Servizi pubblici e partecipate, le 100 “top utility” italiane valgono il 7,4% del Pil
Un mercato da 120 miliardi di euro, dove operano sia aziende pubbliche sia private: determinante è la buona governance
[28 Gennaio 2016]
Il bistrattato settore dei servizi pubblici, oltre a garantire un operato fondamentale per la cittadinanza, continua a svolgere un ruolo di tutto rispetto anche per quanto riguarda la dimensione economica: il volume d’affari delle prime 100 utility italiane – sia pubbliche sia private, a determinare i buoni risultati è piuttosto un’efficace governance – si attesta nel 2014 a 120 miliardi di euro, contribuendo per il 7,4% del Pil italiano e dando lavoro a oltre 131mila addetti. Cento aziende che rappresentano, nel complesso, il 56% dell’energia elettrica generata in Italia (dati Aeegsi), il 35% dei rifiuti urbani raccolti (Ispra) e il 63% dell’acqua distribuita (Istat).
Sono questi i numeri messi oggi in fila nella quarta edizione del rapporto Top utility analysis, che scatta una fotografia del settore a pochi giorni dall’approvazione (in via preliminare) dei decreti attuativi della riforma Madia, che hanno investito tra l’altro il settore dei servizi pubblici e delle partecipate.
«L’analisi offre un quadro d’insieme che è in continua evoluzione – spiega l’economista Alessandro Marangoni, ceo di Althesys e coordinatore del gruppo di ricerca Top utility – Nonostante un contesto congiunturale e settoriale ancora difficile, non solo si registra una tenuta dei risultati economico-finanziari, ma si affianca anche una crescente attenzione ai temi ambientali, alla trasparenza e alla comunicazione con gli stakeholder».
Secondo il modello di valutazione adottato dal think tank Top utility, autorevole per i soggetti coinvolti ma non ben specificato nelle modalità d’analisi, la migliore azienda in assoluto è risultata nel 2015 Marche Multiservizi (controllata dal gruppo Hera). Più in generale, dallo studio emerge che i settori idrico e ambientale crescono rispetto agli energetici (gas ed elettricità): i ricavi delle aziende, anche a causa del calo dei ricavi del comparto energetico dovuto alla riduzione dei prezzi e dei volumi di gas ed elettricità, sono diminuiti complessivamente del 9%: dai 132 miliardi del 2013 si è passati a 120 miliardi del 2014, mentre le imprese che si occupano esclusivamente della gestione rifiuti e dell’acqua sono cresciute rispettivamente del 7,6% e 6,8%. Gli investimenti, pur diminuendo in termini assoluti, sono rimasti pressoché costanti in proporzione sui ricavi (da 3,5% a 3,4%), scendono in termini assoluti, essendo passati a 4,1 miliardi di euro nel 2014 dai 4,6 del 2013. I maggiori investimenti sono stati fatti dalle imprese del comparto energetico per quasi 2,3 miliardi: queste aziende, forse anche per attrezzarsi meglio ad affrontare il crollo delle commodity energetiche, sono le uniche ad averli aumentati rispetto all’anno precedente (sia in termini assoluti che relativi).
Da migliorare infine l’aspetto relativo al Corporate social responsibility (Csr): l’89% delle “top utility” italiane ha sì adottato il codice etico, ma solo il 33% delle aziende pubblica un proprio bilancio di sostenibilità.