L’acqua minerale costa 6mila volte tanto quella del rubinetto, ma ne compriamo sempre di più
Al contempo il 37,3% dell’acqua immessa nella rete idrica italiana è andato disperso, e non è arrivato agli utenti finali: urgono investimenti per salvaguardare l’acqua
[20 Marzo 2020]
La Giornata mondiale dell’acqua si avvicina – cadrà domenica 22 marzo –, e l’Istat mette in fila le statistiche essenziali per capire come gli italiani impiegano questa risorsa naturale fondamentale quanto scarsa, alla quale raramente ci approcciamo con raziocinio. Nonostante l’acqua che sgorga dai rubinetti sia perfettamente sicura da bere (anche durante l’epidemia in corso), ad esempio, continuiamo a snobbarla in favore della ben più cara acqua minerale in bottiglia.
«Per la fornitura di acqua nell’abitazione ogni famiglia – documenta Istat con dati 2018 – ha speso in media 14,65 euro al mese, valore pressoché invariato rispetto ai 14,69 euro del 2017, che rappresenta lo 0,6% della spesa media mensile familiare complessiva per il consumo di beni e servizi». Al contempo, la spesa mensile sostenuta dalle famiglie per l’acquisto di acqua minerale nel 2018 «è di 12,48 euro, in aumento del 4,5% rispetto all’anno precedente». Questo significa che «nel 2018 la spesa per la fornitura d’acqua per l’abitazione è solo di 2,20 euro in più di quella relativa al consumo di acqua minerale, si tratta della differenza più bassa registrata dal 2014. Tuttavia in termini di costo unitario (euro/litro) la spesa mensile per acqua minerale consumata è circa seimila volte superiore a quella fatturata per uso domestico».
Naturalmente, le criticità non mancano neanche nell’ambito domestico. Nel 2018, per la prima volta negli ultimi vent’anni, si riducono i prelievi per uso potabile (-2,7% rispetto al 2015) ma in ogni caso il volume di acqua complessivamente prelevato per uso potabile, utilizzato per garantire gli usi idrici domestici, pubblici, commerciali e produttivi sul territorio italiano, è pari a 9,2 miliardi di metri cubi. Un ammontare rilevante, soprattutto perché potrebbe essere gestito molto meglio.
«Nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile dei 109 comuni capoluogo di provincia/città metropolitana – dettaglia l’Istat – sono stati immessi in rete, nel 2018, 2,5 miliardi di metri cubi di acqua (378 litri per abitante al giorno) e ne sono stati erogati per usi autorizzati agli utenti finali 1,6 miliardi di metri cubi (237 litri per abitante al giorno, sia fatturati sia forniti ad uso gratuito). Ne deriva che il 37,3% dell’acqua immessa in rete è andato disperso, e non è arrivato agli utenti finali (era il 39,0% nel 2016), con ripercussioni finanziarie e ambientali di rilievo, soprattutto considerando gli episodi sempre più frequenti di scarsità idrica che interessano il nostro territorio».
Un quadro critico che presenta comunque profonde oscillazioni a livello locale. Se in un comune su tre si registrano perdite totali superiori al 45%, ad esempio, nelle condizioni di massima criticità si arriva a valori superiori al 65%, come nel caso di registrate a Chieti (74,7%), Frosinone (73,8%), Latina (69,7%). Per recuperare il terreno perso occorrono una politica industriale adeguata e ingenti investimenti: si parla di 7,2 miliardi di euro secondo i dati Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche.