Agli italiani l’economia circolare piace sempre di più, ma almeno a 10 km di distanza
Anche se sono “gestiti in massima sicurezza e controllati continuamente”, i cittadini guardano con sospetto agli impianti per il riciclo. Perché? Non li conoscono e non si fidano
[21 Ottobre 2020]
Sono i mercati dell’economia circolare i protagonisti della VII edizione dell’Ecoforum, il tradizionale appuntamento annuale organizzato da Legambiente, La nuova ecologia e Kyoto club, che per la prima volta si sta svolgendo – a causa della pandemia da Covid-19 – interamente online e in diretta streaming. Grande protagonista il nuovo sondaggio Ipsos “L’economia circolare in Italia”, che permette di tastare il polso al Paese e portare alla luce il complicato rapporto che lega i cittadini a quest’orizzonte fondamentale per la transizione ecologica: un rapporto segnato da crescente interesse, speranza ma anche – grattando sotto la superficie – scarsa conoscenza e (dunque) tanta sfiducia.
Dal sondaggio emerge che il 76% degli intervistati conosce il concetto di sostenibilità, segnando un trend in continua crescita negli ultimi anni, parallelo a quello almeno apparente dell’impegno personale. L’83% degli intervistati si dice ad esempio disposto ad adottare un comportamento a favore dell’economia circolare. Come? Secondo il sondaggio Ipsos il principale contributo che i cittadini sono disposti a fornire riguarda un maggior impegno nello smaltimento dei propri rifiuti (disposti a farlo il 41% degli intervistati), ad accettare prodotti meno belli esteticamente ma non rinunciando alla loro efficacia e performance. Meno di 2 italiani su 10 sono invece disposti ad accettare prezzi più elevati.
Soprattutto, agli italiani l’economia circolare piace ma meglio se lontano da casa propria. Una delle domande proposte da Ipsos infatti recita: “L’economia circolare richiede impianti per gestire il riciclo e la trasformazione dei materiali utilizzati in materie prime. Questi impianti sono gestiti in massima sicurezza e controllati continuamente. Pensando alla zona in cui abita, quale distanza minima dovrebbe avere un tale impianto dalla sua abitazione?”. La risposta è da manuale Nimby.
Solo il 10% degli intervistati non ha necessità di marcare una distanza con l’impianto per l’avvio a riciclo, e presumibilmente si fosse trattato di un termovalorizzatore o di una discarica – impianti subordinati dal punto di vista della gerarchia Ue per la gestione rifiuti, ma comunque necessari alla filiera – il dato sarebbe stato ancora più basso. Il 15% chiede invece una distanza di almeno 2 km, il 30% si spinge a 10 e il 21% arriva a 50 km, un’enormità.
In altre parole oltre la metà dei cittadini sono disposti ad ammettere la necessità di un impianto industriale per il riciclo – già un passo avanti rispetto al sondaggio presentato sempre tre anni fa all’Ecoforum – ma almeno a 10 km di distanza. E questo perché nonostante si tratti di impianti gestiti in massima sicurezza e controllati continuamente, il 55% degli intervistati ha paura di rischi legati all’inquinamento dell’aria, il 33% guarda all’inquinamento dell’acqua, il 25% a quello acustico, eccetera.
Sia chiaro: sarebbe controproducente affermare che la presenza di un impianto industriale sia a impatto zero per il territorio. Non è mai così, qualsiasi sia l’impianto in questione. Ma un impianto può essere sostenibile o meno, portare valore al territorio oppure estrarlo; ecco il perché della massima sicurezza e dei controlli continui. Di cui però evidentemente i cittadini non si fidano.
Si tratta di un problema enorme, che investe non solo l’economia circolare ma tutte le declinazioni dello sviluppo sostenibile, e che affonda le proprie radici almeno in due dati di fatto. Da una parte l’inconcludenza delle classi dirigenti, che hanno assistito al regresso socio-economico del Paese esacerbato dalle disuguaglianze – oltre il 70% della popolazione italiana è più povera oggi di 30 anni fa – senza battere ciglio e alimentando così sfiducia. Dall’altra un cronico deficit di informazione e comunicazione che, incrociandosi con tassi di analfabetismo funzionale da record, produce bassa conoscenza. E ciò che non si conosce spesso spaventa.
«Il problema – commenta Andrea Alemanno, Responsabile ricerche sostenibilità per Ipsos, presentando i risultati del sondaggio – è che tanti ancora non conoscono questi temi, non si interrogano». Hanno iniziato a sentir parlare di sostenibilità (il 76% degli intervistati) ma «c’è una bassa conoscenza effettiva» quando si va su temi più dettagliati (solo il 40% ad esempio ha una qualche familiarità con l’economia circolare, il 22% afferma di sapere di cosa si tratta). Si tratta dunque di mettere in campo investimenti su informazione e comunicazione, per raggiungere correttamente le persone, perché possano conoscere.
«È la mancanza di conoscenza – conclude Alemanno – che molto spesso impedisce molto di avere impianti per il riciclo, in qualche modo genera qualche resistenza. C’è il pregiudizio che l’impianto che dovrebbe aiutarci a inquinare di meno sia a sua volta inquinante. Le persone vorrebbero un’economia sostenibile, ma di fronte agli elementi di dettaglio la loro bassa conoscenza ne riduce la portata».