Ispra, nel 2015 +2% della CO2 mentre l’economia è cresciuta dello 0,8%
L’Italia firma l’Accordo sul clima, ma i nostri gas serra crescono più del doppio del Pil
Renzi a New York: «Il nostro obiettivo è portare le rinnovabili al 50%». Il Paese aspetta la prova dei fatti
[22 Aprile 2016]
Inizia oggi durante l’Earth day, all’interno del palazzo di vetro dell’Onu a New York, la vita vera dell’Accordo sul clima raggiunto a Parigi durante la Cop21: nello scorso dicembre 196 parti (195 Paesi più l’Ue) si sono impegnate a mantenere l’aumento di temperatura media globale «ben al di sotto dei 2°C», il limite individuato dalla scienza per evitare cambiamenti climatici disastrosi e irreversibili. Oggi, più di 165 paesi firmeranno l’Accordo sul clima, che dovrà poi essere ratificato dai vari parlamenti: oggi, l’Italia c’è.
Intervenendo da New York, il premier Matteo Renzi dichiara che «l’Italia deve fare sempre meglio», e rivendica come un successo la strategia governativa che ha fatto fallire il referendum sulle trivelle di domenica scorsa: «Un evidente messaggio politico degli italiani, che lo hanno considerato sbagliato». Eppure i toni sono cambiati rispetto a poche settimane fa, e ragionevolmente buona parte del merito è proprio da attribuirsi a quei 13 milioni di italiani che hanno votato Sì al referendum. «Siamo a New York per rilanciare con forza e determinazione il nostro essere leader nelle rinnovabili – dichiara Renzi – e per chiedere al mondo di essere più sensibile su questi argomenti e prendere impegni. Noi per primi li prendiamo e sono per me una priorità assoluta».
Il presidente del Consiglio sottolinea però che «è finito il tempo degli incentivi», che oggi in Italia «l’energia rinnovabile è al 39%, e il nostro obiettivo è portarlo al 50%. Un obiettivo alla nostra portata, non con gli incentivi ma con quadro normativo chiaro». Finora sotto questo governo è però accaduto il contrario: gli incentivi sono stati tagliati, e proprio secondo l’Onu l’incertezza politica e normativa «ha offuscato molti mercati, compreso quello italiano». Esempio ne sia il 39% citato dal premier, che riguarda la percentuale di energia elettrica fornita da rinnovabili nel 2015: una percentuale che l’anno precedente era al 43%, e ha perso anziché guadagnato punti percentuali negli ultimi 12 mesi, mentre per quanto riguarda l’apporto delle rinnovabili al totale dell’energia consumata nel Paese siamo ancora fermi al 17%.
L’ennesima “svolta verde” della politica nazionale è dunque apprezzabile, e va incoraggiata. Ma l’aspetta la prova dei fatti. «Nonostante gli impegni presi a livello internazionale – commenta Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e clima di Greenpeace Italia – una volta rientrato in Italia Renzi ha sempre smentito se stesso, perseverando in politiche tutt’altro che attente ai cambiamenti climatici».
Con il risultato che l’Italia, al di là delle dichiarazioni di facciata, peggiora nelle performance ambientali. I dati preliminari 2015 contenuti nell’ultimo Inventario nazionale delle emissioni in atmosfera dei gas serra, prodotto come ogni anno dall’Ispra e pubblicato pochi giorni fa, mostrano un aumento delle emissioni totali di gas serra italiane di circa il 2% rispetto al 2014, e in particolare delle emissioni di CO2 dal settore energetico (che aumentano del 3%).
Si tratta di un’inversione di marcia rispetto a quanto sperimentato negli ultimi anni e in particolare dal 2008, conseguenza – come spiega l’Ispra – sia «della riduzione dei consumi energetici e delle produzioni industriali a causa della crisi economica e della delocalizzazione di alcuni settori produttivi, sia della crescita della produzione di energia da fonti rinnovabili (idroelettrico ed eolico) e di un incremento dell’efficienza energetica». Tra il 1990 (anno “base” individuato nel Protocollo di Kyoto) e il 2014 le emissioni di tutti i gas serra sono così passate da 522 a 419 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, per poi ingranare la retromarcia nel corso dell’anno scorso. È ancora presto per individuare se il trend rimarrà questo anche nei prossimi anni, ma certo è un segnale da non trascurare, sia per la sua portata sia per il segno che condivide con altri trend ambientali.
Un aumento del 2%, anzitutto, è assolutamente rilevante se correlato con l’andamento del prodotto interno lordo. A fronte di un Pil che in Italia è tornato a crescere di un modesto +0,8% nel 2015, l’andamento dei gas serra mostra un incremento più che doppio. Non è quanto accade al di fuori dei confini nazionali, dove anzi il trend si muove in direzione opposta; il Pil del mondo è cresciuto del 3,1% nel 2015 (più del triplo rispetto a quello italiano, dunque), mentre le emissioni globali del settore energetico – la maggiore fonte di gas serra a livello globale – sono rimaste stabili. In Italia sono invece cresciute del 3%. Come mai? Dopo vent’anni, i consumi petroliferi italiani nel 2015 sono stati pari a circa 59,7 milioni di tonnellate, con un aumento del 3,6% rispetto al 2014. Al contempo gli investimenti in energie rinnovabili sono diminuiti di 30 volte rispetto al picco massimo raggiunto nel 2011, anche a causa – secondo quanto osserva un organismo terzo come l’Unep – di un quadro normativo ostile portato avanti dal governo nazionale.
A questo si aggiunga che non solo l’emissione di gas serra, ma anche la produzione di rifiuti urbani è tornata ad aumentare in Italia, e già dal 2014: secondo quanto rilevato sempre dall’Ispra nell’ultimo dossier pubblicato nel merito, due anni fa l’incremento è stato pari a 83 mila tonnellate. Ancora non è stato registrato un aumento nella produzione di rifiuti speciali (al netto di un data set ancora più nebuloso e di difficile interpretazione rispetto a quello già caotico degli urbani), ma d’altronde i dati più aggiornati risalgono al 2013 di un’Italia in piena recessione, con molte industrie ferme. Senza dimenticare che, storicamente, la produzione di rifiuti speciali nel Paese, nonostante rimanga ai margini del dibattito politico quanto quello ambientale, è pari al quadruplo di quella dei rifiuti urbani.
L’Italia negli anni della crisi ha dunque intrapreso faticosamente una stabile transizione verso un sistema di produzione e consumo più sostenibile, vocato al disaccoppiamento tra crescita economica e impatti ambientali, oppure semplicemente il miglioramento degli indicatori ambientali è da attribuirsi a una riduzione dell’attività economica, con consumi stagnanti e fabbriche chiuse? «Oggi – commenta da New York il ministro dell’Ambiente italiano, Gian Luca Galletti – firmiamo un accordo fondamentale per il futuro del Pianeta e da domani dovremo passare ai fatti». È la speranza di tutti, perché quel che ad oggi traspare è tutt’altro rassicurante.