Formazione e ambiente: 5 ragazzi per la prevenzione del rischio idrogeologico
Le proposte di giovani professionisti per l’Ombrone pistoiese
[9 Dicembre 2013]
Durante la Giornata mondiale dei suoli sono emersi numerosi dati che certificano l’elevato consumo di territorio anche nel nostro Paese. Uno su tutti è quello dell’Ispra, che stima un consumo di suolo di 8 m² al secondo. L’aumento dell’urbanizzazione e l’impermeabilizzazione del territorio, come è stato rilevato anche nelle settimane scorse, è alla base dei molti disastri che sono stati registrati in varie regioni del Belpaese. Questo aspetto, che ha anche una connotazione culturale, è stato centrale nel progetto di formazione “Rischio idrogeologico e calamità: dalla chimera della messa in sicurezza alla cultura della prevenzione” che Legambiente, Cesvot e Regione Toscana hanno realizzato con il coinvolgimento di GiovaniSì.
Il progetto realizzato da 5 ragazzi laureati (architetti, agronomi, geologi), che hanno svolto il praticantato presso la sede di Legambiente Toscana, è stato presentato, per la parte che riguarda il bacino del torrente Ombrone pistoiese, a Poggio a Caiano. «Gli obiettivi generali del progetto sono invitare ad una rilettura del territorio, stimolando un percorso di riflessione sui temi della prevenzione del rischio idrogeologico, promuovere la sensibilizzazione della popolazione sulla cultura della riduzione del rischio idrogeologico e della convivenza con il rischio, promuovere delle azioni concrete volte alla riduzione del rischio idrogeologico nel bacino dell’Ombrone», hanno spiegato gli autori Marina Taurone, Flavio Grimaldi, Marco Giarrusso, Tiziana Mangone e Virginia Morelli.
Il territorio del bacino come noto è molto antropizzato e nello studio è stato rilevato come ad esempio nell’area pratese alla fine degli anni ’70 sono state tombate le vecchie gore (che trasportavano l’acqua nella piana) e sopra sono stati sviluppati i paesi a corona della città di Prato, come Paperino, Tavola e Iolo. «Col passare del tempo, lo spazio nelle tubazioni viene ridotto dai sedimenti (ghiaia e sabbia) trascinati a valle dai torrenti che alimentano le gore. Questo ha portato (e può portare anche in futuro) alla tracimazioni dei torrenti tombati che, facendo saltare i chiusini, hanno portato ad allagamenti di scantinati, seminterrati ed anche sottopassi». L’analisi storico ambientale, necessaria per determinare il modo in cui il paesaggio – sia rurale che urbano – del bacino del fiume Ombrone pistoiese si è evoluto nel tempo è stata effettuata attraverso 4 soglie temporali con estremi il 1954 e 2010.
Il problema è che si continua ancora oggi a costruire in aree a pericolosità idraulica elevata (e non si tratta di fenomeni di abusivismo) e poi in caso di disastri si richiede lo stato di emergenza e si scaricano le responsabilità su altri livelli istituzionali, o su chi deve fare manutenzione dei corsi d’acqua. Anche il territorio rurale è stato modificato e si riscontra la forte vocazione dell’area del bacino del fiume Ombrone verso i seminativi (82% del totale) che includono i vivai. E, come è stato rilevato nello studio, sulla tenuta del suolo incidono molti fattori: metodo di coltivazione, orientamento, pratiche conservative, sistemazioni agronomiche.
«Negli ultimi decenni i valori dell’erosione sono notevolmente incrementati- hanno sottolineato i giovani professionisti- La coltivazione a “rittochino” (lungo le linee di massima pendenza del versante) è diventata la prassi per la quasi totalità delle colture agricole, in quanto permette di sfruttare pienamente le possibilità offerte dai mezzi meccanici».
Il territorio è ormai fragile e poco resiliente, gli eventi meteorici estremi sono in incremento (durante l’evento del 18 marzo 2013, in 24 ore lungo il corso del fiume Ombrone sono caduti circa 170 mm di acqua, un quinto della pioggia che cade normalmente in un anno), e si traducono in tempi brevi in picchi di piena con grosso rischio di esondazione. Quindi come è stato riportato nello studio è necessario anche fare prevenzione predisponendo i Piani di emergenza della Protezione Civile. «Pistoia, Carmignano, Montemurlo e Prato hanno recepito la normativa, redatto piani di emergenza ed individuato le aree di attesa; il Comune di Campi Bisenzio non ha ancora provveduto a redigere un nuovo piano di Protezione Civile, stante che il vecchio piano, risalente agli anni ‘90, è ormai obsoleto- hanno spiegato gli autori dello studio- Poggio a Caiano ha approvato con delibera della giunta il suo piano di emergenza nel 2007 ma ancora esso risulta depositato in archivio, e non a disposizione della cittadinanza. Lo stesso discorso vale per il Comune di Signa, che ha redatto un piano nel novembre 2012 ed attende l’approvazione della Regione per metterlo a disposizione dei cittadini».
