L’aumento dei migranti è legato alla mancanza di acqua
Fao: l’interazione tra la scarsità di acqua e le migrazioni non si trasformi in un aggravamento reciproco
[21 Marzo 2018]
Nell’ultimo secolo il consumo globale di acqua è aumentato di 6 volte, cioè due volte più della crescita demografica, ed è così che l’acqua potabile è diventata “l’oro blu”, una risorsa sempre più rara e un problema sempre più pressante per l’intera umanità. Un problema esacerbato dai cambiamenti climatici, dall’inquinamento e dalla mancanza di capacità tecniche e finanziarie e di infrastrutture.
In un messaggio video inviato al World Water Forum in corso a Brasilia, il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva, ha ricordato che «I due terzi della popolazione mondiale soffrono di gravi penurie di acqua durante almeno una parte dell’anno. Questo ha un impatto particolarmente pesante sulle persone che dipendono dall’agricoltura e alcuni, in particolare i più poveri, non vedono altra alternativa che la migrazione e la ricerca di mezzi migliori di sussistenza. Ma la migrazione dovrebbe essere una scelta e non l’unica opzione che resta».
Durante un high-level panel tenutosi al World Water Forum, Fao, Oregon State University e Global Water Partnership hanno presentato il nuovo studio “Water stress and human migration: a global, georeferenced review of empirical research” che riguarda proprio i legami tra l’acqua e le migrazioni e che passa in rivista oltre 100 rapporti dettagliati sul tema, analizzando i loro risultati in termini di dati demografici, temperature di superficie e precipitazioni. La Fao si è occupata anche del capitolo dello studio riguardante le «soluzioni basate sulla natura per gestire la disponibilità di acqua».
Secondo Eduardo Mansur, direttore della divisione terre e acque della Fao, «Le strategie di adattamento agricole influenzano il bisogno di migrare di numerose persone e dovrebbero essere esplicitamente tenute di conto in materia di cambiamento climatico e di politiche. Analizzare le tendenze relative alle penurie di acqua è impegnarsi nella prevenzione sono azoni particolarmente preziose che permettono di intervenire in tempo per attenuare le pressioni che provocano delle migrazioni forzate. Di fronte a un disagio su vasta scala, permettere un adattamento proattivo è una strategia più efficace e sostenibile che offrire una risposta umanitaria».
Una delle principali conclusioni dello studio è che, per quanto riguarda India, Asia centrale, Medio Oriente e Sahel centrale, sono necessarie ulteriori informazioni sulla dinamica dei legami migrazione-acqua. La Fao sottolinea che «Queste zone dovrebbero essere tra le prime a far fronte a forti aumenti delle temperature e all’aggravamento delle penurie idriche nei prossimi 30 anni». Anche l’Asia meridionale e del Sud-Est sono relativamente poco studiate, mentre le loro lunghe zone costiere e i delta poco elevati sul livello del mare meriterebbero rapporti approfonditi. Nell’Asia settentrionale e nell’America del Sud le carenze di acqua sono meno marcate, ma in queste regioni ci sono pochi dati sulle pressioni migratorie.
Si parla di stress idrico quando la domanda d’acqua non può essere soddisfatta a causa di una combinazione di problemi di accesso alla risorsa, di un calo della sua disponibilità e/o della qualità dell’acqua.
Lo stress idrico tende ad aumentare a causa dell’innalzamento delle temperature e della domanda accresciuta da parte dell’agricoltura, della produzione di energia e dell’industria. Il cambiamento climatico fa il resto, creando condizioni nuove nelle quali le popolazioni possono essere colpite da precipitazioni estreme che producono inondazioni e da siccità sempre più ricorrenti. A questo si aggiunge che infrastrutture inadeguate possono esacerbare la carenza di acqua e farne abbassare la qualità.
Esaminando centinaia di studi la Fao e i suoi partner hanno dimostrato «una correlazione tra lo stress idrico e i fenomeni migratori intensi», ma lo studio avverte che «L’interazione causale non è ancora chiaramente compresa». Olcay Unver, direttore aggiunto della Divisione terre e acque della Fao, sottolinea che «E’ essenziale assicurarsi che l’interazione tra la scarsità di acqua e le migrazioni non si trasformi in un aggravamento reciproco»,
La migrazione è un processo universale e comune che ha molteplici interconnessioni con i problemi dello sviluppo economico, per questo la Fao «sostiene fermamente le politiche che la considerano come fosse una scelta e non una necessità. I fatti dimostrano che gli investimenti pubblici nell’adattamento dell’agricoltura possono attenuare i fattori negativi della migrazione delle popolazioni rurali».
Ma il rapporto fa notare che «Se gli opportuni interventi possono attenuare le migrazioni involontarie, anche l’impatto dei migranti sullo stress idrico nelle regioni verso le quali migrano merita un’attenzione particolare, tanto più perché gli insediamenti informali comportano spesso una forme di utilizzo dei suoli che comportano un utilizzo inefficace dell’acqua, danneggiando i cicli idrologici locali o perturbando i sistemi tradizionali che incoraggiano la conservazione dell’acqua. al contrario, i migranti possono contribuire positivamente alla gestione dell’acqua e allo sviluppo sia nelle comunità di origine che in quelle di accoglienza, grazie a dei fattori quali le buone pratiche, il trasferimento di competenze e di conoscenze e l’utilizzo delle rimesse».
Intanto la Fao, che dal primo gennaio è co-presidente del Global Migration Group che sta elaborando il “Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration”, conclude che «Il concetto di migranti ambientali sta attirando sempre più attenzione e necessita di maggiori dati per comprendere meglio questo fenomeno ed anticiparne opportunamente le tendenze».