L'allarme dei geologi
Rischio idrogeologico, alluvione nelle Marche e si vogliono indebolire i fiumi
Servono risorse. Bonelli: tagliare acquisti F-35 e navi militari per 19 miliardi di euro
[3 Dicembre 2013]
Riusciremo a voltare pagina in tema di difesa del suolo e prevenzione del rischio idrogeologico quando la questione sarà affrontata 365 giorni all’anno e magari anche durante un lungo periodo di siccità, che si ripresenterà senza dubbio. Questo per dire che il vero interesse sulla materia (strategica sia dal punto di vista ambientale, economico e sociale) da parte della politica ai più alti livelli, degli amministratori locali, del mondo produttivo, fino ai cittadini, non si misura nella fase immediata post evento, dove prevalgono i drammi, le emozioni, lo scambio di accuse generalizzato, le richieste di aiuto, le giustificazioni senza senso, l’assunzione di impegni che non saranno mai portati a compimento e lo stanziamento di soldi che improvvisamente sono disponibili. Tutto questo scenario si è sempre verificato e nulla poi è in realtà è cambiato.
Gli eventi drammatici però come quelli capitati ieri nelle Marche, in Abruzzo e in Calabria, purtroppo servono a tenere alta l’attenzione mediatica sul tema, con la probabilità maggiore che quanto denunciano e propongono da tempo associazioni ambientaliste e alcuni ordini professionali venga in parte, se non attuato, almeno ascoltato. «Nelle Marche oltre alla forte e dissennata antropizzazione del territorio, soprattutto a scapito delle aree di pertinenza fluviale, è mancata la manutenzione ordinaria dei fiumi e dei fossi minori. Oggi si vorrebbe addirittura togliere la ghiaia dai fiumi: assolutamente no!», ha stigmatizzato Piero Farabollini, Consigliere nazionale dei geologi e professore di Geologia ambientale dell’Università di Camerino.
Il docente ha specificato che lo spirito della legge della Regione Marche “Norme in materia di gestione dei corsi d’acqua” «non va nella direzione dell’escavazione del materiale ghiaioso all’interno dell’alveo ma va nella direzione della necessità di operare attraverso una seria e pianificata programmazione di interventi di pulizia da tutti quei materiali che costituiscono ostacolo o restringimenti al deflusso, senza andare a distruggere la naturalità fluviale».
Farabollini ha spiegato che tra le cause invocate in questi giorni per spiegare le numerose esondazioni avvenute lungo le aste fluviali, è stata più volte richiamata la presenza di materiali ghiaiosi che avrebbero innalzato il letto dei fiumi, riducendo così la sezione di deflusso. «L’asportazione del materiale ghiaioso presente in alveo è sicuramente una delle pratiche più impattanti nel sistema fluviale non solo perché quel materiale andrebbe a ricostruire le nostre coste, ma perché il carico solido grossolano si sposta lungo l’asta fluviale creando barre ed isole ghiaiose che comunque contribuiscono a rallentare la piena e perché altrimenti si intensificherebbero i processi di erosione a monte. Basta ricordare quanto avvenuto negli anni ‘60 nelle Marche a causa dell’escavazione della ghiaia in alveo: briglie, traverse, ponti, acquedotti, canalizzazioni, ecc., divelte dai processi erosivi fluviali innescati proprio da questa pratica. Più importante e necessario, sarebbe invece il contributo della pulizia dei fiumi da alberi, arbusti e quanto altro ostruisce o riduce la sezione fluviale: la pulizia in alveo, con asportazione di alberi e arbusti deve essere selettiva e guidata, anche in collaborazione con altre professionalità (ad es. agronomi), finalizzati alla funzionalità e vocazionalità idraulica dei corpi idrici superficiali». Ecco appunto per intervenire sugli ecosistemi fluviali, anche al fine di ridurre la pericolosità idraulica, sono necessarie competenze multidisciplinari per di evitare di trovare rimedi peggiori del male.
«Nelle situazioni dove ormai è impossibile intervenire perché l’antropizzazione del territorio ha completamente cementificato le aree di pertinenza fluviale – ha aggiunto Gilberto Pambianchi, presidente dell’Associazione italiana di Geografia fisica e Geomorfologia – forse converrebbe ricorrere all’adeguamento degli argini con studi idrogeologici ed idraulici, al ripristino delle aree di pertinenza fluviale, all’aumento delle sezioni fluviali, alle casse di espansione fluviale, attraverso una seria programmazione e pianificazione degli interventi».
Anche i geologi delle Marche hanno sottolineato il problema della carenza di risorse economiche: «La necessità di reperire fondi che vadano nella direzione della prevenzione ai rischi idrogeologici deve essere un preciso impegno da parte degli Enti locali che in primis hanno le competenze di protezione idraulica del territorio- ha concluso Andrea Pignocchi, presidente dell’Ordine dei Geologi della Marche – le poche risorse finora messe in campo non sono sufficienti ad una seria programmazione di interventi di prevenzione e di riduzione del rischio idrogeologico».
Sul tema del reperimento delle risorse per la prevenzione dei vari rischi a cui è sottoposto il territorio italiano, è intervenuto anche il Co-portavoce dei Verdi Angelo Bonelli che ha individuato anche le voci per la copertura delle spese. «E’ urgentissimo un piano straordinario contro il dissesto idrogeologico e il rischio sismico: chiediamo che le coperture per i 4 miliardi nei prossimi 20 anni di euro destinati all’acquisto di navi militari (commi 21 e 22 del maxi-emendamento) e i 15 miliardi destinati all’acquisto degli F-35 vengano immediatamente dirottate su un piano straordinario contro il dissesto idrogeologico che è la vera priorità del Paese- ha sottolineato Bonelli-Le forze parlamentari che hanno a cuore il futuro dell’Italia presentino emendamenti alla legge di stabilità per spostare subito le risorse dalle spese militari alla lotta al dissesto e alla messa in sicurezza dal rischio sismico, interventi che, tra l’altro, possono creare 200 mila posti di lavoro». A fronte del quadro drammatico che ormai quasi quotidianamente abbiamo sotto gli occhi Bonelli chiede: «Cosa aspettano il Governo e il Parlamento per varare un Piano sistematico di interventi negli oltre 6600 mila comuni a rischio? Cos’altro deve succedere prima che si vari una legge per lo Stop al consumo del suolo?».