Il lato oscuro della disuguaglianza secondo Angus Deaton, premio Nobel per l’economia 2015

Ricchi va bene, ma con senso della misura: sopra i 75mila dollari/anno il benessere emotivo non cresce più

[12 Ottobre 2015]

A pochi giorni dal suo 70esimo compleanno, Angus Deaton è stato insignito del premio Nobel 2015 per l’economia (o meglio, del premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel). Rigoroso scozzese e apprezzato docente all’università americana di Princeton, Deaton è stato premiato per aver «ampliato e migliorato» la comprensione di come «per progettare una politica economica che promuova il benessere e riduca la povertà» si debbano prima «capire le scelte di consumo individuali». Secondo  al Banca di Svezia, Angus Deaton è riuscito in questo «più di chiunque altro».

Tra i tanti interessi dell’eclettico economista, quelli per cui oggi viene celebrato ruotano attorno a tre domande: «Come viene distribuita la spesa dei consumatori tra beni diversi? Quanto del reddito di una società viene speso, e quanto risparmiato? Come possiamo misurare e analizzare meglio il benessere e la povertà?». Anche quest’anno, come si vede, la Banca di Svezia evidentemente non ha ritenuto sufficientemente maturi i tempi per un Nobel all’economia che premiasse studi ambientali. Un peccato, visto anche che tra poco più di un mese aprirà la Cop 21, la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici che si annuncia come un appuntamento dalla rilevanza mondiale.

Gli studi e la storia di Angus Deaton incrociano comunque la sostenibilità nei suoi aspetti sociali, nella misura della disuguaglianza. L’approccio di Deaton al tema è accademicamente robusto quanto spiazzante per il lettore occidentale medio, abituato oggi a continue stilettate contro la disuguaglianza crescente.

«Leggendo il nuovo e autorevole libro “Il Capitale nel XXI secolo” di Thomas Piketty – è il recente commento al proposito dell’economista di Harvard Kenneth Rogoff, su Project syndicate – si potrebbe giungere alla conclusione che il mondo non è così diverso dai tempi dei baroni ladroni. Strano, perché invece leggendo un altro eccellente libro, quale “La grande fuga” di Angus Deaton, si evince che il mondo è più equo che mai. Quale visione è giusta? Dipende se si guarda solo ai singoli Paesi o al mondo nella sua interezza».

Una differenza che anche l’Onu, nel suo ultimo World happiness report, non ha mancato di sottolineare. Mentre il club dei pochi ricchissimi non ha fatto che incamerare guadagni negli anni della crisi economica, rispetto a qualche lustro fa anche milioni di poverissimi hanno compiuto piccoli ma decisivi passi in avanti. Le ricerche di Deaton sembrano contenere un importante messaggio per entrambe le categorie (e per chi siede nel mezzo, diviso tra l’aspirazione a grandi ricchezze e la paura della miseria).

In un celebre studio condotto nel 2010 insieme a un altro celebre premio Nobel per l’Economia (Daniel Kahneman), Deaton giunge alla conclusione che un reddito familiare annuo più alto di 75mila dollari – circa 66mila euro, comunque un buon gruzzolo – non è correlato a un aumento del well-being, ovvero del benessere emotivo, un aspetto molto importante della felicità individuale. Dunque, ha senso affannarsi per accrescere le proprie finanze, ma col senso della misura.

Anche perché, in caso contrario, i risvolti sono negativi per la società nel suo complesso. Nonostante Deaton celebri “la grande fuga” dalla povertà dei nostri tempi, non ci sta a passare per un «cieco ottimista».

«Per molte persone nel mondo le cose vanno ancora molto, molto male», sottolinea il premio Nobel. E la disuguaglianza crescente può rappresentare una seria preoccupazione per il futuro della democrazia. I super-ricchi, ha ricordato Deaton in una recente intervista alla London school of economics non hanno bisogno di istruzione pubblica, non hanno bisogno di assistenza sanitaria, possono fare a meno anche di polizia o tribunali perché possono acquistare avvocati e poliziotti, o qualsiasi altra cosa. Sono relativamente indipendente da cose di cui il resto di noi ha invece davvero bisogno, e quindi non hanno alcun interesse a pagare le tasse. È nel loro interesse minare la fornitura di beni pubblici». È il lato oscuro della disuguaglianza, e con questo siamo tutti chiamati a fare i conti.