Le acque reflue saranno il nuovo oro nero?
Rapporto Onu sullo sviluppo delle risorse idriche mondiali: resta ancora molto da fare
[16 Marzo 2017]
Il Rapporto Onu sulle risorse idriche mondiali, “Le Acque reflue: una risorsa inesplorata”, anticipato oggi da UN-Water e Unesco e che verrà presentato ufficialmente a Durban, in Sudafrica, il 22 marzo in occasione della Giornata mondiale dell’Acqua, si chiede «Cosa accadrebbe se le enormi quantità di acque reflue provenienti dall’utilizzo domestico, agricolo e industriale scaricate quotidianamente nell’ambiente fossero considerate una risorsa preziosa piuttosto che un pesante onere?»
Ed è proprio quello che propongono UN-Water e Il World water assessment programme dell’Unesco che ha redatto il rapporto e che sostiene che «Le acque reflue, una volta trattate, potrebbero dimostrarsi una risorsa di enorme valore, in grado di soddisfare la crescente domanda di acqua dolce e di altre materie prime».
Secondo, Guy Ryder, presidente di UN-Water e direttore generale dell’International labour organization (Ilo) «Le acque reflue costituiscono un bene prezioso in un mondo in cui la domanda di una risorsa limitata come l’acqua è in costante crescita. Possiamo tutti fare la nostra parte per raggiungere l’Obiettivo di sviluppo sostenibile che si propone di dimezzare i quantitativi di acque reflue non trattate e di aumentare il riutilizzo di acque sicure entro il 2030. Si tratta di introdurre processi mirati di gestione e di riciclo dell’acqua che utilizziamo nelle nostre case, nelle fabbriche, nelle aziende agricole e nelle città. Contribuiamo tutti a ridurre e a riutilizzare in sicurezza maggiori quantitativi di acque reflue, in modo tale che questa preziosa risorsa possa essere sfruttata per soddisfare le necessità di una popolazione crescente e di un ecosistema fragile».
Nella sua introduzione al rapporto, la direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova, sottolinea che «L’edizione 2017 del Rapporto sullo sviluppo delle risorse idriche mondiali evidenzia come una migliore gestione delle acque reflue possa essere conseguita riducendo l’inquinamento alla fonte, rimuovendo le sostanze contaminanti dai flussi di acque reflue, riutilizzando le acque depurate e recuperando sottoprodotti utili […] Una maggiore accettabilità sociale dell’utilizzo delle acque reflue è essenziale per poter compiere passi avanti»
Ma una percentuale consistente delle acque reflue viene immessa nell’ambiente senza nessun progetto di raccolta o di trattamento. Un-Water e Unesco evidenziano che «Ciò accade in misura ancora maggiore nei paesi a basso reddito, che in media trattano appena l’8% dei reflui domestici e industriali, rispetto al 70% dei paesi ad alto reddito. Di conseguenza in molte aree del mondo l’acqua contaminata da batteri, nitrati, fosfati e solventi viene scaricata nei fiumi e nei laghi, raggiungendo quindi gli oceani, con conseguenze negative per l’ambiente e per la salute pubblica. Il volume di acque reflue da trattare crescerà considerevolmente negli anni a venire, in particolare nelle città dei paesi in via di sviluppo con una popolazione in rapida crescita».
Gli autori del rapporto sostengono che «La generazione di acque reflue costituisce una delle principali sfide correlate con la crescita degli insediamenti abusivi (le baraccopoli) nei Paesi in via di sviluppo» e fanno l’esempio di Lagos, la metropoli nigeriana, che ogni giorno produce 1,5 milioni di m3 di acque reflue che vengono in gran parte scaricati senza nessun trattamento nella Laguna di Lagos: «In mancanza di un intervento immediato, questa situazione si aggraverà ulteriormente a seguito dell’aumento della popolazione della città, che secondo le stime supererà i 23 milioni entro il 2020».
