L’odio razziale affonda le radici nella violenza umana verso gli animali selvatici
Spesso si uccidono per una forma di odio sadico verso tutti coloro che non riusciamo a dominare: un capro espiatorio per le nostre debolezze
[3 Maggio 2024]
Il rapporto degli uomini con gli animali selvatici è stato sempre difficile, sin da quando siamo diventati cacciatori-raccoglitori e poi uomini sapiens circa 200 mila anni fa.
In passato gli animali venivano cacciati e uccisi ai fini della sopravvivenza, cosa che oggi, fatte salve alcune eccezioni, non si fa quasi più; tuttavia, la situazione degli animali selvatici si è comunque aggravata. Sono infatti ridotti al lumicino e molti sono già estinti.
Perché tanto accanimento verso gli animali selvatici, che il più delle volte sono innocui? Probabilmente dei ricordi psicologicamente atavici si sono annidati nella nostra mente quando era necessario ucciderli per sopravvivere, come facevano i cosiddetti uomini delle caverne. Per cui ora, nonostante questo non sia più necessario, continuiamo la loro persecuzione.
Sono forse delle predisposizioni innate, come tante altre, che in parte hanno consentito ai nostri progenitori di sopravvivere? È difficile dare una risposta, anche se resta sicuro il fatto che spesso si uccidono gli animali selvatici per una forma di odio sadico verso tutti coloro che non riusciamo a dominare.
Per questo li chiamiamo “selvatici”, nel senso più dispregiativo del termine. Non lo facciamo con i cani e con i gatti. Loro sono stati addomesticati da millenni e non sollevano mai problemi di questo genere; anzi, se ne aumenta la presenza.
Gli animali selvatici diventano invece capri espiatori delle nostre debolezze, una sfumatura cinerea della nostra esistenza.
In sostanza negli uomini esistono dei profili psicologici molto pericolosi, in quanto l’odio per gli animali selvatici poi viene trasferito verso altri esseri umani che sono diversi da noi per cultura, costumi, lingua, religione, politica, come l’olocausto insegna. Le radici dell’odio razziale sono infatti tutte qui. Non occorre scervellarsi tanto per trovarle altrove.
Bisognerebbe trovare una giusta ri-direzionalità per rendere innocua la nostra aggressività, anche se non è facile, altrimenti sarà difficile cambiare il nostro comportamento dissennato e distruttivo verso la natura in generale, come giustamente ci ha insegnato l’etologo e premio Nobel Konrad Lorenz. Per ora, in molti, questa consapevolezza non esiste.
Voglio prendere spunto da un editoriale di Marco Cattaneo, direttore della rivista di divulgazione scientifica “Le Scienze”, pubblicato nel numero di luglio 2023, in cui parla di nuove forme di convivenza tra noi e gli animali – io direi di non-convivenza,e i dati lo dimostrano.
C’è un problema da risolvere, dice Cattaneo. Nella Val di Sole,in Trentino, vicino a un centro abitato, è stato aggredito a morte un uomo da un’orsa chiamata JJ4 (non potevano darle un altro nome?): in questa località un fatto del genere non succedeva da cento anni.
Il risultato è che tutti si sono schierati con la vittima (meno il Tar di Trento che non ha concesso l’abbattimento dell’orsa da parte delle autorità locali), senza riflettere su che cosa ci facesse un uomo da solo in quella località, mentre tutti sapevano che nelle vicinanze più volte erano stati avvistati degli orsi.
Questi eventi succedono in molte altre parti del mondo in cui gli animali selvatici vengono relegati in riserve naturali, a volte create appositamente dagli uomini, come se fossero degli oggetti e soprattutto che dovessero sapere che non devono uscirne a rischio della loro vita.
La verità è che nell’ultimo secolo l’uomo ha invaso sempre di più i territori di questi animali, dove sono vissuti per millenni. Si chiama antropizzazione. L’antropizzazione sta provocando molti problemi sia agli animali sia agli uomini, ma la colpa ricade sempre sui più deboli, appunto gli animali, che non possono difendersi da soli e non possono fare niente per evitare le fucilate dei cacciatori e non solo le loro: anche quelle dei bracconieri, dei malvagi e di chi disprezza la natura.
Nel mondo esistono altri fenomeni di questo genere in cui alcuni animali, per fame, cercano di riappropriarsi del territorio dove sono sempre vissuti e in cui vedono costantemente le loro terre invase dall’uomo, con strade asfaltate, case, pascoli eccetera, con una urbanizzazione selvaggia, come è stato nel caso nella città di Lopburi, in Thailandia, non lontano dalla capitale Bangkok.
Stiamo parlando di scimmie, esattamente di macachi (Macaca fascicularis), una specie molto diffusa nel sud-est asiatico. Il fatto più grave è che queste scimmie generalmente stazionano accanto ai templi buddisti. Lo fanno sapendo che i turisti e i religiosi portano cibo per loro perché sono ritenute sacre, metà uomini-metà divinità animali.
Naturalmente questo comporta un incremento della presenza delle scimmie a Lopburi, che non cercano più cibo in natura. In questi luoghi sono stati costruiti persino degli alberghi per ospitare i turisti che possono arrivare in città comodamente in treno. Così i gruppi di macachi invece di diminuire sono aumentati, e ora costituiscono un grave problema per la popolazione umana locale.
Lo stesso tipo di fenomeno sta accadendo in India, nelle città di Agra e persino nelle periferie di New Delhi. Negli ultimi anni a Lopburi si sono contati più di seimila macachi (i gruppi sarebbero più di sessanta, una enormità): mai osservato nella storia un fenomeno del genere.
In natura, lontano dai centri urbani, le popolazioni di scimmie sono molte di meno e i gruppi, spesso isolati gli uni dagli altri, non raggiungono mai questi numeri.
Nessuno avrebbe dovuto costruire e far espandere una città in questo luogo. Le autorità già sapevano che lì questi animali ci vivevano pacificamente, ma templi e turisti significano soldi.
Ora che il fenomeno si è allargato, tutti chiedono rimedi e naturalmente quello più diffuso, e non molto nascosto, è il loro sterminio o, nella migliore delle ipotesi, la loro sterilizzazione.
Vorrei proprio sapere, come si fa materialmente a sterilizzare migliaia di scimmie? Qui viene in mente il famoso motto: chi è causa del suo mal, pianga se stesso! Alcuni, in questa situazione stanno alimentando tra la gente dei sentimenti a dir poco illusori, per non dire tragici, cioè che si possa convivere con le scimmie, magari continuando ad alimentarle.
Ciò dovrebbe essere evitato perché, come tutti gli esseri viventi, uomo incluso, le scimmie per fame possono essere spinte a fare cose inaspettate, appunto riappropriarsi di un territorio che gli è sempre appartenuto.