L’Eea pubblica il rapporto "More from less": nel nostro Paese nessuna strategia
L’economia circolare in Italia, senza una regia nell’utilizzo efficiente delle risorse
Il Senato chiede obiettivi Ue più ambiziosi, ma le lacune di casa nostra rimangono intatte
[16 Giugno 2016]
Ieri la Camera ha definitivamente approvato la legge che riforma le agenzie ambientali italiane, un provvedimento atteso da tempo che non costituisce però l’unica novità acquisita sul fronte verde in questi giorni. Solo poche ore prima la commissione Ambiente del Senato ha infatti approvato con voto unanime la propria risoluzione sull’economia circolare: si tratta del contributo italiano all’evoluzione delle direttive europee in materia. «L’Italia – spiega il relatore Stefano Vaccari (Pd) – propone alla Commissione europea una serie di modifiche a queste importanti direttive destinate a cambiare il ciclo di vita dei materiali e l’approccio stesso alla produzione e al tema dei rifiuti».
Si tratta di un passo avanti, o meglio di un passo indietro rispetto alle proposte sfornate dalla Commissione Ue lo scorso dicembre. L’Italia chiede infatti di tornare ai target individuati a suo tempo dalla Commissione a guida Barroso, poi ridotti da quella Junker che oggi guida l’Unione. Si prospetta ad esempio, da qui al 2030, di arrivare all’80% per quanto riguarda «il riutilizzo e il riciclaggio» dei rifiuti urbani (anche se Vaccari parla di “raccolta differenziata”…), il 5% in più di quanto viene chiesto da Bruxelles. Si propone inoltre di «intensificare gli sforzi verso una maggiore efficienza nell’impiego delle risorse», un indirizzo ancora più marcato nel lavoro di consultazione pubblica, dove l’Italia chiede di inserire a livello Ue «l’obiettivo di incremento del 30% nell’efficienza dell’uso delle risorse al 2030».
L’Italia scommette dunque con maggiore intensità sull’economia circolare di quanto non faccia oggi la Commissione Ue, dimenticando però quanto ancora resta da fare all’interno dei patri confini. «In relazione ai rifiuti – argomenta ad esempio Vaccari –, chiediamo di allineare le definizioni a quelle previste dall’istituto europeo di statistica e di rendere il più rapidamente possibile omogeneo il metodo di calcolo dei diversi Stati membri», quando l’Italia stessa non ha un metro omogeneo tra le sue varie regioni, nonostante la sua introduzione sia prevista dal 1997 dal decreto Ronchi.
Ancor più marcata le lacune in tema di utilizzo efficiente delle risorse naturali, che pure viene presentato come un vessillo ambientale del governo. All’alba di quello che è stato il semestre europeo a guida italiana, il ministro del Gian Luca Galletti presentò chiaramente le priorità ambientali avanzate dall’Italia, definendo i sei mesi come «una straordinaria occasione per affrontare con strumenti e politiche nuove i temi dell’uso efficiente delle risorse e della riforma fiscale in chiave ambientale, due elementi che possono rivelarsi trainanti per la ripresa economica». Il semestre europeo è finito da un pezzo – portandosi dietro il timbro unanime di flop da parte delle associazioni ambientaliste –, della fiscalità verde si sono perse le tracce, e «non c’è né una strategia specifica, né un piano d’azione in Italia» sull’utilizzo efficiente delle risorse.
È quanto certificato proprio pochi giorni fa dall’Agenzia europea per l’ambiente nel suo rapporto More from less, con un’apposita analisi dedicata anche al nostro Paese. Le informazioni raccolte dall’Eea mostrano come «solo tre paesi, Austria, Finlandia e Germania», abbiano adottato strategie nazionali dedicate all’efficienza delle risorse, mentre sono nove quelli che almeno «hanno adottato obiettivi nazionali» sul tema: Austria, Estonia, Francia, Germania, Ungheria, Lettonia, Polonia, Portogallo e Slovenia. L’Italia manca all’appello, in entrambi i casi.
Eppure, sottolinea l’Eea, è il settore manifatturiero quello che è stato individuato più frequentemente «come il settore economico chiave per migliorare l’efficienza delle risorse». E il nostro Paese avrebbe tutto da guadagnare a perseguire questa strada. Siamo ancora la seconda potenza industriale d’Europa, naturalmente incline a fare tesoro delle poche risorse materiali che da sempre il nostro territorio è capace di offrire. Secondo gli ultimi dati, in un anno il nostro Dmc (Domestic material consumption) ammonta a 503 milioni di tonnellate (il 7% del consumo totale europeo), ovvero 8,3 milioni di tonnellate a persona; già oggi la nostra produttività delle risorse – che misura l’efficienza con la quale trasformiamo in valore economico risorse materiali – ammonta a 3,05 €/kg, ben oltre la media Ue (1,98 €/kg). Anche in quest’ambito però la certezza dei dati sembra rimanere una chimera, dato che la stessa Eea, in un precedente rapporto, individuava la misura italiana in 2,89 €/kg (quella Ue a 1,95 €/kg).
Secondo i dati elaborati per l’Eea da Carmela Cascone e Alessio Capriolo dell’Ispra, negli ultimi 15 anni a diminuire sensibilmente all’interno della nostra economia è stato soprattutto il consumo di minerali non metalliferi, anche se sono stati gli anni della crisi economica a contribuire sensibilmente nel calo del nostro Dmc (come, del resto, accaduto anche nel resto d’Europa).
Tutto questo però senza alcuna programmazione industriale, ma solo grazie alle inclinazioni delle nostre imprese e alla pressione di fattori esterni. Cosa saremmo capaci di fare, per la nostra economia e per l’ambiente, con una regia alle spalle rimane purtroppo un interrogativo ancora senza risposta.