Turchia: la sinistra kurda e ambientalista blocca la svolta autoritaria di Erdoğan

L’HDP supera la soglia di sbarramento, gli islamisti costretti a un’alleanza con i Lupi Grigi?

[8 Giugno 2015]

In Turchia non sono bastati gli attentati e i brogli denunciati in molte circoscrizioni  per fermare l’avanzata della sinistra, e il presidente Recep Tayyip Erdoğan oggi non ha più la maggioranza assoluta  conquistata dal suo Adalet ve Kalkınma Partisi  (AKP – Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) 13 anni fa, e mai persa fino ad ora.

Se è vero che l’AKP si conferma il primo Partito turco con il 41% e che – grazie alla soglia di sbarramento del 10% che falcidia tutti i Partiti minori – si aggiudica  circa 258 seggi in Parlamento (18 in meno della maggioranza assoluta),  è anche vero che perde quasi il 9% rispetto alle precedenti elezioni e che sarà probabilmente costretto a fare un governo di coalizione con il Milliyetçi Hareket Partisi (MHP- Partito del movimento nazionalista), il  braccio politico delle milizie paramilitari fasciste dei Lupi Grigi, nemico giurato di kurdi e armeni, dalle cui fila proveniva Mehmet Ali Ağca, l’attentatore di Papa Giovanni Paolo II.

Il problema per Erdoğan è che nemmeno i Lupi Grigi dell’MHP – arrivati terzi con il 16,5%  – vogliono quella Repubblica super-presidenziale che l’uomo forte della Turchia ha cercato di imporre al suo Paese con queste elezioni. Il leader dell’MHP, Devlet Bahceli, pur non escludendo la possibilità di entrare in un governo di coalizione con l’AKP, ha detto infatti che i risultati delle elezioni rappresentano «l’inizio della fine per l’AKP». L’alleato sembra più che scomodo.

Erdoğan si troverà per la prima volta da quando ha preso il potere – come premier e poi come presidente – a fare i conti con una opposizione “laica” molto agguerrita: al secondo posto, con un ottimo 25%,  si sono piazzati i suoi storici nemici socialdemocratici/kemalisti del Cumhuriyet Halk Partisi (CHP – Partito Repubblicano del Popolo) e al quarto coloro che Erdoğan ha cercato in ogni modo di non far entrare in Parlamento e che hanno decretato invece la sua prima vera sconfitta: i kurdi dell’Halkların Demokratik Partisi (HDP- Partito democratico del popolo), che sono riusciti a coalizzare la nuova Turchia che guarda al rispetto delle minoranze etniche e sessuali, ai diritti delle donne ed al mondo del lavoro e – novità quasi assoluta per la Turchia – alla tutela dell’ambiente e alla costruzione di un’economia ecologica.

L’HDP non solo è riuscito a superare le forche caudine del 10%, ma è dato tra il 12 e il 13%, quarta forza del Paese ed unica speranza di risolvere la questione kurda attraverso il riconoscimento delle sue peculiarità – anche politiche – che sono state condivise, soprattutto nelle grandi città, da una nuova sinistra – formatasi in durissime battaglie contro la speculazione edilizia dell’AKP, come quella del Gezi park –  che vede nel programma progressista, federalista, libertario e ambientalista dell’HDP una nuova speranza per uscire dalla cappa islamista calata da Erdoğan sulla Turchia.

Non a caso a festeggiare in piazza a Istanbul e Ankara è soprattutto la sinistra, sotto le bandiere multicolori dell’HDP che ricordano molto quelle della greca Siryza o quelle dei combattenti progressisti kurdi del Rojava in Siria. Il partito della sinistra kurda porterà in Parlamento non solo la voce della sua gente ma anche quello delle proteste sociali e ambientaliste di questi ultimi anni in tutta la Turchia.

Nel Medio Oriente che sembra ormai preda dell’islamismo radicale e di una lotta tra autoritarismi e Stato Islamico/Daesh, ancora una volta i kurdi rappresentano l’alternativa laica e progressista, che sembra però far paura all’Occidente quasi più dei tagliagole neri.

Che in Turchia stia cambiando qualcosa di profondo – e stavolta nella buona direzione – lo hanno detto anche i copresidenti dell’HDP, Selahattin Demirtas  e Figen Yuksekdag (un uomo e una donna, altra cosa rivoluzionaria per la Turchia) che hanno definito il superamento della soglia di sbarramento «una vittoria congiunta della Sinistra che ha impedito alla Turchia di cadere in un baratro».

L’HDP non è solo un partito metropolitano dei diritti civili, è un partito del popolo e dei poveri, radicato tra contadini e operai. Demirtas ha detto che «la Turchia dei poveri, come i braccianti,  ha ottenuto una vittoria spettacolare. Il risultato che desideravano sarà un bene per tutta la Turchia. La Turchia non ha accettato che ci sia un unico proprietario. Il risultato si qualifica come una vittoria di tutti gli oppressi, turchi, kurdi, di tutte le identità etniche, deve essere vista come una eccezionale vittoria comune degli oppressi e della sinistra».

Ora l’AKP non si trova solo a dover far fronte direttamente in Parlamento al “problema kurdo” che ha negato in tutta la campagna elettorale, ma con una sinistra kurda che parla a tutta la Turchia e che non ha ceduto alla strategia del terrore e della paura del Partito islamista. Per Demirtas, considerato l’artefice e lo stratega della sconfitta di  Erdoğan, «in Turchia si è chiusa la questione della dittatura. La Turchia è tornata indietro dall’orlo dell’abisso. La vittoria non è merito di una mente superiore, ma della mente collettiva dell’opinione pubblica, che domani renderà più libera la Turchia per tutte le decisioni».

La Selahattin, dopo aver ringraziato elettori e militanti ha evocato lo spettro della politica turca: il leader kurdo del PKK Abdullah Ocalan, il “terrorista” che dalla galera ha ispirato la svolta dell’HDP per una pace permanente e i progressisti kurdi che combattono contro lo Stato Islamico/Daesh per un Rojava e un Kurdistan federali in un Medio Oriente dove i Kurdi vivano in pace attraverso le frontiere nazionali. Un modello di società progressista e libertaria che riconosce la parità delle donne – che hanno avuto un ruolo essenziale nel successo dell’HDP –  e delle minoranze etniche, che comincia a parlare non solo ai kurdi, ma anche ad arabi, turchi, yazidi e turcomanni di ogni religione.

Probabilmente ha  ragione Demirtas quando dice che il successo dell’HDP «è un dono per la Turchia. Ha capito che col sole si ottiene di più che con una lampadina», e il sole è il simbolo del Kurdistan, mentre la lampadina è il logo dell’AKP di Erdogan.