Ma il fenomeno è molto più esteso: «L’inquinamento causato da agenti patogeni presenti nelle escrezioni umane e animali interessa circa un terzo dei fiumi in America Latina, Asia e Africa, mettendo in pericolo la sopravvivenza di milioni di persone. Nel 2012 sono stati 842.000 i decessi registrati nei paesi a reddito medio e basso collegati all’acqua contaminata e a servizi igienico-sanitari inadeguati. La mancanza di processi di trattamento delle acque reflue contribuisce inoltre alla diffusione di alcune patologie tropicali, come la febbre dengue e il colera. Oltre allo scarico di sostanze nutritive (azoto, fosforo e potassio) provenienti dall’agricoltura intensiva, solventi e idrocarburi prodotti dalle attività industriali e minerarie accelerano l’eutrofizzazione delle acque dolci e degli ecosistemi marini costieri. Secondo le stime circa 245.000 chilometri quadrati di ecosistemi marini – una superficie all’incirca pari a quella del Regno Unito – sono attualmente interessati da questo fenomeno».
Lo scarico di acque reflue non trattate favorisce anche la proliferazione di alghe tossiche e contribuisce al declino della biodiversità e «La crescente consapevolezza della presenza di sostanze inquinanti nelle acque reflue, quali ad esempio ormoni, antibiotici, steroidi e interferenti endocrini, conduce a nuove sfide, dato che gli effetti di queste sostanze sull’ambiente e sulla salute non sono ancora stati del tutto chiariti».
Ma, come fa notare l’Unesco, «L’inquinamento limita la disponibilità di fonti di acqua dolce, già ridotta tra l’altro a causa dei cambiamenti climatici. Tuttavia le autorità politiche e pubbliche si occupano principalmente delle sfide dell’approvvigionamento idrico, in particolare laddove questo è limitato, trascurando la necessità di gestire l’acqua dopo il suo utilizzo. Eppure si tratta di due questioni strettamente correlate. La raccolta, il trattamento e l’utilizzo sicuro dei reflui costituiscono la base stessa di un’economia circolare, che permette di equilibrare sviluppo economico e utilizzo sostenibile delle risorse. Le acque depurate costituiscono una risorsa in larga misura sotto sfruttata e che può essere riutilizzata più volte. Dalla fognatura al rubinetto».
Le acque reflue vengono principalmente utilizzate in agricoltura per l’irrigazione in almeno 50 Paesi del mondo, che rappresentano circa il 10% di tutti i terreni irrigui. «Tuttavia – everte il rapporto – i dati sono ancora incompleti per numerose aree del mondo, e principalmente per l’Africa. Questa pratica solleva comunque preoccupazioni di carattere sanitario in quei casi in cui l’acqua contiene agenti patogeni che possono contaminare le colture. La sfida consiste quindi nel passare da un’irrigazione non controllata ad un utilizzo pianificato e sicuro, come accade ad esempio già dal 1977 in Giordania, Paese in cui il 90% delle acque reflue trattate viene utilizzato per scopi irrigui. In Israele i reflui trattati costituiscono all’incirca la metà dell’acqua utilizzata per l’irrigazione».
Nell’industria possibile riutilizzare grandi quantitativi di acqua, ad esempio per il riscaldamento e il raffreddamento, piuttosto che scaricarli nell’ambiente. Secondo UN-Water e Unesco, «Entro il 2020 il mercato del trattamento dei reflui industriali dovrebbe crescere del 50%».
