Syriza e i dinosauri. Lezioni, timori e speranze della vittoria della sinistra in Grecia
[26 Gennaio 2015]
«La speranza ha vinto», si legge in greco sul profilo Twitter di Syriza che, superando i già lusinghieri pronostici della vigilia che la davano al 32% ha stravinto le elezioni greche arrivando al 36,3% e a soli 2 seggi dai 151 necessari per la maggioranza assoluta, relegando al 27,8% Nea Democratia e la speranza della Troika europea e della Germania di continuare a tagliare un popolo con l’affilato bisturi dell’austerity; un’operazione crudele che ha scavato nel corpo vivo della Grecia, solo che il paziente era sveglio e a un certo punto l’anestesia non ha più funzionato. I suicidi per le strade, la disoccupazione record, la fame dei bambini, la povertà da terzo mondo delle famiglie, la fuga nelle campagne alla ricerca di un pezzo di terra da coltivare hanno dato ragione a Tsipras e al suo miracoloso partito post-comunista, post-socialista e post-ecologista.
In Italia ormai, da ieri sera tutti sono diventati tifosi di Tsipras e propongono alleanze europee o anti-europee. Anche Renzi e chi nel PD prendeva in giro chi si era schierato con Syriza e il suo programma alle ultime europee e in cuor suo sperava che non vincesse, oppure – anche peggio per improntitudine e incoerenza – il leghista Salvini e la fascista Meloni, gente che quelli di Syriza butterebbero in mare, come hanno fatto spesso con i neonazisti di Alba Dorata quando hanno provato a fare spedizioni punitive contro immigrati e sinistra. Ora si scopre che la nuova sinistra greca dovrà trovarsi almeno un alleato in Parlamento e i pronostici – ma quanto siamo bravi a farli quando si tratta degli altri… – che vanno da un accordo con To Potami (6,1% e 17 seggi), dato fino a ieri come il Movimento 5 Stelle greco e improvvisamente diventato un partito di centro-sinistra, o Anel (gli Indipendenti che sembrano aver già detto di si ad un governo con Tsipras), una forza moderata e filo-europea che ha ormai poco a che vedere con il nostro centro-destra populista .
Ma Tsipras potrebbe allearsi, o cercare l’appoggio esterno, di quel che rimane del Pasok – distrutto dal malgoverno e poi dall’alleanza subalterna con la neoliberista Nea Democratia – ridotto al 4,5% (ma con 13 seggi), che potrebbe così almeno ritrovare la massa di elettori socialisti passati armi e bagagli con Syriza e fare ammenda del tragico abbaglio che ha portato all’estinzione del socialismo panellenico greco.
Gli alleati impossibili per Tsipras sono invece i neonazisti di Alba Dorata – dai quali c’è da aspettarsi sanguinose provocazioni e che vengano utilizzati da chi, in Grecia e in Europa, non si rassegna alla sconfitta, per una strategia della tensione che è stata vista al lavoro già in campagna elettorale nella paura del caos che Nea Democratia ha cercato di instillare nell’elettorato – che sono il terzo partito (ma in calo al 6,3%), tra la preoccupazione della stampa italiana che fa finta di non vedere che gran parte di quello che dicono i nazi greci lo dicono tutti i giorni in televisione e per le strade Salvini, la Meloni e La Russa. Ma si sa, in Italia i fascisti sono sempre gli altri, mentre i comunisti inesistenti sono sempre in agguato.
Il peggior nemico di Syriza sarà comunque, ed è stato, quello che secondo gli italiani – anche quelli della Brigata Kalimera che hanno affollato i ristoranti di Atene per dare una mano alla vittoria annunciata di Tsipras – dovrebbe essere il suo naturale alleato: il Partito Comunista di Grecia (KKE 5,5%) che con i suoi 15 seggi potrebbe garantire, anche con un appoggio esterno, un governo di sinistra alla Grecia. Ma il KKE considera Syriza una forza socialdemocratica, traditrice dell’ortodossia comunista e Tsipras un agente della destra che non vuole che il Paese si rinchiuda in un’autarchia comunista/stalinista, che è la cifra di questo partito che ha ossificato la storia gloriosa del comunismo greco e il sangue versato nella resistenza contro il nazi-fascismo nella nostalgia dell’Unione Sovietica e dell’esilio ai tempi della dittatura militare fascista.