Le criticità rilevate, tra cui la fragilità arginale (l’Ombrone ha circa 45 chilometri di arginature), sono state poi accompagnate da proposte di buone pratiche per prevenire e ridurre ad un livello accettabile il rischio idraulico: «Nella progettazione degli interventi di gestione fluviale dovrà assumersi quale aspetto vincolante la conservazione delle caratteristiche di naturalità dell’alveo fluviale, degli ecosistemi e delle fasce verdi ripariali, il rispetto delle aree di naturale espansione e delle zone umide ad esse connesse. Si otterrà così un arricchimento della biodiversità, un miglioramento dell’aspetto paesaggistico, e parallelamente la riduzione delle portate di piena e quindi del rischio idraulico- hanno sottolineato gli autori – E’ necessario poi delocalizzare i beni esposti a rischio in aree non soggette a possibili inondazioni: è una delle soluzioni apparentemente più difficili da percorrere ma, in molti casi, più convenienti e sostenibili a lungo termine.
Tale pratica è oggi scarsamente applicata e sostituita con la costruzione di arginature di protezione. Il discorso è valido anche per i casi in cui aree a rischio idraulico elevato, in cui da regolamento sarebbe impossibile costruire, vengono protette con arginature al fine di metterle in sicurezza e creare così nuove aree edificabili. La vendita ai privati per la creazione di insediamenti produttivi (che comunque saranno realizzati in un’area che non sarà mai “sicura”), arricchisce così le casse delle amministrazioni, impoverendo l’ecosistema fluviale e mettendo a rischio gli abitati situati più a valle.
Inoltre -hanno aggiunto i professionisti – è necessario prevenire i processi erosivi ed incentivare coltivazioni che consolidino i versanti. Laddove non è possibile rinaturalizzare il corso d’acqua, per la presenza di agglomerati urbani o industriali, risulta di fondamentale importanza garantire la manutenzione, il controllo e il buon esercizio di tutte le opere idrauliche con particolare riferimento alle arginature. Questo acquista un’ulteriore importanza se si considera che i tempi di ritorno sono stabiliti proprio presupponendo che le arginature mantengano una buona funzionalità». Attenzione è poi stata posta alla gestione delle acque di pioggia, uno dei grandi problemi ambientali delle città, sia in termini di aumento del rischio idraulico (accelerazione ed incremento dei deflussi legati all’aumento delle superfici impermeabilizzate), sia per le ricadute sulla qualità delle acque superficiali (attivazione degli scolmatori di piena della rete fognaria).
«Più aumentano le superfici impermeabilizzate, più si riduce la naturale capacità di laminazione del territorio; bastano così anche eventi piovosi non straordinari per causare l’allagamento di interi quartieri e provocare danni rilevanti. Per risolvere entrambi i problemi è oggi possibile realizzare sistemi di accumulo e riutilizzo delle acque in ambito urbano».
Infine lo studio ha evidenziato la necessità di una maggiore interazione tra i diversi livelli di competenza, sia politici che istituzionali, e che, soprattutto le amministrazioni locali riconoscano nella progettazione partecipata un’opportunità per promuovere una visione integrata dei problemi riguardanti il dissesto idrogeologico. «Una reale attuazione dei requisiti di partecipazione pubblica attiva deve essere realizzata attraverso l’avvio di opportune campagne di informazione e di educazione al rischio, specie nelle aree più vulnerabili. La produzione di un semplice flyer illustrativo, specifico per ogni zona, da inviare in ogni casa, con indicate le criticità specifiche del territorio, le azioni da mettere in atto e quelle da evitare nei primi momenti dell’emergenza, le aree sicure ove rifugiarsi, i numeri da contattare. Se ogni famiglia ne avesse uno appeso in casa accanto al telefono, forse si sarebbero potute davvero evitare tante tragedie», hanno concluso i cinque.