Ispra, in Italia il 28% del territorio presenta «evidenti segni» di degrado e desertificazione
Il bacino padano è già a secco, mettendo a rischio (anche) l’agricoltura: l’Anbi chiede l’attivazione di una cabina di regia emergenziale
[15 Giugno 2022]
In vista della Giornata mondiale per la lotta a desertificazione e siccità del 17 giugno, l’Ispra ha tenuto ieri un webinar per fare il punto della situazione su questa sfida a livello globale ma soprattutto nazionale.
Pressoché tutto il Pianeta è ormai soggetto a fenomeni di degrado del territorio e del suolo rapidamente crescenti, che minano la fornitura dei servizi ecosistemici sui cui si fonda la vita umana e che è il risultato di azioni di sovrasfruttamento indotte dall’uomo, causando il declino della sua fertilità, della biodiversità che ospita, con evidenti danni complessivi anche alla salute umana, azioni i cui impatti sono fortemente inaspriti dai cambiamenti climatici.
Secondo le stime del Global land outlook, infatti, il 70% delle aree libere da ghiacci è stato alterato dall’uomo, con conseguenze dirette e indirette su circa 3,2 miliardi di persone; si prevede già che entro il 2050 questa quota possa raggiungere il 90%.
Attualmente circa 500 milioni di persone vivono in aree dove il degrado ha raggiunto il suo massimo livello, ovvero la perdita totale di produttività definita come desertificazione. L’Africa, in particolare la zona che si trova a sud del Sahara, è la più colpita da questo fenomeno: il 73% delle terre aride coltivabili sono già degradate o già completamente desertificate. Ma anche in Europa crescono le difficoltà.
Nell’Ue i Paesi più coinvolti da desertificazione e siccità sono senza dubbio quelli del bacino Mediterraneo: oltre l’Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Croazia, Cipro e Malta, ma non sono immuni da analoghi fenomeni l’Ungheria, la Slovenia e la Romania.
«Anche l’Italia presenta evidenti segni di degrado, che si manifesta con caratteristiche diverse in circa il 28% del territorio – spiegano dall’Ispra – principalmente nelle regioni meridionali, dove le condizioni meteoclimatiche contribuiscono fortemente all’aumento del degrado e quindi alla vulnerabilità alla desertificazione a causa della perdita di qualità degli habitat, l’erosione del suolo, la frammentazione del territorio, la densità delle coperture artificiali, con significativi peggioramenti anche in aree del nord, come in Veneto, Piemonte, Emilia Romagna».
Per iniziare a far fronte alla situazione, lo scorso novembre è stata presentata la Strategia europea per il suolo al 2030, che contiene iniziative concrete per proteggere e ripristinare i suoli e garantire che siano utilizzati in modo sostenibile, definendo obiettivi per i terreni sani entro il 2050 ed azioni entro il 2030.
«La Strategia è il primo passaggio vero la definizione di una nuova legge europea sulla salute del suolo entro il 2023 per garantire parità di condizioni e un elevato livello di protezione dell’ambiente e della salute, per la cui predisposizione è stato avviato un intenso processo preparatorio che vede fortemente impegnati tutti i 27 paesi», argomenta l’Ispra. Ma nel frattempo la siccità continua a mordere.
In particolare, l’associazione nazionale che riunisce i Consorzi di bonifica (Anbi) documenta una situazione drammatica nel bacino padano, da dove arriva molto dell’agroalimentare italiano; qui, a causa della perdurante assenza di piogge, si è ormai alla vigilia di scelte drastiche per garantire una portata del fiume Po, sufficiente ai prelievi ad uso potabile ed a contrastare la risalita del cuneo salino, che sta alterando gli equilibri ambientali nel delta, inaridendo i territori.
«A fronte di tale emergenza, chiediamo l’immediata attivazione di una cabina di regia, che ricomprenda i principali organi tecnici e politici, per valutare, nel rispetto delle priorità di legge, tutte le possibili soluzioni e conseguenti azioni in materia di rilasci e prelievi idrici in alveo, governando le inevitabili problematiche, che ne seguiranno», dichiara il presidente Anbi Francesco Vincenzi.
Attorno al tavolo, coordinato dalla Protezione civile, dovrebbero sedere, oltre ad Anbi, le 4 Regioni interessate (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna, Veneto), le Autorità di bacino distrettuale del fiume Po e delle Alpi Orientali, i rappresentanti dei gestori elettrici e dei principali “stakeholders” .
Le prossime settimane saranno le più critiche per le colture in campo ed uno stress idrico ne pregiudicherebbe la resa o potrebbe addirittura causare, in alcuni territori, la perdita parziale o totale della produzione; per questo, Anbi richiama la necessità di non limitare le valutazioni a semplici considerazioni idro-meteorologiche, ma di analizzare anche la condizione idrica complessiva dei territori e soprattutto lo stato fenologico delle colture, considerato pure l’obbiettivo strategico di aumentare l’autosufficienza alimentare del Paese.
«Auspichiamo – conclude Vincenzi – che la gravità della situazione e l’evidenza dell’emergenza in atto induca urgentemente ad avviare la necessaria infrastrutturazione del territorio, ad iniziare da nuovi bacini per trattenere le acque di pioggia e contrastare le conseguenze dei cambiamenti climatici, aumentando la resilienza delle comunità».