Il voto in Grecia dice che la corsa al centro della sinistra è finita, si è infranta sulle antiche rovine del Partenone e su quelle moderne del Pasok travolto da un’austerità voluta dalla finanza iperliberista. Oggi l’Europa della Grosse Koalition democristiani-socialdemocratici-liberali si riunisce per capire cosa fare con questa bomba che è scoppiata, con questo meteorite che è caduto nel Jurassik park europeo, che rischia di decimare dinosauri politici di destra e sinistra, nonostante un’ingerenza mai vista nelle elezioni di uno Stato membro (altro che Brigata Kalimera italiana…) e Tsipras, nel suo discorso della vittoria davanti ai suoi compagni felici che cantavano Bella Ciao, ha già avvertito la Commissione europea e le lobby di Bruxelles e Berlino che «i greci hanno mostrato la strada del cambiamento all’Europa» e che «la Troika è una cosa del passato. Il voto contro l’austerità è stato forte e chiaro. Troveremo con l’Europa una nuova soluzione per far uscire la Grecia dal circolo vizioso dell’austerità e per far tornare a crescere l’Europa. La Grecia presenterà ora nuove proposte, un nuovo piano radicale per i prossimi 4 anni». Però non c’è da stare tranquilli: le forze neoliberiste che in questi anni hanno fatto alla Grecia la cura “post-sovietica” o “cilena” ben raccontata da Naomi Klein in Shock Economy sono ancora al lavoro e non riserveranno al governo di sinistra di Tsipras la stessa benevolenza concessa al filo-fascista, anti-europeo e anti-semita di Orban in Ungheria o ad altri nazionalisti post-sovietici e ai populismi occidentali che, alla fine, vengono utili per impedire che qualcosa cambi davvero.
E veniamo a noi, alla sinistra italiana. La battuta sui ristoranti pieni di italiani che ci è scappata qualche riga sopra è certamente ingenerosa, ma dà il senso di come è stata presentato dalla stampa italiana e da buona parte del PD lo sbarco della Brigata Kalimera in Grecia a ridosso delle elezioni. Sfottò non del tutto ingiustificati, visto che la sinistra (compreso quel che rimane di quella del PD) era in Grecia a sollecitare e ubriacarsi di un’unità di Popolo che non riesce a trovare in casa nostra, e che probabilmente molti dimenticheranno non appena rimetteranno piede sul suolo patrio, scendendo dall’aereo o dal traghetto che li riporta indietro dalle notti magiche di Atene.
Abbiamo sentito criticare la testardaggine del KKE da comunisti italiani che continuano a fare lo stesso con ben meno del suo 5,5%, e qualcuno era proprio sotto il palco di Tsipras a sventolare le cento bandiere di partitini e movimenti con meno dell’1%. Nessuno si illuda: la Grecia non è e non vuole essere una nuova Cuba e nemmeno la Bolivia di Morales, e il nuovo internazionalismo sta nel sostenere e comprendere un’esperienza radicalmente democratica che, se avrà successo, cambierà volto e senso all’intera sinistra occidentale. Adesso, una volta vinte le elezioni, per Syriza inizia il percorso più duro: soddisfare le aspettative suscitate (e le promesse elettorali fatte) sarà un’impresa titanica, e la demagogia potrebbe nascondersi dietro l’angolo. Quello che aspetta Syriza sarà in ogni caso un bagno di realismo, ma è giusto e rinvigorente dare fiducia in questa prova. Aspettiamoci che qualche sventolatore di bandiere tra qualche settimana dia del traditore a Tsipras perché scenderà a compromessi nell’interesse del suo popolo.
