Cosa sta succedendo in Brasile dopo la strage mineraria di Brumadinho
La rottura della diga di Córrego de Feijão ha rilasciato più di 12 milioni di metri cubi di fango e inerti: si tratta del secondo più grande disastro ambientale nella storia del Paese
[15 Febbraio 2019]
Situato nella regione metropolitana di Belo Horizonte, Minas Gerais, nel Brasile sudorientale, per molti, prima del 25 gennaio Brumadinho era solo uno dei 853 comuni dello Stato che si distingueva per le sue sorgenti di acqua e i rilievi montagnosi. La rottura della diga di Córrego de Feijão, gestita dalla società Vale S. A., che ha riversato sul paese più di 12 milioni di metri cubi di fango e inerti derivanti dalle attività della società mineraria, ha fatto conoscere Brumadinho per l’enorme numero delle vittime e per essere il luogo del secondo più grande disastro ambientale nella storia del Brasile.
Da subito si è cominciato a discutere: tragedia o crimine? Considerando “il dovere di difendere e proteggere l’ambiente ecologicamente equilibrato per le generazioni presenti e future”, come stabilito nell’art. 225 della Costituzione federale, rimane molto da indagare e saranno da chiarire sia le responsabilità e gli obblighi dello Stato che quelle della società mineraria, portando alla luce le gravi violazioni dei diritti che sono state perpetrate e chiarendo che non si è trattato affatto di un incidente. Tre giorni dopo, il 28 gennaio, il governo federale ha emesso il decreto ministeriale 66/19 in cui si afferma che le agenzie legate al ministero delle Miniere e dell’energia appureranno le circostanze che hanno portato alla rottura della diga. Nelle intenzioni c’è anche l’obbligo di adottare le misure necessarie per mitigare gli effetti nocivi causati.
Questi danni, che hanno distrutto la vita di persone, animali e piante, hanno portato alla distruzione del fiume Paraopeba e minacciano presto raggiungere il Rio São Francisco, uno dei più grandi fiumi del paese che attraversa otto Stati, in particolare la regione semi-arida. Purtroppo, la pubblicazione del decreto non garantisce la risoluzione del problema e i meccanismi suggeriti dal Governo non garantiscono nemmeno la partecipazione di coloro che sono stati colpiti.
Già nel 2015 il disastro di Mariana, non molto lontano da Brumadihno, causò il maggiore impatto ambientale della storia brasiliana con un volume totale di 62 milioni di metri cubi di detriti che si abbatterono sul paese. Il mare di fango raggiunse il Rio Doce e i 230 comuni degli Stati del Minas Gerais e dell’Espirito Santo. Eppure fino ad oggi, nessuno è stato accusato, nessuno studio dettagliato sul caso della rottura della diga è stato completato, e le vittime non hanno ricevuto nessun risarcimento.
I crimini ambientali di Mariana e Brumadinho esprimono evidentemente i fallimenti nella legislazione in materia di licenze ambientali, nei processi di monitoraggio e ispezione, soggetti a una flessibilità sempre maggiore, per non dire scarso controllo.
Non solo come Cospe difendiamo il diritto di consultazione preventiva, libera e informata, stabilita dalla Convenzione 169/ILO, evidenziando la necessità di una valutazione trasparente e indipendente degli impatti sociali e ambientali dei progetti industriali presentati – valutazioni che tengano in conto anche la percezione e gli interessi di chi vive in quel territorio – ma sosteniamo anche la partecipazione della società civile nelle azioni di monitoraggio socio-ambientale e la visibilità delle rivendicazioni in difesa dei diritti della popolazione residente e dell’ambiente.
Di fronte a crimini come questi, come evidenziato anche dall’International Articulation of the Affected by Vale, chiediamo il pieno risarcimento delle violazioni dei diritti e dei danni ambientali causati, sottolineando che la compensazione economica o un accesso garantito a misure giudiziarie non sono sufficienti e non esonerano né lo Stato né la società: è necessario restituire diritti, ripristinare le attività dei territori, assistere le vittime anche dal punto di vista sociale e psicologico, informare in modo trasparente sulle responsabilità e, soprattutto, assicurarsi che tutto questo non si ripeta ancora. Ciò implica maggiori controlli e maggiori garanzie, che si riflettono in riforme efficaci che regolano il settore minerario e lo sfruttamento della natura in generale. Dunque, proteggere e ridurre le vulnerabilità e i rischi – piuttosto che limitarsi a riparare danni già avvenuti – attraverso azioni preventive per la sicurezza delle persone e l’equilibrio ambientale.
di Cospe per greenreport.it