Ne produciamo 3 milioni di tonnellate, e con l'aumento dei depuratori crescerà anche quest'ammontare
Fanghi di depurazione, serve una svolta sugli impianti o sarà il caos
Utilitalia: "Occorre uno sforzo finanziario, tecnologico e culturale per minimizzare lo smaltimento dei fanghi da depurazione"
[8 Giugno 2020]
I fanghi di depurazione sono la quintessenza della circolarità dei rifiuti e di come questa vada in crisi in assenza dell’impiantistica necessaria – come del resto accade in tutte le filiere dell’economia circolare – per la quale, spiega Utilitalia, è necessario “uno sforzo finanziario, tecnologico e culturale”. Non c’è dubbio sul fatto che la depurazione delle acque non solo abbia migliorato negli anni l’inquinamento del mare e dei fiumi, ma sia necessaria espanderla laddove ancora non sia presente (e non sono poche le città anche importanti a non esserne dotati). L’impianto altrettanto ovviamente produce rifiuti, che sono a flusso più o meno costante. Ma oltre ad essere maleodoranti, impossibile pensare che non lo siano, questi rifiuti devono essere correttamente smaltiti e qui casca l’asino.
“Occorre uno sforzo finanziario, tecnologico e culturale per minimizzare lo smaltimento dei fanghi da depurazione, ricorrendo al recupero di materia e di energia”. E’ dunque la posizione espressa da Tania Tellini (nella foto), coordinatrice del Settore Acqua di Utilitalia, che è intervenuta al webinar “Acque reflue, dall’infrazione all’innovazione” organizzato oggi da RiciclaTv. “Nel 2018 in Italia – ha evidenziato – a produzione annua si è avvicinata a 3 milioni di tonnellate, un numero destinato a crescere se saranno realizzati e messi in esercizio i depuratori nelle zone che ne sono carenti, per ottemperare agli obblighi derivanti dalla direttiva 91/271/CE in materia di trattamento delle acque reflue. Nello stesso anno i fanghi smaltiti sono stati il 56,3% e solo il 43,7% sono stati recuperati: è evidente la necessità di incrementarne il recupero, anche per raggiungere gli obiettivi posti dall’Europa sul ricorso alla discarica”.
Le modalità di recupero dei fanghi, ha ricordato la Tellini, sono molteplici: utilizzo in agricoltura, compostaggio, digestione anaerobica, produzione di gessi e carbonati di defecazione, coincenerimento ad esempio in cementifici, incenerimento con recupero energetico. L’ampia gamma di possibilità consente di declinare il recupero in base alle caratteristiche del fango, che possono essere molto diversificate, e in base al contesto territoriale. “I fanghi contengono inoltre fosforo, che è una materia prima critica non rinnovabile che non possiamo permetterci di smaltire senza recuperare. C’è quindi un sistema complesso per valorizzare questa risorsa in ottica di ‘urban mining’ che necessita di una normativa stabile e certa che, superando l’attuale norma che ha 28 anni (D.L.gs 99/92) e le sentenze tra le quali districarsi, consenta agli operatori di investire, collocando correttamente il trattamento dei fanghi nella transizione verso l’economia circolare e nella lotta ai cambiamenti climatici”.
La Tellini ha infine sottolineato il disappunto della Federazione rispetto al fatto che, “seppur previsto nella legge delega di recepimento delle direttive del pacchetto economia circolare (art.15 lett.b L. 4 ottobre n.117) e con una bozza di decreto ormai pronta ed ampiamente condivisa nei contenuti, nella proposta in discussione al Parlamento non ci sia l’adozione di una nuova disciplina organica in materia di utilizzo dei fanghi continuando a lasciare questo importante settore in una fase di incertezza e conseguente stallo”.