Novità di peso per il Mediterraneo. Alla leadership industriale segua quella politica

Eni, il giacimento di gas scoperto in Egitto vale lo 0,45% delle riserve mondiali

Iea: aumentano i costi di produzione per le fonti fossili, sempre più economiche le rinnovabili

[31 Agosto 2015]

Nelle acque al largo dell’Egitto, non lontano da quella fetta di Mediterraneo trasformata in un cimitero per i migranti senza nome, l’Eni ha scoperto un giacimento di gas di categoria supergiant. La scoperta è avvenuta attraverso il pozzo Zohr 1X, che è stato perforato a 4.131 metri di profondità complessiva, e dove Eni ha incontrato circa 630 metri di colonna di idrocarburi. Un tesoro d’energia maturato nel Miocene: un’epoca lunga circa 20 milioni di anni, che in questo caso «potrà garantire la soddisfazione della domanda egiziana di gas naturale per decenni».

L’entusiasmo per la scoperta è alle stelle, sia da parte della multinazionale italiana, sia per il governo egiziano. In circa 100 kmq sono racchiusi – comunicano da Eni, che detiene il 100% della licenza esplorativa – fino a 850 miliardi di metri cubi di gas (5,5 miliardi di barili di olio equivalente), che secondo l’ad Claudio Descalzi potranno essere immessi sul mercato entro il 2018. Dimensioni che, secondo il cane a sei zampe, definiscono Zohr come «la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel mar Mediterraneo» e potenzialmente una delle maggiori a livello mondiale.

Nonostante ciò, l’impatto di questa scoperta sullo scenario globale rimarrà probabilmente limitato. Le dimensioni del giacimento sono certamente rilevanti, ma «al mondo si ritiene che ci siano qualcosa come 190.000 miliardi di metri cubi di gas naturale estraibile. Ne consegue – sottolinea Ugo Bardi, docente di chimica fisica presso l’università di Firenze, membro dell’Aspo e del Club di Roma – che la nuova scoperta aggiunge circa lo 0.45% alle riserve mondiali,sempre ammesso che le riserve “possibili” si rivelino poi reali». Ogni anno, si evidenzia nella stessa analisi, si consumano 3.300 metri cubi di gas, ovvero più del triplo di quanto Zohr potrà dare nell’arco di decenni.

Lo scenario cambia man mano che si restringe il punto d’osservazione. Se a livello globale la scoperta Eni non è certo in grado di scompigliare le carte in tavola, per l’Egitto Zohr rappresenta la possibilità di una svolta nell’approvvigionamento energetico. Per Eni (il cui titolo in Borsa in queste ore ha spiccato il volo), se saprà gestire i rischi ambientali che senza dubbio seguiranno allo sfruttamento di Zohr, è la conferma di una leadership industriale di primissimo piano. Leadership che si scontra però con un contesto economico nel quale i prezzi delle commodity sono al minimo: oggi il grande punto interrogativo non riguarda il bisogno di nuova energia, ma di un nuovo modello di sviluppo.

Molto lentamente, nonostante tutto, per tentativi ed errori tale modello si riesce pian piano a intravedere. Come certifica proprio oggi l’Agenzia internazionale dell’energia, il costo di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili (in particolare fotovoltaica ed eolica) è in calo da diversi anni, mentre la produzione da fonti fossili come petrolio, carbone e gas sta salendo. Nel suo rapporto Projected Costs of Generating Electricity: 2015 Edition, la Iea sottolinea come l’Lcoe (Levelized cost of energy, il costo di produzione di 1 kW elettrico) dal 2010 a oggi si stia muovendo in modo opposto per rinnovabili e fossili, mentre rimane sostanzialmente stabile per l’energia nucleare (come stabile, ovvero insoluto, rimane il nodo della gestione dei rifiuti radioattivi). Lo studio dell’Agenzia dà risultati diversi a seconda del contesto, ma il trend è chiaro in tutti i 22 paesi analizzati.

Per l’Italia quella aperta dalla scoperta Eni apre una finestra di breve durata, ma che vale la pena di essere sfruttata. Le ricadute energetiche per il nostro Paese saranno assai scarse: non ci sono gasdotti che collegano l’Italia all’Egitto, anche se Zohr potrebbe contribuire a ridare un senso ai rigassificatori presenti lungo la Penisola, e a oggi praticamente inutilizzati, come quello al largo delle coste toscane. Più rilevanti potranno essere le ricadute geopolitiche, se ben indirizzate. L’Italia ha da tempo smarrito il ruolo di leadership nel Mediterraneo che le è stato consegnato dalla storia, ma solidi ponti industriali come quello costituito da Eni potrebbero essere assai rilevanti per riconquistarla, anche di fronte a un’Europa perennemente concentrata sulle esigenze e i vincoli imposti dai paesi del nord.

Eppure il Mediterraneo abbraccia buona parte del futuro del mondo. Sia a livello demografico, che economico. Oggi il Pil dell’area vale più del 15% del fatturato mondiale, secondo solo agli Usa, e il gas rappresenta una fonte energetica che può essere solo di transizione verso un prossimo futuro dove protagonisti saranno le energie rinnovabili e l’economia circolare. In questo contesto l’Italia può e deve ritagliarsi un ruolo di guida per il Mediterraneo, e il modo migliore per farlo è quello di diventare un esempio già all’interno dei propri confini.