«L’Italia sta diventando un Paese povero di acqua»

Alla Fieragricola di Verona l’intervento del commissario nazionale contro la siccità, Nicola Dell’Acqua: «Dobbiamo capire che è cambiato il clima»

[2 Febbraio 2024]

Barcellona e l’intera Catalogna hanno dichiarato – in pieno inverno – l’emergenza siccità, lanciando un piano di razionamento dell’acqua e d’investimenti per far fronte alla crisi climatica. È uno scenario che riguarda da vicino anche il nostro Paese.

«L’Italia sta diventando un Paese povero di acqua ed è sbagliato parlare di siccità solo in estate, dobbiamo guardare l’aspetto meteorologico tutto l’anno e dobbiamo imparare dai Paesi che, avendo poca acqua hanno fatto molta più squadra fra le istituzioni».

Ha dichiararlo è stato il commissario straordinario nazionale per l’emergenza idrica, Nicola Dell’Acqua, nel corso della Fieragricola in corso a Verona: «Se non nevica, in Pianura Padana – ha continuato Dell’Acqua – avremo sicuramente ripercussioni estive, perché siamo abituati a prendere l’acqua dallo scioglimento delle nevi e dei ghiacciai, che però sono sempre di meno per effetto dei cambiamenti climatici. Dobbiamo capire che è cambiato il clima, d’inverno non piove più e non nevica più come una volta».

Come informa l’Ispra nell’ultimo trentennio climatologico 1991-2020 la disponibilità di acqua è già diminuita del 20%, rispetto al periodo 1921-1950, e se non si porrà un freno al cambiamento climatico potremmo perdere un altro 40-90% entro fine secolo.

Che fare? «Dobbiamo invasare più acqua, costruendo nuovi invasi e riparando la rete perché non perda, e poi fare politiche anche per la ricarica degli acquiferi», risponde Dell’Acqua.

Creare nuovi invasi infatti non basta, e non sempre è la soluzione migliore, come evidenziato la scorsa primavera da alcune delle maggiori associazioni ambientaliste italiane.

È necessario semmai agire su più fronti puntando sulle soluzioni basate sulla natura (Nbs), ad esempio rinaturalizzando i fiumi e la rete idrica superficiale, o realizzando “città spugna” e Aree forestali d’infiltrazione per ricaricare le falde.

Senza dimenticare che  i vetusti acquedotti italiani – il 60% è in funzione da più di 30 anni – perdono oltre il 40% della risorsa idrica che trasportano, anche a causa degli scarsi investimenti nel servizio idrico a livello nazionale.

Da non sottovalutare, inoltre, il ruolo di contrasto alla siccità che può avere la realizzazione di nuovi dissalatoriad oggi in Italia le acque marine o salmastre rappresentano solo lo 0,1 % delle fonti di approvvigionamento idrico, contro il 3% della Grecia e il 7% della Spagna.

Anche il mondo dell’agricoltura, che in larga parte sta protestando contro il Green deal europeo nonostante la transizione ecologica sia l’unico modo per mantenere la produttività dei campi, è chiamato a fare la sua parte; in Italia ogni anno si consumano oltre 26 miliardi di m³ di acqua e circa il 55% circa della domanda proviene dal settore agricolo.

«Gli agricoltori stanno già risparmiando acqua – ha riconosciuto il commissario – Servono però pianificazioni e serve tempo, perché non si può chiedere all’agricoltura di risparmiare il 50% di acqua o chiedere agli agricoltori di cambiare le colture del Paese. Faccio un esempio: il 75% dell’agricoltura irrigata si trova in Pianura Padana, dove si producono significative produzioni agroalimentari. Possiamo andare a risparmiare il 50% di acqua in quella zona? No, perché non sarebbe possibile, ma ogni agricoltore lo sa già e deve impegnarsi per risparmiare acqua».

In che modo allora? Secondo Dell’Acqua «in agricoltura è importante aumentare la capacità di assorbimento dei terreni e la sostanza organica in essi contenuta e per questo ci sono agricolture conservative e rigenerative che stanno prendendo piede. Dobbiamo cambiare l’agricoltura e incrementare la quantità di sostanza organica nel terreno, così trattiene più acqua ed è meno idro-esigente».

Anche un cambiamento nelle colture praticate, però, si sta profilando sempre più come inevitabile: nei giorni scorsi ad esempio i Consorzi di bonifica dell’Umbria – che a gennaio è già in siccità – hanno chiesto ai coltivatori di «ripensare cosa seminare», mentre al contempo l’Università di Siena prevede che se continuerà il business as usual tutta Italia rischia di non poter produrre più vino entro il 2100.