Ma nella notte di Atene e della festa della nuova sinistra greca ed europea, mentre sul palco a dire «Venceremos» e «No pasaran», a salutare i compagni con il pugno chiuso insieme a Tsipras, saliva Pablo Iglesias dello spagnolo Podemos, e non un qualche reduce della frantumazione dell’atomo della sinistra italiana. Si sentiva cantare Bella Ciao e sventolavano le bandiere del PCI di Enrico Berlinguer, qualcuna in mano ad italiani, ma molte portate dai greci, diventati di sinistra in Italia mentre studiavano da medici e farmacisti – gli stessi che oggi assistono gratuitamente i poveri e i lavoratori nei centri di assistenza messi su da Syriza – o dai rifugiati politici e da chi clandestinamente sfidava i colonnelli atlantisti greci e che aveva nell’eurocomunismo di Berlinguer e nel pensiero di Gramsci l’orizzonte ideale che oggi rispunta – rinnovato, tradotto, ripensato e reso attuale – in Grecia e che in Italia abbiamo dimenticato, quasi fosse una obsoleta vergogna.
E’ da quella generosa scuola di democrazia unitaria che nasce Syriza, è pensando a un partito che ha le sue radici nel popolo, nel lavoro, nei diritti e nella solidarietà che Alexix Tsipras è riuscito a federare una galassia di partitini litigiosi, a mettere insieme maoisti, trotskisti, eurocomunisti, socialisti e verdi per farne una nuova sinistra che ha ormai poco a che vedere con la tradizione comunista e socialdemocratica, e molto con la scelta di un socialismo radicalmente democratico e con forti radici ambientaliste, che punta a stravolgere con il voto e la partecipazione il neo-liberismo, il modello di consumo e produzione, la relazione dell’uomo con l’ambiente e la vita. E’ davvero l’Europa dei popoli contro l’Europa delle banche e delle caste, contro il mondo avido e spietato dell’1% che i greci senza luce, acqua e medicine hanno sperimentato.
Non sappiamo come si traduca in greco fattore umano, ma non crediamo sia “Human Factor”, né tantomeno “Rifondazione Comunista” o “Lista Tsipras”. La sinistra italiana, la snervata, snervante e divisa sinistra italiana, se vuole davvero fare come in Grecia, deve abbandonare sé stessa, tornare come ha fatto Syriza tra la gente, riscoprire che cantare Bella Ciao non è solo liberatorio, ma a Salonicco come a Kobane, tra i Kurdi che combattono contro fascisti islamisti, rappresenta l’impegno per una nuova resistenza. E la resistenza, la solidarietà, la lotta per un mondo diverso e possibile, le si praticano tutti i giorni – magari in una mensa o in un ambulatorio o in un doposcuola organizzati con la Caritas, come ad Atene – allora le divisioni, i capetti, i distinguo ideologici, la scissione dell’atomo… non avranno più senso perché la sinistra potrà tornare a fare il suo lavoro, che è quello di organizzare politicamente i lavoratori e chi ha meno, i sempre più che hanno sempre di meno.
Solo allora, se la sconfortante sinistra italiana uscirà dai convegni di belle parole e slogan a effetto in inglese, deporrà le troppe bandiere che sventolano su Facebook e Twitter e tornerà nei quartieri e nei paesi, casa per casa, al lavoro e alla lotta, come diceva qualcuno e come hanno fatto quelli di Syriza in Grecia e Podemos in Spagna, se i vecchi compagni che stanotte erano ubriachi di gioia per la vittoria dei giovani di Tsipras si faranno da parte con i loro partiti… solo allora la sinistra italiana ritroverà sé stessa e potrà sventolare con mani e cuori nuovi le vecchie bandiere viste ad Atene.