L’indagine è una vera bomba per i papaveri di Pechino
Carbone assetato e water grab, il governo cinese censura Greenpeace [VIDEO e PHOTOGALLERY]
Su internet sparisce il rapporto sul furto di acqua per alimentare il complesso carbonifero di Shenhua
[30 Luglio 2013]
Nel 2012 Greenpeace pubblicò uno studio sugli impatti dell’industria del carbone insieme all’Accademia cinese delle scienze, ma il seguito di quell’indagine, il rapporto Thirsty Coal: A Water Crisis Exacerbated By China’s New Mega Coal Bases non è piaciuto affatto al regime di Pechino. L’indagine di Greenpeace East Asia si concentra infatti sulla parte più controversa della strategia del carbone cinese: la proposta di aumentare il settore “coal chemical”.
Greenpeace ha analizzato in particolare il più grande dei 9 progetti pilota di “carbone chimico” in funzione: quello il più grande dei nove carbone progetti dimostrativi chimici in funzione: lo Shenhua’s Coal-to-Liquid Demonstration Project di Ordos, nella Mongolia Interna, un gigantesco complesso industriale che secondo gli ambientalisti «E’ un classico esempio dell’espansione incontrollata delle industrie del carbone-dipendenti che sono in crescente conflitto con le risorse idriche della Cina».
Il nervosismo del governo cinese deriva dal fatto che lo Shenhua Group non solo è statale ma è anche il il più grande conglomerato carbonifero della Cina, che ogni anno produce 460 milioni di tonnellate di carbone grezzo, la metà delle quali nel giacimento carbonifero di Shendong, che è attualmente il più grande giacimento di carbone integrata in termini di riserve provate e che costituisce un quarto del totale nazionale. Si tratta di uno degli 8 giacimenti di carbone più grandi del mondo e contiene sia il giacimento di Shendong che le unità carbonifere di Shaanbei. E’ lì che dal 2008 è operativo il Coal-to Liquid Demonstration Project di Ordos.
Greenpeace East Asia dice che «La nostra indagine ha rivelato che il Coal-to-Liquid Project di Shenhua è ha fatto di tutto per garantirsi l’approvvigionamento di acqua per le sue operazioni ed ha trovato allarmante evidenza di un danno ecologico e sociale diffuso, derivante dal breve arco di 8 anni di attività. Il saccheggio da parte di Shenhua dell’acqua a spese della popolazione locale e del rifornimento di base di cui ha bisogno dell’ambiente è di una portata tale che può essere descritto solo un “water grab” realizzato nel modo più spietato». Il progetto pilota di liquefazione del carbone sta prosciugando le falde idriche ed ha ridotto di quasi due terzi la portata di un grande lago.
Ma il gigante carbonifero statale cinese non si limita a rubare acqua in una delle regioni autonome più da agenzia come Reuters ed Afp ed ha fatto il giro del mondo, così sono venute fuori le proteste ad i gravi disordini sociali contro le attività carbonifere ed i danni ecologici che hanno causato, tra i quali l’aumento della desertificazione e l’impatto devastante della carenza d’acqua sulle attività di agricoltori e allevatori.
Ma in Cina quasi nessuno sa di questa brutta storia ed anche la conferenza stampa di presentazione del rapporto “Thirsty Coal” a Pechino è stato ignorata dai media cinesi, un vero e proprio blackout informativo nella Cina continentale, mentre il dossier sul carbone nella Mongolia interna ha fatto scalpore ad Hong Kong, Macao e Taiwan. Greenpeace East Asia ci ha messo poco a capire cosa sta succedendo: ha scoperto che prima della conferenza stampa a Pechino il governo aveva inviato una direttiva ai media perché non parlassero dell’inchiesta ambientalista sulle attività di Shenhua. Inoltre su Weibo, la versione cinese di Twitter, sono stati rimossi tutti i post riguardanti l’argomento. Questo ha spinto “cittadini della rete” cinesi a ripubblicare i link censurati riguardanti Shenhua, così le parole “Greenpeace” e “Shenhua” hanno fatto un balzo tra quelle più lette su internet e il regime cinese le ha bandite, è la prima volta che succede una cosa simile a Greenpeace EastAsia. «Una vecchio detto dice che una foto può dire più di mille parole – aggiungono gli ambientalisti – quindi è significativo che sia stata bloccata anche una galleria di foto su uno dei principali portali di notizie della Cina».
