Acque, inquinamento, costi e tasse: interviene la Corte Ue
[16 Settembre 2014]
La mancata tariffazione delle attività di estrazione o arginamento delle acque non pregiudica necessariamente la protezione e l’utilizzo sostenibile delle stesse. Lo afferma la Corte di Giustizia europea in riferimento al ricorso della Commissione europea contro la Germania. Secondo la Commissione, la Repubblica federale di Germania ha violato la direttiva europea del 2000, quella che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque. Perché ha escluso alcuni servizi (l’arginamento ai fini della produzione di energia idraulica, la navigazione e la protezione dalle inondazioni, l’estrazione ai fini dell’irrigazione e a fini industriali, nonché l’uso privato) dall’applicazione della nozione di “servizi idrici”. Per la Germania i servizi idrici sono limitati alla fornitura e alla raccolta dell’acqua, al trattamento e allo smaltimento delle acque reflue. Ed escludono gli arginamenti, segnatamente ai fini della produzione di energia elettrica attraverso l’energia idraulica, della navigazione e della protezione dalle inondazioni. Elementi che non sono presi in considerazione ai fini dell’applicazione del principio del recupero dei costi.
La direttiva del 2000 – la numero 60 – si pone come obiettivo quello di mantenere e migliorare l’ambiente acquatico all’interno della Comunità. Tale obiettivo riguarda principalmente la qualità delle acque.
L’obiettivo di ottenere un buono stato delle acque dovrebbe essere perseguito a livello di ciascun bacino idrografico, in modo da coordinare le misure riguardanti le acque superficiali e sotterranee appartenenti al medesimo sistema ecologico, idrologico e idrogeologico. Risulta quindi opportuno che gli Stati membri ricorrano a strumenti economici nell’ambito di un programma di misure. Il principio del recupero dei costi dei servizi idrici, compresi quelli ambientali e delle risorse, in relazione ai danni o alle ripercussioni negative per l’ambiente acquatico, deve essere preso in considerazione, in particolare, in base al principio “chi inquina paga”. A tal fine, sarà necessaria un’analisi economica dei servizi idrici, basata sulle previsioni a lungo termine della domanda e dell’offerta nel distretto idrografico.
Dunque, gli Stati devono provvedere a che le politiche dei prezzi dell’acqua incentivino adeguatamente gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente in modo da contribuire agli obiettivi ambientali fissati dalla direttiva. Una direttiva che definisce come “servizi idrici” tutti i servizi che forniscono alle famiglie, agli enti pubblici o a qualsiasi attività economica, da un lato, l’estrazione, l’arginamento, lo stoccaggio, il trattamento e la distribuzione di acque superficiali o sotterranee e, dall’altro, le strutture per la raccolta e il trattamento delle acque reflue, che successivamente scaricano nelle acque superficiali. Ma la direttiva non fornisce la nozione di “servizi”.
Tali disposizioni, quindi, non sono sufficienti a determinare se il legislatore dell’Unione abbia inteso assoggettare al principio del recupero dei costi, ogni servizio relativo a ciascuna delle attività citate, oltre a quelli legati al trattamento delle acque reflue o soltanto, da un lato, i servizi connessi all’attività di fornitura idrica prevedendo che si tenga conto di tutte le fasi di tale attività e, dall’altro, quelli connessi all’attività di trattamento delle acque reflue
Resta comunque il fatto che gli Stati membri sono autorizzati, a determinate condizioni, a non applicare il recupero dei costi per una determinata attività di impiego delle acque, dove ciò non comprometta i fini e il raggiungimento degli obiettivi di tale direttiva. Ne consegue che potrebbe essere possibile garantire un buono stato delle acque senza assoggettare al principio del recupero dei costi tutte le attività ricomprese nella nozione di servizi idrici.