Ilva, la Corte dei conti approva il Piano ambientale ma Anonymous attacca l’acciaieria
Gli hacker continuano la loro "Operazione diritti verdi": «Dati estratti da posta privata»
[6 Maggio 2014]
Ancora una volta i membri di Anonymous hanno scelto la notte per colpire. Dopo l’attacco che nei giorni scorsi i membri del gruppo hanno rivolto al sito della toscana Asa spa con l’intenzione di colpire indirettamente il rigassificatore Olt ancorato al largo della costa tra Livorno e Pisa, gli hacker hanno continuato la loro #operationgreenrights mettendo l’acciaieria Ilva di Taranto nel mirino.
In attesa di approfondimenti, pubblichiamo qui di seguito la nota che i membri di Anonymous hanno inviato alla nostra redazione, rivendicando l’attacco: «I colpevoli hanno avvelenato le coscienze e i corpi di chi è stato costretto a vivere per lavorare; hanno tarpato le ali a settori occupazionali che avrebbero altrimenti trovato una rigogliosa espansione; hanno obbligato gli abitanti di un’ intera città a respirare la tossicità dell’accumulazione del Capitale sprezzante dei Diritti Umani. Siamo vicini alle famiglie di chi si è spento, avvelenato dalla sete incondizionata di vili profittatori. Siamo vicini a chi ancora lotta per sopravvivere e trascina ogni giorno la sua malattia, messo spalle al muro da uno Stato che copre la sua sporca coscienza con miseri indennizzi, e dietro le quinte stringe loschi accordi con i padroni. Disprezziamo l’operato di chi, con i propri tentacoli, ha elargito ricatti lavorativi e seminato menzogne cavalcando accordi e deroghe in barba alle leggi sulle emissioni: lucrare sulla pelle dei Cittadini, trincerandosi dietro protocolli d’intesa e burocrazia, è una forma di criminalità legalizzata».
L’offensiva di Anonymous rientra all’interno di quella che gli hacker chiamano Operazione diritti verdi, e che sta coinvolgendo nel mondo numerose siti e attività, dalla coltivazione di alimenti Ogm alla all’aggressione di territori indigeni fino – appunto – ai rigassificatori e alle acciaierie.
La tempistica dell’ultimo attacco di Anonymous non è scelta a caso, anche se non appare azzeccata. Ieri infatti la Corte dei conti italiana si è espressa in merito al Piano ambientale che il Consiglio dei ministri ha approvato a metà marzo, e che adesso potrà presto essere pubblicato in Gazzetta ufficiale. Un testo che lascia sollevate molte perplessità in una parte consistente del mondo ambientalista, ma che almeno rappresenta un passo in più verso il risanamento ambientale dell’area.
«L’approvazione del Piano ambientale dell’Ilva da parte della Corte dei conti – si spinge ad affermare Gian Luca Galletti, ministro dell’Ambiente – permette di guardare con maggiore fiducia al futuro di Taranto e dei suoi cittadini, del polo siderurgico e dei suoi lavoratori. La messa in sicurezza dell’Ilva sotto il profilo ambientale è la base su cui edificare, attraverso il nuovo piano industriale, una realtà nuova e competitiva sul mercato internazionale, che produca puntando sui suoi lavoratori nell’assoluto rispetto della salute e del territorio. E’ questa la grande scommessa che il governo è determinato a vincere».
Ma per giocare la partita, ancor prima che per vincerla, le risorse da mettere sul tavolo da gioco sono tante. Ed è sul loro ammontare e la loro gestione che potrà essere valutata l’azione sull’Ilva. Da dove proverranno dunque, tali denari? «Nell’arco di trenta giorni – sottolinea oggi il Sole24Ore – il commissario dell’Ilva, Enrico Bondi, può rendere noto il piano industriale sulla cui base dovrà chiedere l’aumento di capitale: alla famiglia Riva, anzitutto, che resta proprietaria dell’azienda, e in secondo ordine agli investitori terzi qualora dai Riva ci fosse un rifiuto. C’è anche una terza chance per Bondi ed è il ricorso alla magistratura perché svincoli, ai fini dell’ambientalizzazione, i soldi sequestrati mesi addietro ai Riva (1,9 miliardi) per reati diversi da quelli ambientali».
Il piano per l’Ilva, come evidenzia lo stesso quotidiano di Confindustria, richiede cifre ben maggiori (e tempi estesi, da qui al 2020), stimate in 4,3 miliardi di euro – di cui «solo 1,8 riguardano i lavori dell’Autorizzazione integrata».
Il giudice di Taranto Patrizia Todisco lo scorso luglio firmò per un maxi sequestro da 8,1 miliardi di euro (quasi il doppio delle risorse stimante come necessarie dal Piano, dunque) a carico delle società Riva Acciaio e Riva Energia, sequestro poi annullato in Cassazione. Ma oggi l’ipotesi che la famiglia Riva possa rifiutarsi di partecipare alla realizzazione del piano industriale con un aumento di capitale appare un’ingiustizia morale prima che giuridica, e certamente un punto su cui la verve del premier Renzi e del suo esecutivo potrà – e dovrà – esercitarsi appieno se vorrà tenere dalla sua parte al fiducia dei tarantini e di tutti quanti credono che all’Ilva di Taranto, dopo decenni di mala gestione da parte dei Riva (e l’ormai secolare eredità statale dell’Italsider) sia giunto finalmente il momento di cambiare – in meglio.