Siccità, Anbi: speriamo nelle piogge, ma il Po non c’è più. Disastro al Nord, Marche da incubo
Coldiretti: 250mila aziende a rischio crack
[29 Luglio 2022]
Nel suo ennesimo e sconfortante bollettino, l’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche spiega che «Nella speranza degli auspicati apporti pluviali da monte, la portata del fiume Po è vicino alla drammatica soglia psicologica dei 100 metri cubi al secondo al rilevamento ferrarese di Pontelagoscuro, che ne decreterebbe la fine dell’immagine di “grande fiume” con tutte le conseguenze soprattutto di carattere ambientale, che ne stanno derivando; basti pensare che il record di portata minima mensile di Luglio (2006) era stata finora di 237 metri cubi al secondo (mc,/sec.), mentre quest’anno ci si attesterà presumibilmente al di sotto di mc./sec. 170! Contestualmente la risalita del cuneo salino sfiora i 40 chilometri dalla foce del Po di Goro durante l’alta marea», Un fenomeno che non riguarda solo il Po ma i tratti terminali della gran parte dei fiumi settentrionali (ultima arrivata, la Livenza in Veneto), intaccando i prelievi ad uso potabile.
Il presidente dell’Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue (ANBI), Francesco Vincenzi, è più che preoccupato: «Nel Nord Italia è una condizione di siccità finora sconosciuta ed è evidente che non basterà qualche temporale a riportare in equilibrio il bilancio idrico In questa prospettiva è ancora più preoccupante che siano proprio Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte, le regioni che, nel 2021, hanno maggiormente consumato e cementificato suolo, sottraendolo all’agricoltura ed alla naturale funzione di ricarica delle falde, accentuando al contempo il rischio idrogeologico».
L’Osservatorio ANBI scandisce le cifre di un disastro climatico, ambientale ed economico al Nord: «Ad eccezione del lago di Como che, pur segnando nuovi record minimi è leggermente risalito dal parametro “riempimento zero” delle scorse settimane (ora 2,4%), i grandi bacini settentrionali si avvicinano al livello (percentuale di riempimento zero), al cui raggiungimento non potrà essere rilasciato un quantitativo d’acqua superiore a quello affluito nell’invaso: Iseo 2,9%; Maggiore 14,1%; Garda 30%. A Nord Ovest è la Dora Baltea, in Valle d’Aosta, a godere di maggiore salute idrologica, mentre cala il torrente Lys e, in Piemonte, i violenti fenomeni temporaleschi hanno portato gravi disagi al territorio, senza sostanziali miglioramenti alla condizione idrica complessiva. Analoga è la situazione in Lombardia, dove il fiume Adda resta su valori praticamente dimezzati rispetto al consueto e le riserve idriche sono il 70% inferiori a quelle dell’anno scorso, segnando -64% rispetto alla media mensile. In Veneto, nonostante una leggera ripresa come per il Piave, il fiume Adige (secondo corso d’acqua italiano) stenta a superare la soglia dei -4 metri sul livello idrometrico. Tra i fiumi appenninici dell’Emilia Romagna restano in grave difficoltà il Reno e l’Enza, mentre il Nure è ormai in secca».
Non va assolutamente meglio al Centro: «In Toscana, fatta eccezione per l’insufficiente ripresa del fiume Serchio che resta molto al di sotto dalla portata minima vitale, i corsi d’acqua ristagnano a livelli di grave sofferenza idrica, esattamente come quelli delle altre regioni del Centro Italia, dove le piogge tardano ad arrivare e le temperature si mantengono su livelli molto alti. Nella Marche riappare lo spettro della siccità estrema, registrata lo scorso anno: i volumi d’acqua, disponibili negli invasi, in una settimana si sono ridotti di quasi un milione e mezzo di metri cubi, scendendo sotto la quota dei 41 milioni, inferiore a quella registrata nella stessa settimana del siccitoso 2017 (42,1 mln mc). A concorrere all’aggravarsi della condizione idrica, oltre alle alte temperature (in Luglio, anche 5 gradi più della media) è un deficit mensile pluviometrico, che si aggira intorno al 90% nelle province di Pesaro Urbino, Ancona ed Ascoli Piceno PU con il record di -98% nel comune di Fano. A causa del grave deficit di pioggia (nel 2022, a Roma è finora piovuto il 63% in meno rispetto alla norma: solo 157 millimetri anziché i consueti mm.422), anche gli alvei di fiumi e bacini del Lazio vedono diminuire la risorsa, che li alimenta: il livello del Tevere è calato di oltre 10 centimetri, l’Aniene ha una portata ridotta fino al 50% rispetto alla media, il Sacco registra minimi storici, i laghi sono in costante decrescita».
