Nei mille Refrontolo d’Italia non si guardi alle bombe d’acqua, ma alle mine sul territorio
Per il governo Renzi qual è la priorità? In arrivo altri 349 milioni di euro per la Pedemontana
[4 Agosto 2014]
«Continuiamo a parlare di bombe d’acqua, quando invece è necessario modificare le politiche per il territorio». È lapidario il commento di chi del territorio ha fatto una professione, quei geologi che prendono parola dopo il “piccolo Vajont” che ha colpito il paese di Refrontolo, in Veneto, portandosi via con sé 4 morti e molti danni.
«Ben 6 milioni di persone, in Italia, e 1.260.000 sono gli edifici a rischio frane e alluvioni di cui 6122 scuole e 531 ospedali. In Veneto – sottolinea Vittorio D’Oriano, vicepresidente del Consiglio nazionale dei geologi vivono in zone ad alto rischio idrogeologico – sono ben 525.000 le persone che risiedono in aree ad elevato rischio idrogeologico. In Italia continuiamo ad impermeabilizzare e a far perdere ai nostri terreni la loro capacità di ritenzione idrica con le conseguenti immense difficoltà di dover gestire quantitativi sempre maggiori di acqua che non può più infiltrarsi. Non è un caso se ad ogni pioggia intensa larghe parti del nostro territorio si allagano».
Il presidente geologi del Veneto, Paolo Spagna, rincara la dose sostenendo che «la tragedia di Refrontolo si colloca al centro di un problema idrogeologico più volte evidenziato e che coinvolge tutta l’area collinare dell’Alta Marca trevigiana. I terreni che costituiscono l’impianto geologico del Montello, sono resi oggi ancora più fragili dall’azione intensiva dell’uomo, che riscontrandone il pregio sotto il profilo enologico, in particolare per la coltivazione del pregiato prosecco, interviene massicciamente con sbancamenti per nuovi impianti di vigneti. Se a questo aggiungiamo l’incuria dei boschi e i cambiamenti climatici che portano sempre più spesso ad avere a che fare con le cosiddette “bombe d’acqua”, il pericolo per chi abita quelle zone diventa una certezza».
Questo strano 2014 senza estate ha anticipato una tragedia che generalmente riviviamo, come un déjà vu, ogni autunno e ogni inverno. Tranne il mese, anche il dramma di Refrontolo è però un macabro già visto, e come da copione a inchiostro ancora fresco torna l’appello all’azione. «Si piangono i morti e si seppelliscono – chiosa amaramente D’Oriano – Si ricostruisce, ma non sempre, quanto la furia degli elementi ha danneggiato o distrutto. Ci si mette l’animo in pace. E ci si prepara, più o meno inconsapevolmente, per la prossima emergenza».
Dai vertici istituzionali chi si è sempre impegnato contro il dissesto idrogeologico – come Ermete Realacci ed Erasmo D’Angelis – rivendica meritevolmente l’avvio, previsto entro l’anno, di circa 600 interventi cantierabili per la cura del territorio, con a disposizione fondi per più di 1 miliardo di euro. Si tratta di un’importante segnale di discontinuità rispetto al passato, ma ancora da valutarsi nella sua efficacia.
Al contrario, è già perfettamente interpretabile il messaggio appena arrivato dal Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica (che fa capo alla presidenza del Consiglio di Matteo Renzi): alla vigilia di quella che sarebbe poi diventata “la tragedia di Refrontolo” ha approvato la defiscalizzazione di altri 349 milioni di euro per la realizzazione dell’autostrada Pedemontana, che insiste tra l’altro anche sul territorio veneto. «Dopo aver beneficiato di un miliardo e 50 milioni di avvio pagato dallo Stato, su un costo complessivo di 5,4 miliardi, la Pedemontana – dichiara Dario Balotta responsabile trasporti Legambiente Lombardia – per salvarsi dal default ha costretto il Cipe ad approvare un nuovo consistente aiuto pubblico. Con questo finanziamento cade definitivamente l’alibi di un progetto che doveva basarsi sull’autofinanziamento privato e sulla finanza di progetto. La ricapitalizzazione di Pedemontana dopo essere stata respinta dal mercato perché costosa ed inutile trova ora un insperato sostegno nelle sempre più vuote casse pubbliche».
Si tratta di uno spiegamento di fondi pubblici che, complessivamente – e per una sola autostrada – surclassa quello destinato alla totalità dei cantieri contro il dissesto idrogeologico seminati lungo tutta la Penisola. Nonostante l’estrema necessità di piccole opere per la tutela del territorio (green economy ad alta intensità di lavoro) sia da tempo manifesta per l’Italia, con tutti i risparmi dettati dalla prevenzione che si portano dietro, la tentazione per la “grande opera” è troppo dura a morire, anche nel governo Renzi.