Greenpeace mette nel mirino 1.300 tonnellate sospette
Dall’Italia stanno partendo illegalmente verso la Malesia rifiuti in plastica di bassa qualità?
Ficco: «La gestione dei rifiuti è il metro del nostro livello di civiltà e di responsabilità, e raccoglierli in modo differenziato non basta. Una società tecnologicamente avanzata deve essere in grado di gestire i propri scarti»
[10 Febbraio 2020]
Secondo i documenti confidenziali ottenuti dall’unità investigativa di Greenpeace Italia, nei primi nove mesi del 2019 su un totale di 2.880 tonnellate di rifiuti in plastica spediti per via diretta dall’Italia alla Malesia, il 46% sarebbe stato inviato a impianti privi delle autorizzazioni necessarie: si tratterebbe dunque di oltre 1.300 tonnellate di rifiuti in plastica spedite illegalmente dall’Italia ad aziende malesi.
«Si tratta di una situazione inaccettabile che conferma ancora una volta – commenta Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace Italia – l’inefficacia del sistema di riciclo e la necessità di adottare misure urgenti per ridurre la produzione di quella frazione di plastica, spesso inutile e superflua, rappresentata dall’usa e getta».
Dopo le restrizioni inaugurate dalla Cina per l’arrivo dei rifiuti dall’estero, nel corso degli ultimi anni la Malesia è diventata una delle principali destinazioni delle esportazioni di rifiuti occidentali in plastica di bassa qualità e di difficile riciclo, pur essendo sprovvista di un sistema di trattamento e recupero efficace e di rigorose regolamentazioni ambientali, alimentando così un mercato globale spesso illegale. E se quanto documentato dall’associazione ambientalista – che ha già consegnato alle autorità competenti tutta la documentazione dell’indagine – fosse confermato dalla autorità, le «contestazioni a carattere penale sarebbero elevate – precisa Paola Ficco, giurista ambientale e avvocatessa – e nello specifico saremmo di fronte ad attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, traffico illecito di rifiuti e associazione per delinquere transnazionale».
Secondo la normativa in vigore, infatti, dovremmo spedire a Paesi extra Ue esclusivamente plastica adatta per il riciclo e il recupero. Eppure da una parte nei container in partenza dall’Italia nei si trova «quasi sempre di rifiuti plastici elevati in quantità, ma di qualità molto bassa», come racconta Renato Nitti, sostituto procuratore della Repubblica della Direzione distrettuale antimafia di Bari; dall’altra, nonostante «la legislazione del Paese di destino deve essere ‘grosso modo equivalente’17 a quella comunitaria, la normativa malese – aggiunge Paola Ficco – con il dovuto rispetto non equivale neanche lontanamente a quella europea. Ad esempio «non esistono la valutazione di impatto ambientale o strategica, né il concetto di danno ambientale con l’apparato fideiussorio o l’autorizzazione integrata ambientale». Un problema «condiviso con quasi tutti i Paesi del Sud-Est asiatico verso cui esportiamo i nostri rifiuti», continua l’avvocatessa.
Dunque, che fare? «L’esportazione dovrebbe essere l’ultima ratio – sottolinea Ficco – Una società tecnologicamente avanzata deve essere in grado di gestire i propri scarti; se non lo è, deve interrogarsi seriamente su quello che sta facendo. Il punto è che i nostri rifiuti plastici non dovrebbero essere spediti all’estero».
Occorre dunque lavorare in primis per ridurre questo tipo di rifiuti alla fonte, partendo dalla plastica monouso – una direzione espressa anche dalla Commissione europea attraverso un’apposita direttiva –, dall’altra completare la filiera industriale che permetterebbe di gestire direttamente in Italia i rifiuti plastici non riciclabili che produciamo: al proposito anche l’ultima relazione della Direzione investigativa antimafia (Dia) nazionale riconosce che, non solo per quanto riguarda la filiera dei rifiuti plastici, «la perdurante emergenza che in alcune aree del Paese condiziona ed ostacola una corretta ed efficace gestione del ciclo dei rifiuti vede tra le sue cause certamente l’assenza di idonei impianti di smaltimento che dovrebbe consentire l’autosufficienza a livello regionale».
«La gestione dei rifiuti è il metro del nostro livello di civiltà e di responsabilità e raccoglierli in modo differenziato non basta – conclude Ficco – Esportare i rifiuti significa affermare la propria incapacità di gestire il problema. Se è vero che dobbiamo proteggere l’ambiente che ci è più prossimo e la nostra salute, questo non ci autorizza ad offendere quello di chi è lontano da noi e minare la sua salute».