Come sarebbe oggi il mondo se l’uomo non vi avesse mai messo piede
In Europa lupi e orsi, ma anche alci, elefanti e rinoceronti
[21 Agosto 2015]
Dopo un breve ma tumultuoso percorso evolutivo, l’uomo – che condivide ancora il 98% del proprio Dna con i suoi parenti più prossimi, gli scimpanzé – è arrivato a occupare in natura un posto mai riservato ad altri animali. Per soddisfare le nostre esigenze materiali movimentiamo ogni anno 50-60 miliardi di tonnellate di roccia, pietre, sabbia e ghiaia, il triplo del quantitativo trascinato a mare da tutti i fiumi del mondo: il XXI secolo ci vede come una delle forze geologiche più determinanti del pianeta, tanto da suggerire il nome di Antropocene per l’epoca che stiamo vivendo.
Ciò ha condotto a uno straordinario progresso tecnologico e materiale (per quanto estremamente diseguale) per la nostra specie, a scapito però dell’equilibrio ecosistemico. Una dinamica che conduce a una domanda lecita: cosa sarebbe successo al pianeta, se l’essere umano non ne avesse mai calcato la superficie? Dare una risposta esaustiva a un interrogativo di tale portata è e probabilmente rimarrà impossibile, ma alcuni ricercatori sono riusciti ad offrire uno spaccato quantomeno parziale di un pianeta senza uomini.
Nello studio Historic and prehistoric human-driven extinctions have reshaped global mammal diversity patterns, pubblicato sulla rivista Diversity and distributions, Soren Faurby e Jens-Christian Svenning dell’università danese di Aarhus hanno presentato una mappa della distribuzione dei grandi mammiferi in un pianeta terra non sottoposto a influenza umana. Andando oltre la nota estinzione di massa della megafauna perpetrata in temi preistorici, e utilizzando modelli ambientali basati sulle stime della distribuzione naturale di ogni specie (in base alla propria ecologia, e alla biogeografia), lo studio fornisce una l’immagine di una biodiversità planetaria assai diversa da quella attuale.
Senza l’uomo, oggi l’Europa sarebbe probabilmente il territorio di caccia di lupi e orsi, ma assieme a loro sarebbero presenti anche alci europei, come pure elefanti e rinoceronti. Ma il «nord Europa è ben lungi dall’essere l’unico posto in cui gli esseri umani hanno ridotto la diversità dei mammiferi – spiega Svenning, del dipartimento di Bioscienze dell’università di Aarhus – Si tratta di un fenomeno mondiale e, nella maggior parte dei luoghi, c’è un grande deficit nella biodiversità dei mammiferi» rispetto a quella che sarebbe risultata senza l’influenza umana. Dopotutto, siamo noi l’unico superpredatore del pianeta.
Oggi, la maggior parte dei grandi mammiferi sopravvive in Africa. Questo, secondo i ricercatori di Aarhus, non dipende da un ambiente particolarmente generoso con i suoi ospiti, ma dal fatto che l’Africa è uno dei pochi posti al mondo dove l’attività umana non ha ancora spazzato via le altre specie. Simili riflessioni vengono declinate a proposito degli ambienti montani; come mai è proprio sui monti che possiamo trovare ancora lupi e orsi? La risposta che arriva dall’analisi dei ricercatori è che, almeno in parte, le vette sono servite come rifugio dal predominio umano.
Così non è andata, e l’evoluzione – prima endosomatica (ossia biologica) e poi esosomatica (tecnologica), come la definirebbe il pioniere dell’economia ecologica Georgescu-Roegen – ha condotto verso altre strade. Ma la ricerca danese, sottolineano gli autori, non vuole essere un mero esercizio di stile accademico. Accendere i riflettori sull’impatto che l’uomo produce sull’ecosistema è necessario per la conservazione della natura; e non una natura astratta, che non è mai esistita, ma per quella attuale che si regge su delicati equilibri, funzionali al nostro benessere e alla nostra sopravvivenza.