«Serve un nuovo approccio gestionale sul tema dell’acqua, un rafforzamento dei controlli ambientali e la completa attuazione della diretta quadro sulle Acque 2000/60 non più rimandabile»
Buone e cattive acque: viaggio nell’Italia di falde, fiumi e laghi inquinati e delle acque salvate
Il report di Legambiente sullo stato di salute dei corpi idrici italiani
[21 Marzo 2019]
Il dossier “Buone & Cattive Acque” di Legambiente racconta le storie di fiumi, laghi e falde italiani che non godono di buona salute e che sono minacciati dall’inquinamento chimico, da attività agricole non sostenibili e da quelle industriali, dalla maladepurazione che si ripercuote sui corpi idrici; ma anche dal sovrasfruttamento delle acque a scopo idroelettrico.
Legambiente spiega che «Si va ad esempio dall’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas), nelle falde tra le provincie Verona, Vicenza e Padova (un territorio di circa 180 Km2) e che mette a rischio 300.000 cittadini. Un inquinamento che, da poco tempo, si è scoperto essere presente in Piemonte, nella provincia di Alessandria, e sui cui Legambiente chiede chiarezza, Per passare al lago d’Orta in Piemonte che negli ultimi tempi è stato al cento di nuovi episodi di inquinamento, nonostante sia stato avviato negli ultimi anni un faticoso iter di recupero per salvare il bacino lacustre, definito in passato batteriologicamente morto a causa della contaminazione da metalli pesanti e acidificazione delle acque. E poi c’è la Valle del fiume Sacco, nel Lazio, dove l’inquinamento diffuso ed i ritardi nelle operazioni di bonifica stanno mettendo in ginocchio diversi territori».
Il dossier ambientalista evidenzia che «Anche l’agricoltura non sostenibile può creare criticità alle risorse idriche a causa, ad esempio, dell’uso indiscriminato di pesticidi, come accade in Emilia Romagna oppure a causa della concomitanza di insediamenti urbani e industriali come accade per le lagune costiere di Lesina e Varano in Puglia. E che dire dell’inquinamento del fiume Sarno in Campania dovuto ai reflui civici, alle attività agricole e industriali; o delle “acque che nessuno vuole” provenienti dal canale Scolmatore Nord ovest in provincia di Milano, un canale artificiale costruito per mitigare il rischio idrogeologico dell’area, che nel tempo sono diventate fogne a cielo aperto a causa della forte antropizzazione dei territori limitrofi. Non mancano storie di cattiva gestione dei corsi d’acqua per uso idroelettrico, come denunciato da anni dai territori dell’area alpina, dove il deflusso minimo vitale e gli aspetti ecosistemici vengono troppo spesso elusi per garantire piccole produzioni di energia, come nel caso del torrente St. Barthélemy in Valle d’Aosta, il fiume Spoel in Lombardia, e l’Isonzo in Friuli Venezia Giulia».
AD aprile 2018 l’azienda sanitaria di Matera ha emesso delle ordinanze per vietare l’uso e consumo di acqua a scopo potabile in alcuni comuni delle costa Jonica per superamento dei valori di trialometani oltre la soglia consentita. Nel report si parla anche della cronica emergenza per contaminazione da tratracloroetilene presente nella provincia di Avellino, che ancora paga l’eredità del polo industriale della concia e poi della grave emergenza dei SIN (Siti di interesse Nazionale da bonificare) nell’area della Van Basento (in Basilicata). Diversi sono stati i divieti di utilizzo delle acque di falda emessi dai sindaci, non solo nelle zone della valle del Basento, ma anche in quelle porzioni di territorio limitrofo in cui le falde potevano essere state contaminate.
Il rapporto affronta anche il tema della gestione delle falde acquifere dell’Appennino Centrale nelle aree post sima dove a seguito del terremoto del 2016 si sono registrate anomalie nel regime idrologico dei corsi d’acqua: «L’esempio più impressionante è quello della sorgente del Torbidone, nel comune di Norcia che, scomparsa dopo il terremoto del 1979, ha ricominciato a funzionare dopo il 30 ottobre 2016 con una portata che è andata via via aumentando fino a raggiungere, all’inizio di febbraio, circa 1600 l/s. Anomalie che andranno gestite per evitare lo svuotamento della falda».
