Ato Costa, quale Piano Straordinario per la gestione integrata dei rifiuti senza mercati di sbocco?
Senza un’economia che riesca a valorizzare il riciclo, le raccolte differenziate restano solo un costo
[28 Luglio 2014]
Nell’ultima riunione dell’assemblea dell’Ato Costa era prevista l’approvazione del Piano straordinario aggiornato. Il Piano straordinario, documento di 157 pagine, rappresenta uno strumento determinante per definire, possibilmente senza rilevanti margini d’incertezza, ciò che il nuovo gestore dovrà realizzare e gestire, il relativo quadro degli investimenti e la connessa ricaduta tariffaria, nonché gli “specifici compiti operativi” che devono essere affidati al socio privato di RetiAmbiente s.p.a. e che saranno individuati nell’ambito delle attività di realizzazione e gestione degli impianti.
Inoltre, il Piano straordinario non può prevedere nuovi impianti rispetto a quelli già inclusi nei preesistenti piani provinciali, e pertanto può solo indicare quali di essi devono essere realizzati prioritariamente e quali devono essere, comunque, posti a disposizione del nuovo gestore.
L’assemblea dell’Ato Costa doveva procedere all’aggiornamento del vigente Piano Straordinario e, quindi, rappresentare con certezza gli impegni e gli oneri ai quali dovrà far fronte il nuovo gestore che sarà individuato al termine della gara prevista.
Un documento di tale importanza sarebbe stato approvato nell’indifferenza generale se il sindaco di Livorno non avesse invece richiesto, con determinazione, di prorogare tale approvazione di 6 mesi per dare modo di approfondire le importanti tematiche oggetto del Piano Straordinario.
Tale proroga è stata deliberata dall’assemblea dell’Ato Costa; immediatamente, si sono attivati gli organi dell’Ato Costa organizzando, meglio tardi che mai, un seminario di approfondimento del contenuto di tale Piano Straordinario.
Mi preme pertanto fornire alcuni elementi di riflessione che spero siano utili nel dibattito che inevitabilmente si svilupperà nei prossimi mesi su questo Piano Straordinario.
Il Piano contiene:
1) l’organizzazione del sistema di gestione dei rifiuti nel periodo 2016-2020 e nella configurazione a regime;
2) la definizione per il periodo 2016 – 2020 dei flussi attesi agli impianti del sistema, previsti nel perimetro di gara o per i quali sono stipulate convenzioni;
3) le prescrizioni sulla cui base viene redatta la progettazione preliminare dei servizi di raccolta;
4) le prescrizioni sulla cui base viene redatta la progettazione prestazionale per l’impiantistica da realizzare, convertire o gestire all’interno del perimetro di gara;
5) la definizione del sistema di determinazione del corrispettivo del servizio e linee-guida sull’articolazione tariffaria;
6) la definizione dei costi standard e della produttività standard dei servizi posti a base della progettazione preliminare dei servizi;
7) la definizione degli investimenti attesi i costi standard dei servizi di recupero, trattamento e smaltimento considerando lo stato attuale dei costi, in via preliminare rispetto alla definizione dei costi attesa dalla progettazione prestazionale degli impianti.
Dalla lettura del documento emerge la chiara indicazione di impostare le nuove future raccolte con modalità tali da garantire il raggiungimento degli obiettivi minimi di recupero previsti dalle normative comunitarie e nazionali.
In tale contesto il Piano correttamente prevede la necessità di potenziare anche il personale necessario per le raccolte differenziate; ovviamente i maggiori costi che potessero determinarsi dovrebbero compensarsi con i benefici ottenuti dai minori costi di smaltimento, essendo le materie raccolte sostanzialmente destinate al recupero e riutilizzo.
Purtroppo però a valle di una tale dichiarazione di intenti non si trovano proposte coerenti. Per prima cosa, vorrei osservare che un sistema di raccolta differenziata così capillare per essere efficace dovrebbe essere molto vicino e coerente con le caratteristiche e le esigenze del territorio.
Si evidenzia subito come , in modo contradditorio, la guida di tale complesso sistema venga affidata ad un unico soggetto gestore su un territorio vasto e complesso come quello dell’Ato Costa, secondo l’antico convincimento della Regione Toscana che una gestione unitaria, come prevista dalla legge, debba necessariamente tradursi in un gestore unico, perdendo così la capacità di azione e di conoscenza che gli attuali, seppur piccoli, gestori hanno del proprio territorio.
Questo iniziale peccato originario ha purtroppo fortemente condizionato il dibattito di questi anni in Toscana; basterebbe guardare altre esperienze giuridiche delle altre regioni per vedere come , invece, stia prevalendo la convinzione che la direzione e il controllo di tali raccolte differenziate debbano necessariamente collegarsi a territori non troppo vasti (in Puglia si parla per esempio di ARO, ambiti di raccolta ottimali, costituiti da pochi comuni) anche prevedendo forme di gestione in house per tali raccolte.
Accettando comunque come oramai definito questo assetto giuridico (gestore unico e non gestione unitaria) rimane comunque da valutare gli effetti positivi della proposta di Piano straordinario sui costi e sull’economia del servizio.
In linea di principio, come dettano le norme europee e nazionali, le attività di recupero devono essere affidate al libero mercato.
Ciò è giustificato, qualora ce ne fosse bisogno, dalla consapevolezza che tali attività richiedono professionalità, esperienze imprenditoriali, capacità commerciali che solitamente non appartengono al mondo delle imprese nate e cresciute sulle attività di raccolta e smaltimento.
