[22/01/2013] News
Secondo l'organizzazione Onu la crisi ha mangiato 28 milioni di posti di lavoro. «L’indecisione dei politici» e la cieca austerità tra i principali responsabili
28 milioni di persone, quasi la metà dell'intera popolazione italiana. È l'amaro raccolto di disoccupati falciato nel mondo in questi anni, passati sotto la tempesta della crisi. E secondo i dati resi noti dall'Ilo, l'Organizzazione internazionale del lavoro (un'agenzia delle Nazioni Unite) all'interno del suo rapporto Global employment trends 2013, nonostante i disoccupati nel mondo raggiungano quasi i 200 milioni, l'incremento continuerà anche nell'anno appena iniziato. Ben 74 milioni di questi sono ragazze e ragazzi: per loro il tasso di disoccupazione arriva al 12,6% (in Italia, secondo l'Istat, è addirittura al 37,1%).
Sono numeri che fanno paura, e metà di questo aumento della disoccupazione (per circa 14 milioni di cittadini, quindi) è concentrato «nell'epicentro della crisi», ossia nelle economie avanzate - le nostre. Ma nel 2012 i ¾ l'incremento dei posti di lavoro persi si è concentrato «in altre regioni, con effetti marcati in Asia orientale, Asia meridionale e Africa sub-sahariana». La rete della globalizzazione intreccia così tutto il pianeta in questa discesa nella disoccupazione. Chi un lavoro ce l'ha ancora, inoltre, non può certo fregiarsi sempre di uno status "privilegiato". Nel mondo, «Attualmente circa 397 milioni i lavoratori vivono in condizioni di estrema povertà - tiene a sottolineare l'Ilo - e ulteriori 472 milioni i lavoratori non possono soddisfare le loro esigenze di base su base regolare».
Ma è una testimonianza, questa dell'Ilo, che non arriva purtroppo inaspettata. «Nel 2012 abbiamo perso duemila posti di lavoro al giorno e altri 500mila sono rischio nei prossimi mesi», aveva dichiarato nei giorni scorsi Luigi Angeletti, segretario della Uil, precisando che «Nel 2013 raggiungeremo i 3 milioni e mezzo di disoccupati». Tra le variegate cause di questa discesa infinita, l'Ilo mette ai primi posti la manchevolezza della politica: «L'indecisione dei politici in diversi paesi ha portato ad incertezze sulle condizioni future e rafforzato le tendenze aziendali all'aumento della liquidità o al pagamento dei pagamenti, piuttosto che all'espansione della loro capacità di assumere nuovi lavoratori».
L'austerità, secondo l'organizzazione Onu, non è la risposta. «Le misure di austerità e i tentativi non coordinati per promuovere la competitività in diversi paesi europei hanno aumentato il rischio di una spirale deflazionistica dei salari più bassi, indebolito i consumi e reso vacillante la domanda globale». I vari paesi, dunque, dovrebbero piuttosto procedere in un consolidamento fiscale che tenga conto «la forza sottostante» della loro economia, ma riconoscendo che uno «stimolo a breve termine può essere necessario per crescere» e sanare gli oneri del debito. Dopo l'abiura del Fondo monetario internazionale, rispolverare le "vecchie ricette" keynesiane non è più tabù ma, anzi, è tornato ad essere un percorso consigliato. Che non sarà però possibile da percorrere in solitaria: le azioni politiche dovranno infatti «essere meglio coordinate a livello globale al fine di riequilibrare la crescita e favorire motori di crescita multipolari».
Come testimoniano le fosche previsione per l'occupazione in questo 2013, la strada rimane comunque in salita. Il logoro giocattolo del vecchio modello di sviluppo è rotto, e non risulta affatto semplice raccogliere a piene mani il coraggio per provare a sostituirlo con un rinnovato paradigma sostenibile. Ma la strada sembra segnata.
Già in un noto rapporto dello scorso anno, l'Ilo delineò un chiaro scenario: il passaggio «verso una economia più verde potrebbe generare tra i 15 e i 60 milioni di nuovi posti di lavoro nel mondo nei prossimi vent'anni e aiuterebbe decine di milioni di lavoratori ad uscire dalla povertà». Per quanto riguarda l'Unione europea in particolare, la stessa organizzazione ribadisce adesso, ancora una volta, che «nuove fonti di crescita dell'occupazione si prevedono nella green economy, nei servizi di assistenza sanitaria, e delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione». Un mondo che cambia (anche demograficamente) e sempre più interconnesso ci pone davanti a delle sfide che non possiamo permetterci di eludere: spetta ai suoi cittadini soffiare con decisione nella giusta direzione, in modo che anche «l'indecisione dei politici», alla fine, penda dalla parte migliore.