Scendendo a Sud la situazione non migliora: «In Abruzzo, il beneficio apportato dalle piogge cadute a Giugno è stato rapidamente vanificato dalla forte evapotraspirazione provocata da temperature fino a 5 gradi superiori alla media, mantenendo così negativo il bilancio idroclimatico regionale. In Campania permane stabile la condizione di siccità nel bacino idrografico dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno, mentre si consolida nella bassa valle del bacino del Sele; si segnalano in deciso calo i volumi idrici nei bacini del Cilento e nel lago di Conza. Infine, a testimonianza del caldo torrido, si distribuisce acqua a pieno regime dai bacini di Basilicata e Puglia: il ritmo è di 2 milioni di metri cubi al giorno in ciascuna regione, assai più di quanto accadesse l’anno scorso (in questo periodo del 2021 gli invasi apulo-lucani distribuivano settimanalmente 9 milioni di metri cubi d’acqua; quest’anno si tocca quota 14 milioni!). Ciò comporta che, in Basilicata, le disponibilità idriche segnano un deficit di quasi 44 milioni di metri cubi sul 2021, mentre quelle pugliesi registrano ancora un saldo positivo di circa 6 milioni».
Secondo un’analisi Coldiretti realizzata sulla base di dati Crea, «Sono quasi duecentocinquantamila le aziende agricole italiane, un terzo del totale (34%), che si trovano oggi costrette a produrre in perdita a causa dei rincari scatenati dalla guerra in Ucraina e della siccità. Più di un agricoltore su 10 (13%) sia addirittura in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività. Con la siccità che è andata ad aggravare gli effetti del conflitto in Ucraina, sull’agricoltura italiana si è scatenata una tempesta perfetta con il taglio dei raccolti in media di un terzo».
Da una stima Coldiretti emerge che «Se l’attuale situazione climatica dovesse perdurare ancora a lungo i danni da siccità potrebbero arrivare a 6 miliardi di euro, “bruciando” il 10% del valore della produzione agricola nazionale. Con le piogge praticamente dimezzate nel 2022 e più di ¼ del territorio nazionale (28%) a rischio desertificazione, la produzione di grano in Italia è stimata quest’anno in calo del 30% per effetto della siccità che ha tagliato le rese dal Nord a Sud del Paese, secondo Coldiretti. Ma ad essere in sofferenza sono anche girasole, mais, con percentuali che al Nord arrivano al -45%, e gli altri cereali ma anche i pascoli ormai secchi per l’alimentazione animale. Per ortaggi e frutta in alcuni territori si arriva al -70% con danni alle ciliegie in Puglia ed Emilia Romagna, angurie e meloni e scottati dal caldo in Veneto, pere e albicocche rovinate nel Ferrarese, barbatelle bruciate che perdono le foglie nei vigneti toscani attorno a Firenze, pesche soffocate dalla calura che cadono dai rami prima di riuscire a svilupparsi completamente e giovani ulivi in stress idrico. A cambiare nelle campagne sono state anche le scelte di coltivazione con un calo stimato di diecimila ettari delle semine di riso, che a causa della siccità potrebbero anche perdere un terzo del raccolto. E soffrire il caldo sono anche gli animali nelle fattorie dove le mucche con le alte temperature stanno producendo per lo stress fino al 20% di latte in meno. Problemi anche per gli impianti di acquacoltura, soprattutto nella zona del Delta del Po dove è già andato perso il 20% della produzione di vongole, ma si segnalano danni anche per quella di cozze».
Per il presidente della Coldiretti Ettore Prandini, di fronte alla devastante siccità che stiamo affrontando «Occorre intervenire nell’immediato con misure di emergenza per salvare i raccolti e il futuro di aziende e stalle in grave difficoltà. L’Italia ha bisogno di nuovi invasi per raccogliere l’acqua a servizio dei cittadini e delle attività economiche, come quella agricola che, in presenza di acqua, potrebbe moltiplicare la capacità produttiva in un momento in cui a causa degli effetti della guerra in Ucraina abbiamo bisogno di tutto il nostro potenziale per garantire cibo ai cittadini e ridurre la dipendenza dall’estero».
Il direttore Generale di ANBI, Massimo Gargano, aggiunge; «E’ evidente che là dove le condizioni climatiche registrate negli anni scorsi, nel Sud Italia come in Sardegna, hanno suggerito la creazione di invasi per la raccolta delle acque meteoriche, oggi si riesce a rispondere meglio alle esigenze idriche dei territori E’ un’infrastrutturazione, che deve essere estesa al Centro-Nord Italia, in sintonia con le comunità locali e l’ambiente. Il Piano Laghetti con 223 progetti già cantierabili, proposti da ANBI e Coldiretti, va in questa direzione».
Prandini conclude; «Con l’ANBI abbiamo elaborato un progetto immediatamente cantierabile per la realizzazione di una rete di bacini di accumulo (veri e propri laghetti) per arrivare a raccogliere il 50% dell’acqua dalla pioggia. I laghetti sarebbero realizzati senza cemento, con pietra locale e con le stesse terre di scavo con cui sono stati preparati, per raccogliere l’acqua piovana e utilizzarla in caso di necessità».