E se una foto rappresenta più di mille parole, quante ne rappresenta un video? YouTube è vietato in Cina, ed i cinesi possono vedere i video su internet solo sul portale Youku, ma anche qui il video messo in linea da Greenpeace è stato censurato e rimosso perché ritrae una comunità della Mongolia Interna colpita dallo spietato “water grab” di Shenhua. Nonostante la censura, Greenpeace Eat Asia resiste ed ha sostituito il link a Youku bloccato con uno a YouTube.
Ma cosa è che ha fatto scattare la censura del regime comunista? Greenpeace è allarmata per i piani di ulteriore ‘espansione del progetto Shenhua e chiede alla compagnia statale di porre fine al furto d’acqua ed al governo cinese di far rispettare gli stessi principi di sostenibilità che declama ad ogni occasione ufficiale. Deng Ping, di Greenpeace East Asia ha detto: «Shenhua rivendica che il suo progetto coal-to-liquid project sia a “basso consumo di acqua” e a “scarico zero”, la nostra inchiesta dimostra che queste affermazioni sono false. Migliaia di agricoltori e pastori sono stati colpiti dallo spudorato sfruttamento delle acque sotterranee per il profitto di Shenhua. Le pratiche di Shenhua stanno violando i principi sulle risorse idriche cinesi e le leggi sul controllo dello scarico delle acque reflue industriali».
Da quando, nel 2006, Shenhua ha cominciato a pompare le falde della Mongolia Interna, più di 50 milioni di tonnellate di acque sotterranee sono stati estratte ad Ordos, abbassando le falde di quasi 100 metri. Il prelievo di acqua nel lago di Subeinaoer lo ha ridotto ad un terzo della superficie originale.
Il governo di Pechino è molto nervoso perché per la prima volta un’indagine di Greenpeace si occupa di un’azienda statale che è anche il più grande produttore di carbone del mondo e perché il rapporto, frutto di 11 studi effettuati sul campo da marzo a luglio 2013 demolisce senza possibilità di repliche e smentite l’immagine propagandistica di una Shenhua all’avanguardia e dei nuovi progetti del “carbone pulito” amici dell’ambiente. Il dossier di Greenpeace rileva invece che «Nelle acque reflue è stata trovata un’elevata concentrazione di sostanze chimiche tossiche, inclusi livelli di benzo(a)pirene negli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) che erano più di tre volte oltre la norma nazionale, mentre il solfuro era quasi il doppio del livello legale. In totale ne nelle acque di scarico e nei campioni di sedimenti sono stati identificati 99 composti organici semi-volatili, tra cui Ipa e Pah-derivati xylene, stirene, diclorometano e cresolo, molti dei quali sono considerati cancerogeni».
L’indagine di Greenpeace East Asia è una vera bomba per il governo cinese, perché dimostra che «L’espansione incontrollata delle industrie dipendenti dal carbone sta minacciando risorse idriche della Cina». Gran parte degli impianti carboniferi che si stanno espandendo nella Cina occidentale si trovano in zone aride con notevole stress idrico ed abitate da minoranze etniche come gli uiguri che non vedono di buon occhio questo nuovo e devastante colonialismo industriale cinese/han. Infatti l’industria del carbone utilizza grandi quantità di acqua per la produzione di carbone, per le centrali a carbone e per trasformare chimicamente il carbone in combustibile per i trasporti.
Greenpeace East Asia ha chiesto al governo centrale cinese di «Emanare disposizioni chiare e di esercitare una rigorosa applicazione dei progetti coal-to-chemical. Il principio del “Limitare l’espansione del carbone in base alla capacità idrica” (Circolare concernente il rafforzamento dello sviluppo e la gestione del progetti del carbone chimico per promuovere un sano sviluppo del settore) indicato dal governo centrale della Cina, deve essere seguito nell’applicazione e nei permessi dei progetti coal-to-chemical». Ma la risposta del regime all’appello a rispettare le sue stesse leggi è stata la censura.