Ma le acque reflue trattate possono essere utilizzare per sostenere l’approvvigionamento di acqua potabile, sebbene questo utilizzo sia ancora marginale. E’ quel che fanno dal 1969 a Windhoek, la capitale della desertica Namibia, dove per ovviare alla penuria di acqua dolce il comune ha installato infrastrutture che permettono di trattare fino al 35% delle acque reflue che poi vengono utilizzate per approvvigionare le riserve di acqua potabile. Anche a Singapore e a San Diego i cittadini bevono acqua riciclata. «Si tratta di interventi che talvolta si scontrano con la resistenza dell’opinione pubblica – dicono UN-Water e Unesco – che non accetta di buon grado l’idea di bere o comunque di utilizzare acque che erano “sporche” prima del trattamento». Proprio la mancanza del sostegno dell’opinione pubblica ha fatto fallire un progetto per il riutilizzo dell’acqua per scopi irrigui e per la piscicoltura lanciato in Egitto negli anni ’90. All’Onu sono però convinti che «Le campagne per una maggiore consapevolezza possono promuovere una maggiore accettazione da parte dell’opinione pubblica nei confronti di interventi di questo genere, in particolare citando esempi positivi, come quello degli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale che riutilizzano la stessa acqua riciclata da oltre 16 anni».
Le acque reflue possono anche diventare una fonte di materie prime: «Grazie agli sviluppi delle tecnologie di trattamento – spiegano i ricercatori – alcuni elementi nutritivi, come ad esempio fosforo e nitrati, possono ora essere recuperati dai reflui fognari e dai fanghi e quindi trasformati in fertilizzanti. Secondo le stime, il 22% della domanda globale di fosforo, un minerale a disponibilità limitata ed eccessivamente sfruttato, potrebbe essere soddisfatto attraverso il trattamento degli escrementi e dell’urina umana». In Paesi come la Svizzera sono state approvate norme sull’obbligatorietà del recupero di elementi nutritivi, come il fosforo.
Le sostanze organiche contenute nelle acque reflue possono essere utilizzate per produrre biogas, rifornendo così di energia gli stessi impianti di trattamento dei reflui e agevolando così la loro trasformazione da impianti ad alto consumo energetico a impianti a consumo zero o produttori netti di energia. In Giappone il governo si è prefissato l’obiettivo di recuperare il 30% dell’energia da biomassa ricavabile dalle acque reflue entro il 2020. Ogni anno la città di Osaka produce 6500 tonnellate di biosolidi ricavati da 43.000 tonnellate di fanghi di depurazione.
Per l’Onu «Si tratta di tecnologie che non dovrebbero essere fuori dalla portata dei paesi in via di sviluppo, dato che soluzioni per il trattamento a basso costo permettono già da ora l’estrazione di energia e di elementi nutritivi. Queste tecnologie forse non permettono ancora il recupero diretto di acqua potabile, ma possono permettere di ricavare acqua utilizzabile e sicura per altri impieghi, come ad esempio l’irrigazione. Inoltre la vendita di materie prime ricavate dalle acque reflue può fornire un reddito aggiuntivo a copertura degli investimenti e dei costi di esercizio degli impianti di trattamento delle acque reflue».
Il roblema – gigantesco – è che oggi 2,4 miliardi di persone non hanno ancora accesso a veri impianti igienico-sanitari e UN-Water e Unesco fanno notare che «La riduzione di questo numero in linea con l’Obiettivo per lo sviluppo sostenibile n° 6 su acqua e impianti igienico-sanitari dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite causerà un ulteriore aumento degli scarichi di acque reflue, che dovranno quindi essere trattati a costi accessibili».
Qualche passo avanti è già stato fatto, come in America Latina, dove il trattamento delle acque reflue è quasi raddoppiato rispetto alla fine degli anni ’90, attestandosi tra il 20% e il 30% della raccolta dei reflui nelle reti fognarie urbane. Ma questo significa comunque che tra il 70% e l’80% viene scaricata senza alcun trattamento.
«Resta quindi ancora molto da fare – conclude il rapporto – e un passo essenziale a questo proposito sarà compiuto quando verrà finalmente riconosciuto il valore di un utilizzo sicuro delle acque reflue trattate e dei prodotti derivati come alternative all’acqua dolce».