Caporalato femminile in Tunisia: la ricerca Cospe sulle tante dimensioni dello sfruttamento
Tra le lavoratrici intervistate ben il 55% ha dichiarato di aver avuto accesso al lavoro attraverso un intermediario uomo, che ne controlla l’accesso e pone queste lavoratrici sotto il suo controllo
[27 Gennaio 2023]
“La donna nasce libera e resta uguale all’uomo nei diritti. Le distinzioni sociali possono basarsi solo sull’utilità comune”. Dopo 230 anni, le parole di Olympe De Gouge sono purtroppo ancora una speranza e non una realtà per molte donne che devono lottare ogni giorno per il riconoscimento dei loro diritti, anche se questi sono sanciti dalle costituzioni degli Stati “moderni”. È il caso delle donne che lavorano in agricoltura e nella pesca in Tunisia, su cui ha indagato e con le quali sta lavorando Cospe nell’ambito del progetto “Faire”.
All’interno del progetto, Cospe ha realizzato una ricerca-azione per conoscere le donne lavoratrici, analizzare insieme a loro le condizioni di ingiustizia sociale e di sfruttamento in cui vivono, e sempre attraverso il metodo qualitativo far emergere i loro bisogni e le loro priorità.
La ricerca, come il progetto, si è sviluppata in 5 regioni della Tunisia (Jendouba, Kasserine, Mahdia, Sidi Bouzid, Sfax), contesti diversi dove il settore agricolo è predominante. Da questa ricerca, complementare a quella di Ugtt (il più grande sindacato tunisino), risulta che Jendouba ad esempio contribuisce alla produzione nazionale del 26% di prodotti lattiero-caseari, il 21% della produzione di cereali e 11% delle patate, mentre Mahdia è nota perché il 68% della sua superficie agricola è composto da olivi e l’83% della superficie è riservata all’arboricoltura. Sfax è il secondo centro economico della Tunisia e la pesca rappresenta un’ importante fonte di reddito La regione contribuisce con il 17,5% alla produzione di pesce acquacoltura in Tunisia.
La ricerca ha indagato la complessità delle dimensioni del lavoro, che per le donne significa anche includere il lavoro domestico, oltre che il lavoro nei campi e nella raccolta di vongole, nella regione costiera di Sfax. Sono 91 le donne intervistate, la maggior parte delle quali avevano tra i 31 e i 50 anni con un alto tasso di non istruzione (53%). Il 78,02% di queste ha riferito di aver lavorato in due o più regioni e in due o più catene di valore.
Tra le lavoratrici intervistate ben il 55% ha dichiarato di aver avuto accesso al lavoro attraverso un intermediario, uomo, che quindi ne controlla l’accesso e pone queste lavoratrici sotto il suo controllo.
Il ruolo degli intermediari, o caporali, che dir si voglia, cambia a seconda delle regioni e soprattutto a seconda della tipologia di coltivazione.
A Sfax, le donne lavorano come raccoglitrici di vongole e accedono direttamente alle aree costiere cambiando di giorno in giorno a seconda del tempo, delle maree e del vento. In questo caso l’intermediario non gestisce l’accesso al lavoro ma è determinante per la vendita del prodotto. Il 58% delle donne ha infatti dichiarato che è l’intermediario che stabilisce il prezzo di vendita. Delle 72 lavoratrici agricole del campione, 69 hanno lavorato illegalmente senza alcun diritto; solo tre lavoratrici della regione di Sidi Bouzid hanno dichiarato che l’agricoltore con cui lavoravano aveva dato loro un contratto regolare.
Inoltre, l’utilizzo generalizzato di pesticidi espone a problemi di salute le lavoratrici, che non sono quasi mai dotate di dispositivi di sicurezza adeguati. Le condizioni di lavoro delle donne raccoglitrici di vongole non presentano meno rischi per la salute, data l’esposizione totale alle intemperie e all’acqua, che causano molte malattie alla schiena e alle articolazioni. I dati della ricerca, in relazione alle lavoratrici in agricoltura, sono molto chiari: solo il 7,69% ci dice che le misure di igiene e protezione sono fornite dal datore di lavoro.
Il 71% delle donne intervistate ha inoltre dichiarato di aver avuto incidenti o mentre andava al lavoro o sul posto di lavoro. La carenza di misure di protezione è tale che non esistano neppure kit di primo soccorso e quindi in caso di incidente le donne vengono inviate al più vicino centro sanitario di base o rimangono sul posto di lavoro fino al loro ritorno a casa.
Dalla nostra indagine, che seppur limitata è significativa per il contesto tunisino, è emerso che il 49% delle lavoratrici guadagna meno del salario minimo e il restante 51% lo fa occasionalmente. Quasi la metà infatti lavora su base stagionale e questo non per scelta ma per carenza di lavoro nella restante parte dell’anno o perché, come nel caso della pesca, ci sono periodi di riposo biologico quando la pesca è vietata per preservare le risorse marine. La maggior parte delle lavoratrici che lavorano tutto l’anno sono concentrate nelle regioni di Jendouba e Sidi Bouzid, mentre le stagionali sono distribuite tra le regioni di Sfax, Kasserine e Mahdia.
Gli orari e i giorni lavorativi sono particolarmente pesanti: più del 50% delle donne ha dichiarato di lavorare 6 giorni a settimana, mentre il 27,54% lavora 7 giorni alla settimana, senza riposo, e il 17,39% di loro lavora meno di 6 giorni a settimana. La media giornaliera di ore lavorate arriva a 9 ore e 30 minuti se si calcola anche il tempo dovuto agli spostamenti, altro nodo critico e cruciale per descrivere la situazione di sfruttamento. Solo il 14% delle donne intervistate va al lavoro a piedi, mentre il 9% usa il mezzo pubblico, il 10% usa altri mezzi di trasporto come gli animali ma ben il 66% di queste donne sono trasportate da un intermediario.
Incidenti stradali, molestie rendono insicuri tutti i mezzi di trasporto per le lavoratrici. L’insicurezza si trasforma talvolta in violenza verbale e fisica, di cui il 60% delle donne intervistate dichiara di essere stata vittima. Lo spazio in cui le donne riferiscono di soffrire di più la violenza sono i luoghi di lavoro, che rappresentano la percentuale più alta, quasi il 32%. A volte i numeri parlano più forte che le parole: la violenza infatti sembra essere perpetrata ovunque, dalla casa, ai trasporti, al lavoro, tanto che il 21% delle donne dichiara di aver subito violenza in più di un luogo. Rispetto alla violenza sui luoghi di lavoro la percentuale più alta di casi è registrata nella regione di Jendouba: il doppio della media delle altre regioni indagate.
di Cospe per greenreport.it