L’installazione di roulotte, camper e case mobili può essere solo temporanea
La sentenza del Consiglio di Stato sul caso di un agriturismo nel Comune di Ravenna
[7 Dicembre 2020]
Secondo la sentenza del Consiglio di Stato sull’installazione di roulotte, camper e case mobili
pubblicata il 2 dicembre, «Per effetto di quanto disposto dal citato art. 3 del T.U. dell’edilizia, l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper e, come nella specie, case mobili, può ritenersi consentita in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, solo ove diretta a soddisfare esigenze meramente temporanee, non determinandosi una trasformazione irreversibile o permanente del territorio su cui insistono; laddove, diversamente, l’installazione stabile di mezzi (teoricamente) mobili di pernottamento determina una trasformazione irreversibile o permanente del territorio, con la conseguenza che per tali manufatti, equiparabili alle nuove costruzioni, necessita il permesso di costruire».
La sentenza del Consiglio di Stato fa seguito al ricorso presentato da un agriturismo contro il Comune di Ravenna che chiedeva la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia-Romagna dell’8 luglio 2011. Il Comune aveva considerate abusive delle case mobili che ospitavano turisti per almeno 9 mesi all’anno e il Tar aveva respinto il ricorso dell’agriturismo che ha impugnato la sentenza davanti al Consiglio di Stato per «violazione ed errata applicazione della legge regionale n. 16 del 2004, nonché della legge regionale n. 26 del 1994; eccesso di potere per difetto ed erroneità della motivazione, nonché erroneità dei presupposti di fatto e di diritto; violazione degli artt. 41 e 97 della Costituzione per irragionevolezza ed illogicità; – violazione del T.U. 380 del 2001 (art. 3) e dell’art. 40 della legge regionale n. 23 del 2004.
L’amministrazione Comunale di Ravenna ha nuovamente respinto queste tesi evidenziando in particolare che «La corretta interpretazione dell’applicabile disciplina legislativa regionale esclude l’utilizzabilità delle strutture mobili anzidette nel quadro dell’esercizio dell’attività di agriturismo» ed ha quindi ribadito «La legittimità del provvedimento ripristinatorio adottato, nonché la correttezza delle valutazioni condotte».
Il Consiglio di Stato ha dato ragione al Comune facendo notare che l’autorizzazione a svolgere attività agrituristiche non dà anche un’automatica autorizzazione a costruire e che il Tar aveva ritenuto che «l’art. 6, comma 6 della L.R. n. 16/2004, … consente l’installazione di roulottes e case mobili a condizione che conservino il meccanismo di rotazione e non possiedano alcun collegamento permanete col terreno limitatamente alle “strutture ricettive all’aria aperta” che, ai sensi del comma 7 dell’art. 4 della legge sono solo i campeggi ed i villaggi turistici», quindi una struttura agrituristica non può farlo e che «nel caso di specie le case mobili, tenuto conto delle loro caratteristiche (dimensioni, articolazioni i due camere da letto con wc, tettoia esterna e servizi interni quali impianto elettrico, tv, condizionamento freddo/caldo) non rientrerebbero comunque nella tipologia di cui all’art. 6, comma 6 della L.R. n. l6/2004, in quanto idonee a configurare un insediamento stabile, mentre la norma intende autorizzare l’installazione di strutture non stabilmente collegate al suolo e facilmente rimovibili all’interno di campeggi e villaggi turistici».
I Consigli di Stato evidenzia che, diversamente da quanto asserivano i ricorrenti, la configurazione delle strutture «evidenzia la presenza di una stabile trasformazione del suolo; in quanto tale, suscettibile di essere posta in essere con la previa assistenza di idoneo titolo edificatorio. Va rammentato che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e) del D.P.R. 380 del 2001 (applicabile alla vicenda di che trattasi), si intendono quali “interventi di nuova costruzione”, quelli di “trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie definite alle lettere precedenti. Alla stregua di quanto indicati alla lett. e.5, sono comunque da considerarsi tali “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore”».
Il Consiglio di Stato ricorda inoltre che «La precarietà non va, peraltro, confusa con la stagionalità, vale a dire con l’utilizzo annualmente ricorrente della struttura, poiché un utilizzo siffatto non esclude la destinazione del manufatto al soddisfacimento di esigenze non eccezionali e contingenti, ma permanenti nel tempo. La precarietà dell’opera, che esonera dall’obbligo del possesso del permesso di costruire, postula, infatti, un uso specifico ma temporalmente limitato del bene: ai fini della ricorrenza del requisito della precarietà di una costruzione, suscettibile di escludere la necessità del rilascio di un titolo edilizio, dovendosi prescindere dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data dal manufatto dal costruttore, con riveniente obbligo di valutare l’opera alla luce della sua obiettiva ed intrinseca destinazione naturale: con la conseguenza che rientrano nella nozione giuridica di costruzione, per la quale occorre la concessione edilizia, tutti quei manufatti che, anche se non necessariamente infissi nel suolo o pur semplicemente aderenti a questo, alterino lo stato dei luoghi in modo stabile, non irrilevante e non meramente occasionale.
Per individuare la natura precaria di un’opera, si deve quindi seguire “non il criterio strutturale, ma il criterio funzionale”, per cui se essa è realizzata per soddisfare esigenze che non sono temporanee, non può beneficiare del regime proprio delle opere precarie, anche ove realizzata con materiali facilmente amovibili (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, n. 1291/2016 cit.); rivelandosi, conseguentemente, idoneo a produrre trasformazione urbanistica ogni intervento che alteri in maniera rilevante e duratura lo stato del territorio, a nulla rilevando l’eventuale precarietà strutturale e l’amovibilità, ove ad essa non si accompagni un uso assolutamente temporaneo e per fini contingenti e specifici».
Per quanto riguarda le case mobili, lo stesso Consiglio di Stato, con una sentenza del 2014 aveva già chiarito che «Le opere aventi carattere stagionale, qualora siano orientate alla soddisfazione di interessi permanenti nel tempo, devono essere equiparate alle “nuove costruzioni” necessitando di conseguenza di permesso di costruire» e in particolare che «I manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario … non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale».
E il Consiglio di Stato aggiunge che non può essere accettato il fatto che delle strutture non siano adibite ad “abitazione”, intesa in senso di domicilio principale e/o residenza, dagli utilizzatori, «in quanto deve ritenersi che non è la continuità della presenza ad imprimere la funzione, bensì la potenziale fruibilità del manufatto, costante nel tempo, ancorché con la ciclicità dell’alternarsi delle stagioni che la rendano gradevole e/o apprezzabile. I manufatti funzionali a soddisfare esigenze stabili nel tempo, come quelli del caso di specie, vanno dunque considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, a nulla rilevando la precarietà strutturale, la potenziale rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie; non risultando essi, in concreto, deputati a un uso per fini contingenti, ma rivelandosi, piuttosto, destinati ad un impiego protratto nel tempo».
Quindi, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello, ha confermato la sentenza di primo grado e ha condannato i ricorrenti a pagare le spese di giudizio.