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L’ambiente oggi
[3 Marzo 2014]
L’ ambiente è stato spesso negli ultimi anni al centro di vivaci polemiche e controversie politiche a livello nazionale e comunitario e sempre più anche nelle realtà regionali e locali. Se in talune stagioni i contrasti hanno riguardato principalmente il merito delle questioni, sempre di più però essi hanno investito il ruolo controverso delle istituzioni. L’approdo lo si registra oggi con il fallimento del titolo V. Negli ultimissimi anni d’altronde è stato difficile persino inserire l’ambiente nell’agenda politica. Il governo Monti è stato sotto questo profilo esemplare, tanto più che ereditava dal governo precedente una gestione rovinosa come quella della Prestigiacomo, che avrebbe richiesto urgenti rimedi su tutto l’arco dei problemi, dal suolo al paesaggio ai parchi ai cambiamenti climatici. Esemplare perché, pur disponendo di un ministro sensibile e competente, lasciò l’agenda del tutto in bianco.
Ma non fecero molto di più e meglio, come sappiamo, neppure quelle forze politiche che un cambiamento lo volevano anche per l’ambiente, perché non se ne ricordarono quasi mai. Tanto è vero che a giudizio di molti vanno ricercate qui, come in talune sconcertanti posizioni e proposte parlamentari, non poche ragioni dei deludenti risultati elettorali.
Il tutto paradossalmente è finito per scaricarsi sulle spalle non solo della ‘politica’ sorda al richiamo e al valore dei beni comuni, ma soprattutto su quelle delle istituzioni decentrate, regioni comprese, che avrebbero – torna il titolo V – impedito allo stato di esercitare efficacemente le sue competenze. Da qui anche il centralismo che ‘torna vincitor’ sbaraccando le province, mettendo la museruola ai piccoli comuni, ridimensionando il ruolo e le competenze regionali a partire da quelle ‘concorrenti’, inventandosi non meglio definite ‘aree vaste’, uno spropositato numero di Città Metropolitane che fanno impallidire quello delle ‘nuove province’, che fecero tanto scandalo da giustificare la loro abrogazione.
Eppure le politiche ambientali, tranne quelle urbanistiche che non hanno mai visto tagliare il traguardo ad una nuova legge nazionale, a partire dal fallimento della legge Sullo, hanno usufruito e hanno potuto avvalersi di importanti e innovative leggi che hanno riguardato via via il mare, il suolo, i fiumi, i parchi e le aree protette, paesaggio compreso. Le coste, le spiagge, gli argini, la natura più pregiata e con essa il paesaggio non soltanto agricolo, collinare e montano, sono stati ricondotti per la prima volta con le acque e i terreni inquinati a norme e strumenti di gestione pianificati, integrati: insomma a politiche di programmazione. A politiche cioè tra le più ostiche per chi considerava e considera tuttora il territorio a disposizione per i propri comodi speculativi.
Fu presto chiaro che non si sarebbe trattato di una gestione facile, tanto che di fronte alla crisi galoppante Ciampi ne tentò un suo rilancio con la ‘Nuova programmazione’, che purtroppo non fini meglio della prima.
La crisi della spesa pubblica in cui siamo precipitati per molti versi ha consentito e comunque indotto molti a cavalcarla pretestuosamente riconducendo ai bilanci tutte le colpe delle più scandalose inadempienze, a partire dal suolo.
Quando poi, come è accaduto anche recentemente, si ‘scopre’ che, nonostante questi pesanti tagli, in diversi casi non si è riusciti a utilizzare le risorse pur modeste disponibili, perché non si è stati capaci (e spesso neppure ci si è provati) a mettere mano ai relativi progetti di intervento, non c’è scusa che tenga. Vale per i bacini idrografici di cui in molti casi da anni si sono perse persino le tracce dei confini, ma anche per i parchi soprattutto nazionali che nella maggior parte dei casi non hanno dovuto fare solo i conti con i tagli ma anche con i commissariamenti, vincoli burocratici senza senso che a tutto hanno saputo e potuto puntare, tranne che a quel piano che, come per le autorità di bacino, è la condizione fondamentale di una gestione degna di questo nome.
