Se anche la scuola diventa ghetto, di stranieri e di italiani svantaggiati: il caso Milano
Rammendare gli “strappi” socio culturali nelle città multietniche: le diverse facce della segregazione socio-culturale e formativa
[26 Gennaio 2018]
Nel 2013 il Focus (n.33) dell’Ocse, analizzando i risultati della indagine PISA 2009, poneva questa domanda: What do immigrant students tell us about the quality of education systems? (Cosa ci dicono gli studenti immigrati a proposito della qualità dei sistemi educativi?, ndr). Non si trattava della raccolta di opinioni di quindicenni immigrati, studenti nei paesi di immigrazione, ma di una lettura dei risultati che questi studenti conseguono nelle scuole dei paesi ospitanti.
Due dati apparivano dall’indagine comparativa: studenti provenienti dagli stessi paesi, ma residenti in diversi paesi Ocse – cioè accolti entro sistemi formativi diversi – conseguono risultati altrettanto diversi; le differenze dei risultati degli studenti immigrati e dei nativi che appartengono a background socioculturali simili sono più contenute, perché la differenza non riguarda lo status di immigrato, ma lo status socio-economico degli ambienti di riferimento.
La conclusione, ridotta all’osso, potrebbe essere così riassunta: studenti nativi e studenti immigrati con fragili e problematici status socio-culturali ed economici frequentano scuole che non sono in grado di colmare lacune e vincere le disuguaglianze. E questo dipende dalla inadeguatezza dei sistemi formativi, più che dalla condizione di immigrazione.
Appare utile richiamare questo approccio leggendo un interessante studio pubblicato nella collana DAStU (2017) del Politecnico di Milano “White flight a Milano. La segregazione sociale ed etnica nelle scuole dell’obbligo” (a cura di C.Pacchi e C.Ranci). Il titolo richiama l’espressione, “fughe bianche” – nata negli anno ’50 e ’60 negli Usa – ancora in uso per descrivere la difficoltà, spesso l’impossibile convivenza negli aggregati urbani delle grandi città multietniche. Lo studio della withe flight entro Milano, oggi, presenta le diverse mappe dell’abitare e del fruire di servizi fondamentali, in quegli spazi della città in cui storie e mutazioni degli insediamenti abitativi si intersecano con la trasformazione di bisogni sociali decisivi, soprattutto per le nuove generazioni. La Costituzione italiana (art. 33) vede nella scuola dell’obbligo il luogo e lo strumento strategico atto a garantire inclusione e pari opportunità per tutte e tutti, ma lo studio citato evidenzia come proprio la scuola dell’obbligo non risponda a questi obiettivi, a causa di una “spiccata tendenza, rafforzatasi negli ultimi anni, alla polarizzazione degli allievi in istituti scolastici separati”, caratterizzati dalla concentrazione di bambini e ragazzi con background sociali o di nazionalità etnica molto omogenee. Frequentare scuole diverse e separate, anche a volte nello stesso territorio, significa costruire barriere a quella positiva mescolanza che è il punto di partenza di qualsiasi processo di inclusione e disegna, attraverso la segmentazione della popolazione giovanile, la prospettiva di un futuro di disuguaglianza.
Milano è una città a composizione mista, in cui le disparità sociali e le diversità etniche si distribuiscono in modo “iniquo” lungo l’asse centro-periferia, che concentra in modo disomogeneo lo svantaggio nelle aree esterne. Alla frattura tra centro e periferia si accompagna il fenomeno di periferie diversamente “composite”, in cui differenze etniche e svantaggio sociale compongono e scompongono spazi e dinamiche di vicinanza, ma non di convivenza.
La segregazione scolastica è il segnale di una polarizzazione territoriale che riguarda tanto gli alunni italiani di famiglie svantaggiate, quanto gli alunni stranieri. È chiaro che il fenomeno si evidenzia soprattutto per gli stranieri, basti un dato: la popolazione straniera in età scolastica a Milano raggiunge il 20%, ma in alcune scuole elementari e medie abbiamo il 30 o il 40% di stranieri, mentre in altre scuole se ne conta uno scarso 10%, o addirittura un 5%.
La traiettoria centro-periferia è ben leggibile. Nelle stesse traiettorie, anche per gli studenti italiani in condizioni di svantaggio, sono leggibili dinamiche segregative micro-territoriali. Quali sono i fattori che determinano questo fenomeno? La scelta delle famiglie, intanto: il 56/57% dei bambini e ragazzi italiani (scuola elementare e media) si spostano dal bacino scolastico di appartenenza ad altro bacino, in genere dalla periferia al centro (le percentuali comprendono anche la scelta della scuola non pubblica, che per gli italiani è del 26% nelle elementari e del 25% nelle medie, contro un 4% di stranieri nelle elementari e un 3% medie); la scelta della scuola a pagamento ghettizza nella scuola pubblica chi ha meno risorse. Tuttavia limitarsi a considerare la scelta delle famiglie non è una spiegazione sufficiente.
È chiaro che interventi mirati di policy dovrebbero investire livelli di responsabilità diverse, a partire da una riflessione sul mancato funzionamento dell’autonomia scolastica, al supporto economico agli studenti svantaggiati per riequilibrare gli effetti della libera scelta familiare, alla ridefinizione degli ambiti dei bacini scolastici, alla diffusione di supporti culturali alle famiglie migranti, a interventi di politica urbanistico/abitativa e dei trasporti. Tutti fattori che pesano, e molto, sulle scelte familiari.
Funzione educativa e funzione di riproduzione sociale si scontrano in assenza di politiche mirate e aggravano la segregazione sociale, proprio nei luoghi in cui l’eguaglianza delle opportunità dovrebbe essere promossa e sostenuta.
Il capitolo centrale dello studio (aggiornato all’anno scolastico 2015/16) evidenzia come segregazione scolastica e sociale di stranieri e di italiani svantaggiati si legano e si rafforzano legandosi l’una all’altra. La segregazione scolastica nasce nei territori a causa di dinamiche insediative, che causano la concentrazione di studenti con caratteristiche sociali di grande fragilità; tutto questo è rinforzato dalle scelte dei genitori. Due studi di caso analizzano situazioni e risposte nel territorio: il primo si riferisce a due quartieri di Milano (Corvetto e Sempione), il secondo a due centri della regione urbana milanese (Desio e Cologno monzese). Risposte diverse, ma eguale drammaticità delle situazioni.
Le riflessioni presentate in conclusione sono – e non potrebbe essere altrimenti – di diverso livello. Dalla presentazione degli esercizi di equilibrismi professionali di un personale scolastico, spinto a inventarsi creativamente tutto ma scarsamente supportato istituzionalmente, alle prospettive più ampie, di lungo periodo, in cui la scuola si colloca come segmento di ineludibili interventi di “ricuciture e rammendi” dei tessuti urbani e sociali.
Manca in questo lavoro – e ancora una volta non potrebbe essere altrimenti – un approfondimento sulla segregazione formativa nei due anni conclusivi del percorso scolastico di 10 anni, obbligatorio nella scuola italiana. Non si tratta di limiti di questa ricerca ma dell’assenza, soprattutto da parte del ministero dell’Istruzione, di monitoraggi specifici su un segmento di scuola che non riesce a trovare un equilibrio tra prospettive di prosecuzione degli studi e/o ingresso nel mercato del lavoro, e la totale disattenzione della stampa e dell’opinione pubblica in generale sui percorsi di scuola secondaria di secondo grado che non siano percorsi liceali.