Basti ricordare, a puro titolo di esempio, come le aziende pubbliche che hanno realizzato impianti di compostaggio abbiano avuto sempre più attenzione alle esigenze di raccolta, producendo di fatto del compost che non ha mai avuto sbocco di mercato, e utilizzato alla fine quasi sempre per la copertura delle discariche.
In tale contesto, al contrario, le aziende nate dalle attività agricole o di produzione di ammendanti e compost, con un consolidato mercato e con certezza di utilizzo, hanno sempre avuto la possibilità di vendere o utilizzare tali prodotti, tutelando ovviamente la qualità finale, senza dover ricorrere a forme surrentizie di smaltimento.
Di ulteriori esempi se ne potrebbero fare ancora; ad esempio, l’utilizzo energetico delle biomasse costituite dalla frazione organica e biodegradabile dei rifiuti negli altri paesi europei è affidata ad un variegato e diffuso sistema di impianti anaerobici connessi alle aziende agricole o alle aziende di trasformazione agro-industriale, che possono facilmente integrare la loro attività di valorizzazione dei sottoprodotti con quella di valorizzazione della FORSU e degli scarti verdi.
In Italia poi alcuni anni fa erano state promosse interessanti iniziative nelle quali si prevedeva l’utilizzo dei digestori presenti nei depuratori anche per la frazione organica dei rifiuti (la cosiddetta codigestione anaerobica).
Nella Proposta di Piano Straordinario permane, purtroppo, la convinzione che le attività di recupero rientrino nella privativa comunale (in chiaro contrasto con tutte le norme vigenti e con i ripetuti interventi dell’Autorità di vigilanza sulla concorrenza), con particolare riferimento alla frazione organica dei rifiuti.
Per tale frazione, che non è marginale ma rappresento oltre il 40% dei rifiuti, si prevede di realizzare impianti di Piano sia di compostaggio che di digestione anaerobica. Dichiarare tali impianti di Piano vuol dire, di fatto, assumere nella tariffa la copertura dei costi, a prescindere dall’effettiva economicità della gestione degli stessi.
In pratica, come d’altronde è già successo in Versilia, i cittadini dovranno farsi carico, per un periodo bloccato e vincolato non inferiore a 15 anni, dei costi di investimento, di gestione, di manutenzione, in una spirale che li vede crescenti annualmente, come d’altronde lo stesso Piano prevede per effetto degli adeguamenti. Al soggetto gestore, o in alcuni casi alle stazioni appaltanti, viene demandato il compito di scegliere le migliori tecnologie e di prospettare il costo complessivo di conferimento.
In realtà, purtroppo, assistiamo spesso a soluzioni impiantistiche datate (ricordo ancora il dibattito negli anni 1998-99 sulla grande validità tecnologica dell’Inceneritore di Pietrasanta, spacciato per moderno ed efficace, che in realtà è stato chiuso perché non rispettava i valori di emissione richiesti), i cui costi lievitano in modo incontrollato , spesso forse risentendo della pessima abitudine di caricare su tali costi quelli non necessariamente diretti o connessi (Venezia insegna, purtroppo…).
Oltre all’illegittimità di tale scelte (ad esempio la produzione di energia rinnovabile è per legge attività libera e non può essere assoggettata a nessuna forma di privativa) si rischia di dover caricare ulteriori costi che finiscono per far perdere il vantaggio della raccolta differenziata.
Una scelta che era stata prospettata come foriera di riduzione dei costi diventa in realtà la causa stessa dell’aumento dei costi; quante volte ormai sentiamo dire che questa, ovvero la necessità di rispettare le percentuali di recupero, è la vera causa dell’aumento dei costi dei servizi di igiene ambientale.
Nessuno ha il coraggio di dire che forse la principale causa è la incapacità gestionale di soggetti che operano con l’assoluta convinzione e certezza che qualcuno pagherà, a prescindere dalla validità e professionalità del loro operato.
Tra le righe del Piano si legge, ad esempio, che qualora si utilizzino impianti di recupero esterno si cercherà di imporre la tariffa in base alle regole di mercato, ma se si utilizzano impianti di Piano tale tariffa sarà determinata dalle solite voci previste per la copertura totale dei costi.
Un modo elegante per dire che si taglieranno le gambe ai privati, che potrebbero essere interessati a contribuire alla riduzione e recupero dei rifiuti mentre si premieranno i soliti burocrati sempre presenti e tuttofare, che opereranno senza controllo e con la totale certezza di non aver nessun rischio per tali gestioni.
Sarebbe opportuno che finalmente il Piano affermasse una cosa semplice e chiara: ognuno deve fare il suo mestiere, senza invadere campi e competenze di altri.
E’ giusto che i comuni si impegnino a garantire lo smaltimento e il trattamento dei rifiuti indifferenziati (così detti residuali) che dovranno sempre più diminuire nel tempo, ma è altrettanto giusto e opportuno che si crei una reale economia di mercato (e non farebbe certo male in questo momento di crisi) che si impegni a rendere sempre più redditizie, efficaci ed utili queste raccolte differenziate, valorizzando al meglio le risorse e i materiale che se ne ottengono.
Solo così si potranno ridurre i costi e realizzare i benefici attesi.
Basta continuare a sostenere i soliti carrozzoni che spesso hanno proliferato, e proliferano, su una cattiva gestione e sulle spalle dei cittadini.
di Giuseppe Vitiello
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