Rischio idrogeologico, Anbi e geologi resistono: «Ripresenteremo il Piano per la mitigazione»
I fondi non si trovano? Gargano: «Speso solo lo 0,1% delle risorse all’epoca destinate dal C.I.P.E»
[3 Gennaio 2014]
Per affrontare il rischio idrogeologico alzare muri di parole non basta, e l’Italia ne sa qualcosa: era il 1970 (fresco il ricordo dell’alluvione di Firenze) quando la commissione De Marchi presentò un piano di protezione dettagliato, ma rimasto su carta perché senza fondi. Quarantaquattro anni dopo un nuovo tentativo: quest’anno Anbi e geologi ci riprovano, annunciando che presenteranno a breve un progetto d’intervento.
Si tratta del Piano per la mitigazione del rischio idrogeologico «che contiene – scrive Massimo Gargano, Presidente dell’Associazione Nazionale Bonifiche e Irrigazioni (A.N.B.I.) – le azioni proposte e progettate dai Consorzi di bonifica e fatto di migliaia di interventi immediatamente cantierabili e capaci di apportare una significativa riduzione del rischio idrogeologico e un incremento occupazionale. Servono oltre 7 miliardi: una cifra enorme, ma che può essere reperita, utilizzando lo stesso sistema già attuato per il Piano Irriguo Nazionale, cioè mutui quindicennali, a totale carico dello Stato che possono essere erogati sia da Banche che dalla Cassa Depositi e Prestiti. Bisogna però decidere con urgenza, smettendo l’irresponsabile rito di dimenticare il grave dissesto idrogeologico del Paese appena ritorna il sole».
Sette miliardi di euro sono solo una fetta di quei 40 che servirebbero per mettere in sicurezza il territorio italiano, ma sarebbero comunque un inizio importante. Il problema è che anche quando i fondi non si vogliono trovare, e che anche quando ci sono non vengono spesi come dovrebbero. «Gli studi evidenziano che le bombe d’acqua causano i danni più gravi nei pressi degli argini, dove qualcuno, però, continua ad autorizzare costruzioni – ha proseguito Gargano – e non si dica che mancano le risorse, perché è stato speso solo lo 0,1% delle risorse per la salvaguardia idrogeologica, destinate dal C.I.P.E».
«Occorre ripensare le strategie, ridefinire gli obiettivi ed i quadri programmatori, ripensare le politiche e gli strumenti normativi – chiosa Gian Vito Graziano, Presidente Consiglio Nazionale Geologi – e operativi per uscire dal paradosso di un Paese che non riesce a passare dall’emergenza alla gestione ordinaria del territorio. Una politica sostenibile di uso del suolo e di riduzione del rischio idrogeologico non può non passare attraverso una nuova legge di governo del territorio, che prenda a riferimento il bacino idrografico e non più i limiti amministrativi.
Una legge di governo del territorio deve portare con sé una riforma urbanistica, l’implementazione delle reti di monitoraggio, le esperienze positive dei presidi territoriali, la costituzione di uffici geologici locali e, non ultimo, deve saper attribuire con chiarezza competenze, ovvero anche responsabilità».
L. A.