A greenreport l’analisi di Luisa Azzena, docente di Diritto amministrativo all’università di Pisa
Da che parte sta l’ambiente nella riforma costituzionale del governo Renzi
La nuova ripartizione di competenze tra Stato e Regioni punta all’accentramento, aumentando in realtà i problemi interpretativi
[2 Settembre 2014]
La riforma proposta dal Governo Renzi con riferimento al Titolo V, parte II della Costituzione, nasce con la volontà di superare l’idea federalista che era stata alla base di quella del 2001, riportando la generalità delle materie nella sfera della competenza statale, abolendo la potestà concorrente, e lasciando alla competenza legislativa delle Regioni pochissime materie: quelle “residuali” ovvero non attribuite espressamente alla competenza esclusiva statale, e alcune “esclusive” delle Regioni, materie relative però a competenze piuttosto di carattere amministrativo che legislativo, quali “pianificazione e dotazione infrastrutturale del territorio regionale”, “mobilità al suo interno, organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese, dei servizi sociali e sanitari e, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, dei servizi scolastici” nonché “istruzione e formazione professionale”.
A ben vedere, però, già nella sua prima stesura, il disegno di legge costituzionale del Governo Renzi non si presentava così netto nel distinguere ambiti rispettivi di competenza statale e regionale, perché, a fronte della (evidente) soppressione del 3 comma dell’art. 117 (ovvero della potestà legislativa concorrente) si prevede la possibilità che la legge dello Stato (su proposta del Governo Renzi) intervenga nelle materie di competenza regionale “residuale” (non invece in quelle di competenza regionale “esclusiva”), quando lo richieda l’unità della Repubblica, ovvero l’interesse nazionale.
Di fatto: si dà un segnale forte nel senso dell’accentramento e statalizzazione, ma in concreto resta la solita confusione di competenze.
Nell’ultima stesura, poi, quella approvata dal Senato, tra le (inizialmente pochissime) materie “esclusive” regionali vengono aggiunte altre materie (diritto allo studio, cultura, turismo…) limitatamente però ai profili della “promozione”, “disciplina per quanto di interesse regionale”, “valorizzazione e organizzazione regionale”…. Ciò vale a dire: lo Stato ha la potestà legislativa quanto ai principi generali di tali materie, mentre la Regione avrebbe potestà legislativa esclusiva quanto al dettaglio o quanto a ciò che interessa l’ambito territoriale.
Ovvero niente di diverso, in sostanza, a parte il fatto che l’attuazione comporterà necessità di complesse interpretazioni da operare caso per caso, materia per materia, al fine di cercare di comprendere l’esatto ambito rispettivamente della competenza statale e di quella regionale.
Questo è accaduto in particolare con riferimento alla materia “ambiente”, non toccata nella prima stesura, che lasciava intatta la lettera s) del comma 2 dell’art. 117, che prevedeva la competenza statale esclusiva in materia di “ambiente e ecosistema”. Ma la formulazione approvata in prima lettura dal Senato è diversa; e presenta la “promozione dell’ambiente” tra le competenze esclusive regionali, con la difficoltà di distinguere tra “tutela” dell’ambiente (spettante alla legge dello Stato) e sua “promozione” (spettante alla legge regionale).
Questa ripartizione della materia potrebbe avere senso se “tutela” fosse solo quella repressiva o negativa (es. punizione per un reato ambientale); ma se “tutela” è anche positiva in cosa si differenzia dalla “promozione”? Ad esempio, stabilire limiti volumetrici di edificabilità in aree di valore ambientale è “tutela” (preventiva e positiva) o è “promozione”? Competenza statale o regionale?
Siffatti problemi interpretativi sono risalenti, essendosi proposti nel passato già con il dpr 616 del 1977, poi, dopo il 2001, con la prima riforma del Titolo V. Ora, sembra, si riproporranno di nuovo, sempre uguali ma (leggermente) diversi; diversi quel tanto da porre nuove incertezze e nuovi problemi interpretativi.
di Luisa Azzena