Naturalmente questo ‘fallimento’ non è riconducibile unicamente alla stato e ai governi nazionali perché le regioni e gli enti locali vi hanno concorso non poco sia pure in misura e con responsabilità assai diversificate.
Ed è noto come da più parti si sta sostenendo che il nuovo Titolo V dovrebbe riuscire a liberare il governo del paese dalle sovrapposizioni di competenze e responsabilità tra i diversi livelli istituzionali che hanno prodotto intoppi, allungamento spropositato dei tempi amministrativi e una moltiplicazione impressionante delle controversie costituzionali sempre più paralizzanti, che hanno ridicolizzato e vanificato il principio costituzionale della ‘leale collaborazione’, come ha recentemente affermato il presidente della Corte Costituzionale Gaetano Silvestri.
Le premesse al momento sono però tutt’altro che chiare e rassicuranti, perché per più materie da meglio definire, come ha detto il presidente Silvestri, più forti sono le pressioni perché la titolarità torni o torni più nettamente allo stato. Le regioni sarebbero sempre meno affidabili anche sotto il profilo etico, quasi che lo stato potesse dare esempi migliori e più edificanti. Lo stesso e indispensabile superamento del bicameralismo perfetto si sta caricando di ipotesi ben poco convincenti rispetto a quella Camera delle autonomie che finalmente come in altri paesi europei dovrebbe collocare regioni e autonomie locali su un piano di pari dignità con lo stato, come stabilisce la Costituzione.
Non si fatica a capire quanto questa complessa partita riguardi in particolare l’ambiente e le sue politiche, che proprio in questo irrisolto passaggio hanno pagato un pesante scotto. Senza riandare tanto indietro abbiamo forse dimenticato che ci sono ancora leggi in discussione che prevedono di sfrattare le regioni da qualsiasi competenza sulle aree protette marine (ma neppure sulle altre si largheggia) o di consentire interventi all’interno dei parchi di fatto incompatibili ma autorizzabili se si paga dazio? Qualcuno ricorda nelle infuocate polemiche sul paesaggio e i suoi disastri che i parchi non devono più occuparsene nei loro piani, dopo che la Convenzione Europea ha stabilito che tutto il territorio va considerato paesaggio e perciò tutelato? Eppure questa norma sta scritta nel nuovo Codice dei beni culturali, che si disse avrebbe rimesso le cose sulla retta via. Risulta a qualcuno?
Su questo scoraggiante scenario si era finalmente registrata qualche significativa e importante novità introdotta dal ministro Orlando, che aveva per così dire riaperto i giochi e la partita. Sui parchi ma anche in altri ambiti e sempre più in connessione con le scelte e decisioni europee. E lo aveva fatto ricercando e stimolando contributi culturali e politico-istituzionali che avevano ed hanno riaperto canali e percorsi di cui avevamo perso la memoria.
Il passaggio del testimone del ministero con il nuovo governo, come sappiamo, ha suscitato non poche preoccupazioni, di cui c’è da augurarsi solo che lo spostamento del ministro non significhi l’ennesima chiusura e rinvio dei lavori avviati.
Un punto in ogni caso va comunque chiarito, una volta per tutte. E cioè che il rilancio delle politiche ambientali che oggi urge e che abbraccia, come abbiamo visto, un complesso insieme di nodi, sia riducibile al mantra della green-economy.
Quanto possa far bene all’ambiente lo sanno anche i bambini.
Quello che dobbiamo saper noi è che con qualsiasi tipo di economia serve in premessa una politica ambientale nazionale e oggi anche europea e internazionale che incida sulle scelte economiche innanzitutto prima e non dopo, come il 118 e la protezione civile, e che consenta alla società modi di vivere che non dipendono solo da scelte economiche, sia pure sostenibili. Se avremo parchi accoglienti, boschi sani e fruibili, spiagge non cementificate e mari non inquinati con biodiversità non a rischio, musei che funzionano e molto altro ancora non dipenderà e non potrà dipendere solo dall’economia ancorché sostenibile e non rovinosa e speculativa.
Da qui dobbiamo ripartire riprendendo e rafforzando gli impegni su cui aveva iniziato a lavorare il ministro Orlando.