Aiuti di Stato al nucleare, Realacci: «Anche l’Italia si schieri contro»
L’Austria si appellerà alla Corte europea contro la decisione della Commissione Ue. E noi?
[4 Febbraio 2015]
Nell’Europa del futuro, che al 2030 dovrà raggiungere il 27% della produzione di energia da fonti rinnovabili, non c’è spazio per i sussidi pubblici al nucleare. Una tecnologia vecchia, che non è sostenibile né dal punto di vista ambientale, né sotto il profilo economico. Con queste motivazioni l’Austria si appellerà alla Corte europea contro la decisione della Commissione di autorizzare la Gran Bretagna a concedere aiuti di Stato per la realizzazione della centrale nucleare di Hinkley Point. Una strada che sarebbe auspicabile intraprendesse che anche l’Italia, uscita definitivamente dal nucleare con il referendum del 2011.
Proprio per sapere se il governo intenda o meno presentare ricorso analogo a quello dei cugini austriaci, ho depositato una interrogazione al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai ministri dell’Ambiente e degli Esteri.
Lo scorso ottobre la Commissione europea ha autorizzato il governo britannico ad erogare sussidi a favore della costruenda centrale nucleare di Hinkley Point, nel Somerset. Deliberati come sovvenzioni sul costo dell’energia, che il governo britannico si impegna ad acquistare per 35 anni al prezzo stabile di 92,5 sterline (123 euro) per MW/h equivalente a circa il doppio del prezzo corrente dell’elettricità, gli aiuti sono diventati di fatto fondamentali per la stessa realizzazione della nuova centrale visto il lievitare dei costi di costruzione.
Come già accaduto per gli altri due impianti nucleari in costruzione in Europa, quelli di Flamanville e Olkiluoto, anche per il reattore di Hinkley Point i costi sono infatti esplosi, passando dai 16 miliardi di sterline preventivati agli oltre 24,5 (circa 31,7 miliardi di euro) stimati ad oggi stando ad alcuni articoli del Financial Times. Secondo alcune indiscrezioni del Guardian, inoltre, all’azione austriaca potrebbero accodarsi anche il Lussemburgo e almeno un altro Stato membro. Tanto più che è difficilmente dimostrabile l’interesse comune dell’Unione nella costruzione di un reattore atomico nel Regno Unito e il caso potrebbe costituire un pericoloso precedente da applicare anche alle atre tecnologie per la produzione elettrica e perfino ad altri mercati.
di Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente Territorio e Lavori Pubblici della Camera