Piscine piene e città a secco: la disuguaglianza tra classi sociali che alimenta la siccità
«L'unico modo per preservare le risorse idriche disponibili è alterare gli stili di vita privilegiati, nonché ridistribuire il reddito e le risorse idriche in modo più equo»
[12 Aprile 2023]
Secondo un nuovo studio pubblicato su Nature da un gruppo di ricercatori provenienti da quattro Università diverse – Università di Uppsala, Vrije Universiteit Amsterdam, Università di Manchester e Università di Reading – i casi di siccità che si moltiplicano nelle città di tutto il mondo nascondono problemi di disuguaglianza ancor prima che di crisi climatica, che pure resta un fattore fondamentale.
«Il nostro studio sostiene che l’unico modo per preservare le risorse idriche disponibili è alterare gli stili di vita privilegiati, limitare l’uso dell’acqua per i servizi, nonché ridistribuire il reddito e le risorse idriche in modo più equo», spiega la ricercatrice Elisa Savelli, di origine italiana ma oggi all’Università svedese di Uppsala.
In altre parole le classi sociali più ricche – con grandi piscine, auto ben lavate e giardini curatissimi – stanno lasciando le comunità più povere senza un accesso di base all’acqua nelle città di tutto il mondo.
Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori sono partiti analizzando l’uso domestico dell’acqua dei residenti urbani a Città del Capo, in Sud Africa, dove nel 2017 una grave siccità si è trasformata in una crisi idrica senza precedenti (nota come Day zero).
Lo studio ha individuato cinque gruppi sociali, che vanno dalla “élite” (persone che vivono in case spaziose con ampi giardini e piscine) agli “abitanti informali” (persone che tendono a vivere in baracche ai margini della città).
I ricercatori hanno dunque scoperto che le famiglie a reddito medio-alto e d’élite costituiscono meno del 14% della popolazione di Città del Capo, ma utilizzano più della metà (51%) dell’acqua, mentre le famiglie informali e a basso reddito rappresentano il 62% della popolazione cittadina ma consumano solo il 27% dell’acqua.
«Anche se il nostro studio è stato costruito sulle caratteristiche socio-economiche e idrologiche di Città del Capo, le dinamiche urbane-idriche modellate sono molto adattabili ad altre città caratterizzate da disuguaglianze socio-economiche e dove le famiglie hanno accesso a fonti idriche pubbliche e private», aggiunge Savelli.
Non a caso i ricercatori hanno evidenziato problemi simili in 80 città in tutto il mondo, tra cui Londra, Miami, Barcellona, Pechino, Tokyo, Melbourne, Istanbul, Il Cairo, Mosca, Bangalore, Chennai, Jakarta, Sydney, Maputo, Harare, San Paolo, Città del Messico e Roma.
«Non c’è nulla di naturale – conclude Savelli – nel consumo e nell’eccessivo sfruttamento delle risorse idriche da parte delle élite urbane e nell’emarginazione idrica di altri gruppi sociali. Invece, le disuguaglianze idriche e le loro conseguenze insostenibili, sono prodotti del nostro sistema politico-economico. L’unico modo per contrastare i modelli insostenibili e ingiusti delle élite è cambiare questo sistema e reinventare una società in cui il consumo eccessivo elitario a spese di altri cittadini o dell’ambiente non sia tollerato».