Il Paese della guerra nello Yemen e che ha grosse responsabilità in quella siriana fa “l’umanitario”
Incredibile ma vero: l’International Humanitarian Forum organizzato dall’Arabia Saudita
Fao:combinare interventi di assistenza con azioni per lo sviluppo per affrontare al meglio le crisi umanitarie
[27 Febbraio 2018]
Per qualcuno deve essere stato abbastanza imbarazzante pattecipare First International Humanitarian Forum a Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita, cioè lo Stato che, con la sua invasione ed i suoi bombardamenti dello Yemen ha creato proprio la più grossa crisi umanitaria del mondo insieme a quella siriana (dove l’Arabia Saudita ha più di uno zampino), E deve essere stato ancora più imbarazzante intervenire al Forum umanitario proprio nel giorno in cui il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non ce l’ha fatta ad approvare una bozza di risoluzione proposta dalla Gran Bretagna che accusava l’Iran di fornire armi agli sciiti huthi yemeniti al potere a Sana’ a. Una risoluzione bloccata da veto della Russia e dal voto Bolivia, mentre Cina e Kazakistan si sono astenuti e gli altri 11 membri, tra permanenti e provvisori, hanno votato a favore. L’ambasciatore russo all’Onu, Vassily Nebenzia, ha spiegato così le ragioni del veto: «Non possiamo concorrere a conclusioni poco assennate e confermare prove che hanno bisogno di verifica e discussione nella commissione delle sanzioni». Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha invece confermato le sanzioni «applicabili a persone o entità che ostacolino la riuscita della transizione politica nello Yemene», che si appliano anche a chi impedisce l’attuazione delle decisioni prese dalla Conferenza del dialogo nazionale o ai mandamnti e agli organizzatori di atti che violano i diritti umani e il diritto umanitario internazionale».
Tra questi ci sarebbero anche i sorridenti principi sauditi che hanno ospitato il First International Humanitarian Forum e che ricevono armi dai Paesi occidentali (Italia compresa) come la Gran Bretagna, che pretendeva però la condanna all’Onu dell’Ira per aver fatto esattamente come il governo britannico: cioè fornito, direttamente o indirettamente, missili a corto raggio, droni ed equipaggiamento militari agli yemeniti. Il problema è che gli iranini non appoggiano il governo fantoccio di Aden, ma alle milizie di Ansarullah, costituite da combattenti Houthi sciiti, che difendono lo Yemen dall’aggressione aerea e terrestre dell’Arabia Saudita e dei suoi alleati, iniziata il 26 marzo 2015. Intanto, l’ambasciatore iraniano all’Onu, Gholamali Khoshroo, ha dichiarato che «Usa e Gran Bretagna stanno cercando di distrarre l’opinione pubblica dai crimini commessi dai loro alleati in Yemen attraverso simili risoluzioni ridicole».
Tornando al First International Humanitarian Forum organizzato improvvidamente a Riyadh, è emerso che, come ha detto il direttore generale della Fao José Graziano da Silva, «La comunità internazionale deve intervenire con maggiore rapidità nelle crisi umanitarie e in modo volto anche a sostenere gli agricoltori, i pastori, i pescatori e gli altri produttori colpiti dalle crisi. La comunità internazionale non è stata sufficientemente efficace nel rispondere alle crisi umanitarie. Per migliorare i risultati, dobbiamo combinare meglio l’assistenza umanitaria con le azioni di sviluppo sul terreno. Per fare questo in modo efficace abbiamo bisogno di forme di finanziamento che incoraggino una più solida collaborazione tra partner del mondo umanitario e del mondo dello sviluppo».
Da Silva ha ance ribadito la necessità di forme di finanziamento più flessibili e prevedibili per fare fronte alle crisi e ha sottolineato che «Anche nelle peggiori situazioni, la popolazione rurale può continuare a produrre cibo per le proprie famiglie e comunità, se sostenuta con aiuti tempestivi e appropriati. Un rapporto Fao del 2017 sull’impatto del conflitto sull’agricoltura siriana, mostra che, nonostante sei anni di violenza, il 75% delle famiglie ha continuato a produrre il proprio cibo. Aiutare le comunità rurali a produrre il proprio cibo permette di evitare che la fame si trasformi in carestia e contribuisce a contenere i costi degli interventi umanitari. Tuttavia, mentre i fondi richiesti per gli interventi umanitari sono quasi triplicati nel 2018, – passando da 8,5 miliardi a 22 miliardi di dollari – , il settore agricolo è stato una delle voci meno finanziate nell’Appello Umanitario delle Nazioni Unite del 2017. Questo nonostante l’evidenza dimostri che investire in agricoltura sia uno strumento fondamentale ed economicamente vantaggioso per affrontare le crisi».
Sembra la descrizione di cosa non è stato fatto nello Yemen bombardato e invaso da anni dai sauditi, del quale però si è preferito non parlare a Riyadh.
Ma le cifre sono ogni giorno più impressionanti. Secondo l’ultimo rapporto Onu sullo Stato della Sicurezza alimentare nel mondo, «Circa 815 milioni di persone soffrono oggi la fame, in forme di diversa intensità» e da Silva ha ricordato che «Fino all’80% delle persone a rischio di insicurezza alimentare acuta legano la propria sopravvivenza a diversi settori dell’agricoltura: coltivazione di cereali, pesca, allevamento, silvicoltura. Quando le crisi scoppiano e la sicurezza alimentare è colpita, l’agricoltura e la produzione di cibo a livello locale non possono venire ignorate, dobbiamo aiutare le persone a mantenere e a recuperare i propri mezzi di sussistenza». Poi ha invitato la platea a riconsiderare l’importanza degli investimenti nella resilienza rurale: «Investire in agricoltura non solo salva delle vite, e protegge i mezzi di sussistenza, ma mette le basi per il ritorno alla normalità e per costruire la resilienza».
Da Silva ha descritto una situazione virtuosa che è l’esatto contrario di cosa è successo nello Yemen (l’ex Arabia Felix): «Risposte rapide ad allerte preventive permettono agli interventi umanitari di avere un maggiore impatto sui mezzi di sussistenza rurali a rischio e ciò richiede investire in azioni precoci o finanziamenti basati sulle previsioni». Per questo la Fao nel 2016 ha stabilito un fondo per l’allerta preventiva e l’azione rapida che permette all’agenzia Onu di intervenire rapidamente per mitigare l’impatto delle crisi sulle popolazioni vulnerabili, come i pastori del Corno d’Africa colpito dalla siccità.
Da Silva ha concluso: «Strumenti come l’Integrated Food Security Phase Classification (IPC) forniscono informazioni chiare sull’evolversi delle crisi alimentari. Dobbiamo agire in tempo e non quando ormai la crisi è stata dichiarata o sta per esserlo. Un migliore coordinamento tra donatori e agenzie sul campo rimane una priorità per evitare duplicazioni e per colmare il gap tra mondo dello sviluppo e quello dell’azione umanitaria».