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Alla scoperta delle isole Comore, dove i lemuri hanno dovuto fare spazio alle piantagioni

Un esempio molto importante per lo studio di biodiversità, cambiamenti climatici e impatto della popolazione sul territorio
 |  Natura e biodiversità

Le quattro isole che costituiscono l’arcipelago delle Comore si trovano a nord del Madagascar, nel canale del Mozambico, e geologicamente risalgono alla prima deriva dei continenti, cioè a duecento milioni di anni fa.

Sono tutte di origine vulcanica, anche se da millenni i vulcani sono spenti, a eccezione di quello di Karthala che si trova al centro di Grande Comore, l’isola più grande. La sua ultima eruzione risale al 1977 e causò la morte di decine di migliaia di persone, l’evacuazione in massa di gran parte della popolazione verso le altre isole e soprattutto una consistente emigrazione verso la Francia.

Prima del IX secolo le Comore furono colonizzate dagli arabi, che le chiamarono romanticamente “Isole della Luna”. Prima degli arabi alle Comore erano però arrivate alcune popolazioni africane, poi alcune tribù malgasce; nel XVI secolo dalla vicina Tanzania arrivarono piccoli gruppi di etnia bantù, nel 1529 i portoghesi, poi gli olandesi, gli inglesi e infine i francesi, senza dimenticare che le Comore furono un rifugio sicuro per fuorilegge e pirati provenienti da ogni angolo della Terra, dando luogo a un melting pot etnico stupefacente.

Politicamente le isole Comore sono amministrate da due Stati. Da un lato abbiamo l’isola di Mayotte (375 km2 e 256.518 abitanti, secondo un censimento del 2017). Nel 1843 l’isola fu donata alla Francia dal sultano Tsy Lavalou Andriantsouly in cambio di protezione militare, e dopo centotrentuno anni di colonizzazione francese divenne Collectivitè territoriale en France; nel 2000, con un referendum, Mayotte divenne a tutti gli effetti territorio francese.

Dall’altro lato abbiamo la Repubblica federale islamica delle Comore (752.438 abitanti secondo un censimento del 2009), costituita dall’isola delle Grande Comore (2.605 km2), in cui si trova la capitale Moroni, dall’isola di Anjouan (425 km2) e dall’isola di Mohéli (290 km2).

Nonostante la lunga colonizzazione prima araba e poi francese fino al 1974, e nonostante ripetuti e violenti colpi di stato, golpe, ribellioni e colpi di mano militari guidati negli ultimi decenni del secolo scorso da mercenari francesi con a capo il famoso e leggendario Bob Denard, la Repubblica federale islamica delle Comore ha sempre mantenuto un fascino molto particolare e misterioso, che spinge pochissimi studiosi e turisti temerari a visitarla.

Infatti le Comore non sono una meta turistica. Su queste isole tutto è ripido e scosceso e praticamente non esistono pianure; nonostante ciò, restano paesaggisticamente interessanti e molto diverse le une dalle altre.

Nonostante le loro bellezze, prima che arrivassero le motoseghe per saccheggiare foreste intere del loro preziosissimo legname, erano arrivate le piantagioni non autoctone delle palme da cocco, ma soprattutto del chiodo di garofano che ancora oggi viene esportato in tutto il mondo; successivamente ne furono impiantate altre, principalmente di arancia, di agave, di cacao, di noce moscata, di cannella, di banane e di manioca, per non parlare dello ylang-ylang, un ipotensivo molto efficace e, si dice, anche afrodisiaco.

Queste coltivazioni hanno determinato l’estinzione delle foreste rimaste, però gli abitanti del luogo questi frutti li vedono solo sulle piante: infatti essi vengono tutti regolarmente esportati a beneficio di pochi.

Le Comore potrebbero costituire un esempio molto importante per lo studio della biodiversità, degli effetti dei cambiamenti climatici sul territorio e del rapporto tra l’incremento della popolazione umana e l’impatto che ciò comporta sulla flora autoctona, la quale può beneficiare di una precipitazione annua altissima, circa tremila millimetri, che comunque va in massima parte dispersa e quindi non a beneficio dell’ambiente in generale e delle persone.

Mohéli è l’isola più fertile delle Comore ed è anche quella in cui si può saltuariamente intravedere ancora una scimmia, esattamente una proscimmia: il Lemur mongoz, che comunque è irrimediabilmente in via di estinzione. Su quest’isola sono state impiantate alcune piantagioni di noce di cocco e di chiodo di garofano e non ci sono strade asfaltate; ciò ha giovato alla conservazione naturalistica del luogo, anche se la popolazione locale non è molto sensibile alle problematiche ambientali. In effetti ha altri problemi a cui pensare, legati soprattutto alla sopravvivenza alimentare.

In un’altra isola delle Comore, Anjouan, i pochi lemuri rimasti della stessa specie di quelli di Mohéli sono anch’essi in via di estinzione. Dato che il luogo consente un’agricoltura più ampia, le possibilità della loro sopravvivenza sono ridotte al lumicino.

Dell’isola principale, Grande Comore, è meglio non parlare: qui delle scimmie non c’è nemmeno l’ombra e tutto quello che ci poteva essere di naturalistico è stato distrutto da tempo. C’è soltanto molta povertà.

Se vogliamo cercare un po’ di sensibilità ambientale da parte della gente non rimane che Mayotte, che non produce assolutamente niente se non un po’ di pesca, cui si aggiungono le entrate di un turismo francese molto marginale.

Mayotte conserva ancora al suo interno delle piccole foreste in cui è facile incrociare una specie di proscimmia che non si trova più né a Mohéli, né a Anjouan: si tratta del Lemur fulvus, di cui esistono cinque sottospecie che territorialmente non si incrociano mai o quasi, nonostante il territorio in cui si trovano sia molto piccolo.

Il Lemur fulvus vive nella foresta primaria, in quella a canopie e in luoghi in cui è presente una pianta tipica del luogo, il Tamarandus indica. Questo lemure è talmente temerario che non prova nessun timore dell’uomo: salta istantaneamente sulle spalle per elemosinare qualcosa da mangiare, soprattutto le banane di cui va ghiottissimo.

Angelo Tartabini

Angelo Tartabini, già professore ordinario di psicologia generale presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell'Università di Parma, in passato ha svolto attività di ricerca in Giappone, Olanda, Stati Uniti, Sud Africa, Canada e Inghilterra. E' autore di più di duecento pubblicazioni e di 16 volumi, tra i quali: Il mondo delle scimmie (Muzzio), L'uomo allo specchio (Il Pensiero Scientifico), Cannibalismo e antropofagia (Mursia), Una scimmia in tutti noi (B. Mondadori), Fondamenti di Psicologia evoluzionistica (Liguori), L'uomo scimmia (McGraw-Hill).