Ieri il decreto legge approvato dal Governo
Da 16 a 6 miliardi di euro l’anno, ecco com’è cambiato il “reddito di cittadinanza”
Non è uno strumento universalistico ma «una misura di inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro e di contrasto alla povertà», senza però un progetto di sviluppo sostenibile alle spalle
[18 Gennaio 2019]
Deve ancora fare la sua comparsa in Gazzetta ufficiale, per poi essere convertito in legge dal Parlamento, ma il “reddito di cittadinanza” (Rdc) è stato formalmente approvato ieri dal Consiglio dei ministri, insieme a “quota 100”, in un apposito decreto legge. La misura baluardo del M5S è attesa al varo «a partire dal prossimo aprile», ma si presenta in modo molto diverso rispetto a quanto dichiarato in lunghi mesi – o meglio anni – di campagna elettorale permanente.
In primis è importate tornare a sottolineare come non si tratti di un vero reddito di cittadinanza, definito dalla Treccani «un ammontare di reddito pagato dal settore pubblico a ogni adulto residente (o stabilmente membro di una specifica collettività), a prescindere dal fatto che sia un individuo povero o ricco, che viva da solo o con altri, che voglia lavorare o meno». Il “reddito di cittadinanza” varato dal Governo M5S-Lega non è un provvedimento universalistico, ma «una misura di inserimento o reinserimento nel mondo del lavoro e di contrasto alla povertà», che ha comunque il grande merito di stanziare allo scopo risorse ben più ampie rispetto a quelle previste dal Reddito di inclusione (Rei) attivato nel corso della passata legislatura. Se il massimo sinora raggiunto sono i 2,7 miliardi di euro annui per il Rei previsti a partire dal 2020, il Rdc parte con poco meno di 6 miliardi di euro per il 2019, che passano a 7,5 nel 2020 e quasi 8 nel 2021. L’obiettivo è quello di dare un sostegno economico «a chi si trova al di sotto della soglia di povertà assoluta: circa 5 milioni di persone. Il 47% dei beneficiari sarà al centro-nord e il 53% al sud e isole», spiegano dal Governo, e «una persona che vive da sola avrà fino a 780€ al mese di Rdc».
In realtà secondo le prime stime prodotte dallo Svimez – l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – l’assegno mensile «potrebbe ridursi a 390 euro e i lavoratori poveri potrebbero lasciare il lavoro o passare al nero per avere il sussidio». Quel che è certo è che le cifre effettivamente stanziate dal Governo sono molto lontane da quanto promesso in campagna elettorale dal M5S: nel documento informativo elaborato nel merito dal Movimento si parlava di «un reddito per oltre 9 milioni di persone», diventate oggi 5, e coperture per «quasi 16 miliardi di euro», diventati 6 per il 2019. A non cambiare sono solo i 780 euro assegnati mensilmente, che – evidentemente – saranno intascati da un pubblico molto più ridotto rispetto a quello che si aspetta di riceverlo. Quello che sta per partire sarà dunque uno spericolato esperimento sul piano del consenso elettorale, ancor prima che su quello del contrasto alla povertà.
Secondo il decreto approvato a beneficiare del reddito potranno essere cittadini italiani o stranieri residenti da almeno 10 anni, con Isee inferiore a 9.360€ e che non eccedano vari paletti delineati in termini di patrimonio immobiliare e finanziario; il Rdc potrà essere richiesto alle Poste o ai Caf (mentre sarà l’Inps a verificare il possesso dei necessari requisiti), per poi essere erogato su una carta prepagata. Il “reddito di cittadinanza” dura al massimo «18 mesi», eventualmente rinnovabili, e in cambio il cittadino dovrà firmare un Patto per il lavoro, per la formazione o per l’inclusione sociale, e nel primo caso rendersi disponibile – se non vuole perdere il sostegno economico – ad accettare una proposta di lavoro su (massimo) tre: la terza potrà provenire da qualsiasi luogo in Italia, prefigurando così nel migliore dei casi una migrazione coatta dei poveri assoluti.
«Ci sembra di vedere più ombre che luci – osserva Cristina Grieco, coordinatrice della commissione Istruzione e lavoro della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome – per cui lunedì al ministro Di Maio chiederemo delucidazioni. L’obiettivo è cercare di dare risposte prima di tutto alle molte domande che arriveranno dai cittadini e, poi, alle diverse perplessità che i Presidenti delle Regioni hanno posto in modo trasversale e unanime».
Ma il più grande interrogativo riguarda il lavoro che non c’è – l’Ocse ha appena certificato che nel terzo trimestre 2018 l’Italia ha registrato l’unico calo nel tasso d’occupazione registrato nell’eurozona, il più basso dopo quello della Grecia –, e mentre il Governo parla di «offerta congrua» da assicurare ai poveri legati dal Patto per il lavoro, in realtà sulle politiche per guidare lo sviluppo sostenibile del Paese e la relativa creazione di posti di lavoro non si è mai alzato il sipario. Anche il “reddito di cittadinanza” rientra in questa logica: trovare i 16 miliardi di euro annui necessari a finanziarlo promessi dal M5S sarebbe stato semplice, dirottando allo scopo i 16,2 miliardi di euro di sussidi ambientalmente negativi censiti dal ministero dell’Ambiente, che invece non sono stati minimamente toccati.