengono conquistate dalle fasce di popolazione già ricche, a scapito delle meno abbienti. Tassazione ed erogazione di servizi pubblici non riescono ad arginare questa tendenza, lasciando che la disuguaglianza aumenti: e più alta è questa sperequazione, maggiore è il freno posto allo sviluppo di tutta l'economia, e al benessere della società. Mario Monti sembra averlo dimenticato.
Sostenibilità e uguaglianza, legate dal filo della cultura e dell'innovazione, racchiudono dunque l'unica risposta che sappiamo dare di fronte alla crisi. Una risposta che, spesso confusamente, comincia ad affiorare anche sulle labbra della politica. Il nuovo anno che ci sta aspettando potrebbe rappresentare un deciso cambio di rotta verso questa direzione, come un possibile quanto nefasto ritorno all'inedia. Una scelta che, in ogni caso, avrà delle conseguenze. Come insegna l'economia ecologica, non esistono pasti gratis: non sprechiamo quest'ennesima occasione per cambiare.