Storie che il Cigno Verde pubblica alla vigilia della giornata mondiale dell’acqua, disegnando una mappa dell’Italia delle “cattive acque”, ma anche buone pratiche e delle “acque salvate” che mettono al centro la tutela di questa preziosa risorsa: «come ad esempio i progetti che diventano strumenti di governance partecipata e riqualificazione ecologica come quello del sottobacino Lambro Settentrionale, come Volontari per Natura, il grande progetto nazionale di citizen scienze che coinvolge volontari di tutta Italia attraverso cinque campagne di monitoraggio , tra cui quella sulla qualità dell’acqua, con la mappatura del beach litter, la ricerca di scarichi sospetti in mare e nei laghi, il campionamento delle acque dei fiumi, piuttosto che il progetto VisPo, che coinvolge giovani volontari under 30 in attività di pulizia valorizzazione delle sponde del fiume Po e dei suoi affluenti nel territorio piemontese. E poi il progetto “BrianzaStream”, in fase di sperimentazione, che attraverso l’utilizzo di droni dà la “caccia” agli scarichi inquinanti che si riversano nel fiume Seveso e nel suo affluente Certesa».
Nel report si parla dei tre progetti in Lombardia che coinvolgono il fiume Olona: “Olona entra in città” che prevede la ricostruzione del corridoio ecologico fluviale nel tessuto metropolitano”, il “Sistema Olona” che ha al centro il ripristino dell’habitat e i “Progetti del Parco dei Mulini” con il ripristino habitat e di aree di fruizione. C’è poi la storia dell’Ufficio Acque della provincia di Cuneo che dimostra come rispettare norme in difesa dell’ambiente sia possibile anche quando la loro applicazione si fa difficile. Quella del Canale Navile di Bologna che si intreccia con il Comitato “Salviamo il Navile” che nel 2017 ha presentato un progetto di iniziativa popolare per salvarlo, e conseguentemente a questa azione il Comune di Bologna ha costituito un gruppo di lavoro. Nel 2018 sono arrivati due passi positivi per salvare il Canale. Per altro nella prima edizione di questo dossier, realizzata nel 2015, la storia del Canale era stata annoverata, a seguito della denuncia delle cattive condizioni, tra quelle negative, ora si sta trasformando in una esperienza virtuosa di buona gestione.
Tra le altre buone pratiche c’è anche la storia del Contratto di Lago di Massaciuccoli, in Toscana, che ha coinvolto diversi soggetti per individuare e definire le azioni per la tutela e lo sviluppo dell’area. Ed infine alcune iniziative che coinvolgono associazioni, istituzioni e cittadini a livello europeocome il Big Jump, la campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della qualità delle acque e sul recupero della balneabilità dei grandi corsi d’acqua, e #ProtectWater, la campagna della coalizione “Living Rivers” a difesa della Direttiva europea sull’Acqua.
Legambiente sottolinea che l’obiettivo del rapporto è quello di «richiamare l’attenzione sul problema dell’inquinamento dei corpi idrici e sull’importanza e l’urgenza di mettere in campo una efficace tutela e corretta gestione della risorsa idrica e dei corsi d’acqua che risentono, sempre più, dei cambiamenti climatici e dei fenomeni estremi di siccità come quella registrata nell’estate del 2017. Recentemente la stessa Commissione Europea ha ribadito all’Italia la necessità di tutelare le acque interne e costiere e di dare piena attuazione alla direttiva quadro sulle Acque 2000/60, che stabilisce parametri e criteri per classificare i corpi idrici, superficiali e profondi, in “classi di qualità” per lo stato ecologico, chimico, e quantitativo e ne chiede il raggiungimento o il mantenimento del buono stato ecologico entro il 2027. Obiettivo che, nonostante la scadenza posticipata rispetto al 2015, termine previsto inizialmente, resta ambizioso e soprattutto non più rimandabile se si vuole evitare di mettere a repentaglio la disponibilità della risorsa idrica di buona qualità per gli ecosistemi e le persone».
I dati dei monitoraggi eseguiti per la direttiva Quadro Acque, nel quinquennio 2010-2015, pubblicati dall’Ispra, sono chiari: «Lo stato attuale dei corpi idrici italiani vede nella Penisola solo il 43% dei 7.494 fiumi in “buono o elevato stato ecologico”, il 41% al di sotto dell’obiettivo di qualità previsto e ben il 16% non ancora classificato. Ancora più grave la situazione dei 347 laghi, di cui solo il 20% è in regola con la normativa europea mentre il 41% non è stato ancora classificato. Lo stato chimico non è buono per il 7% dei fiumi e il 10% dei laghi, mentre il 18% e il 42% rispettivamente non è stato classificato. La maggior parte dei fiumi non classificati si trova nei distretti idrografici dell’Appennino Meridionale e della Sicilia (55% e 56% rispettivamente), così come per i laghi (73% e 84% rispettivamente)».
