Una sfida cruciale per un Paese come il nostro, dove il 20% del territorio è già a rischio desertificazione
Agricoltura, le acque reflue possono coprire fino al 50% del fabbisogno irriguo italiano
Anbi: «Ci sono solo 3 anni per armonizzare le normative nazionali con il Regolamento comunitario sui requisiti minimi dell’acqua di riuso e che, dopo 6 anni di gestazione, è già attuativo, prevedendone l’obbligatorietà in campo agricolo»
[27 Luglio 2020]
Più del 50% del volume d’acqua complessivamente utilizzato in Italia è destinato all’irrigazione, secondo i dati raccolti da Istat. Per questo rendere più efficienti e circolari i consumi d’acqua nei campi agricoli è una sfida cruciale per un Paese come il nostro, dove il 20% del territorio è già a rischio desertificazione. Un importante strumento, in quest’ottica, sta nella depurazione e nel successivo riuso delle acque reflue.
«Ci sono solo 3 anni per armonizzare le normative nazionali con il Regolamento comunitario sui requisiti minimi dell’acqua di riuso e che, dopo 6 anni di gestazione, è già attuativo, prevedendone l’obbligatorietà in campo agricolo – spiega Massimo Gargano, direttore generale di Anbi, l’Associazione che riunisce i Consorzi di bonifica – È necessario adeguarlo agli obbiettivi del Green new deal e, per questo, proponiamo la costituzione di un tavolo tecnico intersettoriale per rendere compatibili le indicazioni da Bruxelles con le aspettative dei settori economici del nostro Paese; dobbiamo evitare l’italica abitudine di arrivare impreparati alla scadenza».
Per l’utilizzo delle acque reflue dagli impianti di depurazione urbana l’Anbi parla dunque di “acqua su misura” per le necessità irrigue dell’agricoltura, in crescita a causa dei cambiamenti climatici: «L’acqua affinata – precisa Francesco Vincenzi, presidente Anbi – è il prodotto di un ciclo industriale e può quindi essere calibrata sulle necessità dell’utente finale, cioè l’imprenditore agricolo. I costi di tale processo, però, non possono gravare sui bilanci delle aziende rurali e, pertanto, servono investimenti per la realizzazione di reti ed infrastrutture compatibili con gli attuali sistemi di irrigazione collettiva e garanzie rigorose sulla qualità dell’acqua per i consumatori, ne va di mezzo la salute e la tenuta stessa del Made in Italy agroalimentare. In questo momento di scelte fondamentali per il futuro modello economico del Paese, è importante porre anche questo tema per allineare l’Italia alle indicazioni dell’Unione europea, finora largamente disattese».
In quest’ottica, come argomenta Alessandro Folli, presidente dei Consorzi di bonifica lombardi, per Anbi «le acque reflue devono essere integrative, non sostitutive dell’attuale sistema irriguo, pur potendone rappresentare fino al 50% del fabbisogno». Un quantitativo di tutto rispetto, quindi.
Come ogni esempio d’economia circolare (ed ogni processo industriale), la depurazione delle acque è collegata alla produzione di nuovi scarti – in primis fanghi di depurazione – che è necessario saper e poter gestire attraverso un’impiantistica dedicata.
«Dalle acque reflue – conclude Adriano Battilani, segretario generale di “Irrigants d’Europe”, che rappresenta il 75% delle aree irrigate nella Ue – devono essere estratte, prima dell’utilizzo agricolo, quelle sostanze incompatibili con l’irrigazione, ma utili in altri settori, favorendo così un esempio di economia circolare. Devono contestualmente esserci campagne di responsabilizzazione collettiva sulla qualità delle risorse idriche, perché il caso delle microplastiche presenti nelle acque dimostra come sia ancora lunga la strada da percorrere».