Il direttore generale di Legambiente, Giorgio Zampetti, fa notare che «Oggi più che mai risulta evidente come sia necessario un nuovo approccio gestionale sul tema dell’acqua, con piani strategici che puntano ad eliminare gli scarichi inquinanti e a ridurre i prelievi, una misura necessaria per far fronte ai cambiamenti climatici e all’emergenza siccità scatta anche in questi giorni a partire dal bacino del Po. È inoltre importate definire strumenti di partecipazione adeguati (come i contratti di Fiume e i contratti di Lago), che coinvolgano settori pubblici e privati, istituzioni, associazioni, cittadini, tecnici ed esperti per individuare le criticità e le politiche da mettere in campo. Per garantire misure risolutive calibrate sulle problematiche specifiche di ciascun bacino idrografico, è necessario completare la rete dei controlli ambientali, e uniformare su tutto il territorio nazionale il monitoraggio. Il cambiamento necessario passa, dunque, attraverso alcune parole chiave come riqualificazione dei corsi d’acqua e rinaturalizzazione delle sponde, contrasto all’impermeabilizzazione dei suoli, miglioramento del trattamento di depurazione e implementazione del riutilizzo delle acque a 360° (dai fini industriali a quelli irrigui e domestici), rafforzamento dei controlli ambientali, innovazione e completa attuazione delle direttive europee, a partire da 2000/60».
Andrea Minutolo, coordinatore dell’ufficio scientifico di Legambiente, ricorda che «La tutela della risorsa idrica passa anche attraverso una corretta depurazione dei reflui fognari. Il nostro Paese non riesce ad uscire da questa persistente emergenza che ha portato l’Italia ad avere quattro procedure di infrazione di cui le prime due già sfociate in condanna, la terza in fase di deferimento alla Commissione europea e l’ultima in fase di messa in mora. Questi ritardi indicano in primis la necessità di riqualificare o costruire impianti, di investire sulla ricerca e lo sviluppo di sistemi innovativi, e di migliorare il trattamento delle acque industriali, evitando il mescolamento dei reflui industriali con quelli civili».
Le principali pressioni antropiche che ostacolano il raggiungimento degli standard ambientali dei corpi idrici sono: agricoltura non sostenibile e sviluppo urbano, attività industriali, prelievi e derivazioni dei corpi idrici (per gli impianti di piscicoltura, usi idroelettrici, industriali, agricoli e civili per il prelievo di acque potabili). L’agricoltura ha il peso maggiore sia sui corpi idrici sotterranei che superficiali, e questi ultimi subiscono anche l’impatto dei prelievi per uso idroelettrico.
Dal dossier emerge che «In Italia si consumano annualmente oltre 26 miliardi di metri cubi di acqua. In particolare, il 55% circa della domanda di acqua proviene dal settore agricolo, il 27% da quello industriale e il 18% da quello civile. Il prelievo di acqua supera però i 33 miliardi di metri cubi. I consumi rappresentano, infatti, poco meno del 78% dei prelievi a causa di un ammontare di perdite pari a circa il 22%, ossia 7 miliardi di metri cubi all’anno, del prelievo totale e di queste il 17% è rappresentato delle perdite che avvengono nel settore agricolo. (Dati Water Management Report 2017)».
Per Munutolo, «Sull’agricoltura è necessario agire con forza, ripensando ad una riconversione del sistema di irrigazione puntando a sistemi di microirrigazione a goccia, che possono garantire almeno il 50% del risparmio di acqua utilizzata, e rivedere completamente il sistema di tariffazione degli usi dell’acqua, con un sistema di premialità e penalità che valorizzi le esperienze virtuose».
Anche l’inquinamento chimico resta una criticità per le acque comunitarie. Secondo i dati dell’European Pollutant Release and Transfer Register (E-PRTR), in Italia nel 2016 sono state emesse oltre 280 tonnellate di metalli pesanti direttamente nei corpi idrici, che si aggiungono alle sostanze organiche e inorganiche emesse dalle attività industriali.