Brasile: è morto l’indio della buca, l’ultimo superstite del genocidio di un popolo sconosciuto
Era il simbolo del genocidio indigeno in Brasile. OPI: ora proteggere la Terra Indígena Tanaru in suo onore
[29 Agosto 2022]
L’Observatório dos Direitos Humanos dos Povos Indígenas Isolados e de Recente Contato (OPI) ha annunciato che «Un altro indigeno, l’ultimo rappresentante del suo popolo, è morto. Nel recente passato è stato vittima di un atroce processo di sterminio, a seguito dell’installazione di grandi fattorie statali. Ha assistito alla morte del suo popolo, ha perso il suo territorio a causa dei pascoli ed è stato condannato a trascorrere il resto della sua vita in una piccola porzione di foresta interdetta dalla legge, circondata da grandi fattorie nella regione del fiume Corumbiara, in Rondônia. Per aver resistito con estrema determinazione a qualsiasi tentativo di contatto, è morto senza far sapere a quale etnia appartenesse, né le motivazioni delle buche che aveva scavato all’interno della sua casa».
E’ per questo che l’ultimo superstite di un popolo sconosciuto era stato chiamato l’“Índio do Buraco”, l’Indio del Buco” che dopo aver fatto una vita solitaria, sembra aver pianificato la sua morte. All’Opi ricordano che «L’Índio do Buraco aveva espresso chiaramente la sua opzione per l’isolamento senza mai dire una sola parola che consentisse la sua identificazione con qualche lingua indigena nota».
Le prime tracce del suo piccolo popolo erano state trovate a metà degli anni ’90, dal Frente de Proteção Etnoambiental (FPE) Guaporé del Funai. Trovarono case distrutte dai fazendeiros e resti di case che indicavano che erano state abbattute con dei trattori».
Il resto del suo popolo era stato massacrato in una serie di attacchi dagli anni ‘70 in poi, ma si sapeva poco della sua gente perché ha sempre resistito a ogni tentativo di contatto. Era chiamato Índio do Buraco per la sua abitudine di costruire buche profonde, in fondo alle quali spesso conficcava paletti appuntiti, è stato filmato da una team del governo nel 2018 durante un incontro casuale.
Da una relazione del FPE Guaporé del 2021 emerge che «I fazendeiros, come si è scoperto in rapporti successivi, avevano assunto persone per sparare agli indigeni e poi rimuovere le prove dal villaggio con i trattori, cercando di nascondere la loro presenza alle indagini del team del FPE Guaporé. I responsabili del massacro non sono mai stati puniti».
Da allora è cominciata una battaglia legale per garantire la vita dell’indio della bucaE e della foresta rimasta in cui viveva. Alla fine, nel 1997, venne istituita la Terra Indígena (TI) Tanaru, successivamente rinnovata, sempre con decisione del tribunale. Quella attualmente in vigore è l’Ordinanza 1040/2015, del 16 ottobre 2021, che ha prorogato per altri 10 anni l’interdizione dell’area.
All’OPI ora dicono che «Faremo in modo che la foresta che sopravvive ancora nella TI Tanaru sia preservata in memoria della triste storia dell’ennesimo popolo condannato violentemente alla scomparsa. Un altro popolo che lascia il mondo senza condividere i suoi canti. Una storia la cui memoria deve essere trasmessa alle nuove generazioni perché non si ripeta mai. L’OPI continuerà a lottare per garantire che l’indigeno della TI Tanaru abbia pace almeno nella sua morte, che le sue decisioni continuino a essere rispettate e che il suo territorio non sia violato dalla voglia di agrobusiness. La morte dell’ “Índio do Buraco” significa, da un lato, un altro tragico capitolo del persistente processo di genocidio che affligge storicamente i popoli indigeni e, dall’altro, il loro ultimo e più estremo atto di resistenza».
L’OPI chiede che: «Con la sua morte, la TI Tanaru dovrebbe rimanere chiusa almeno fino a quando non saranno effettuati studi archeologici e antropologici sulla cultura materiale e sulle sue modalità di occupazione ambientale. L’area della TI Tanaru deve rimanere conservata come memoriale, per rispetto della traiettoria di resistenza del suo residente solitario e per ricordare a tutti la tragedia del genocidio indigeno, in modo che non si ripeta mai più. E’ necessario garantire che il suo corpo sia rispettato e che il suo ritorno avvenga all’interno della TI Tanaru, affinché il tuo passaggio si svolga nel rispetto delle tue tradizioni culturali, chiaramente espresse nei tuoi ultimi istanti. Possa il lavoro forense essere rapido».
E L’OPI cogli l’occasione di questa triste scomparsa per rendere un omaggio speciale all’indigenista Altair Algayer, «Il rappresentante dei “bianchi” con cui questo individuo ha avuto più rapporti nella vita. È stato da lui e dal suo team che ha ricevuto alcuni strumenti e semi per migliorare la sua qualità di vita. Altair ha rispettato e assicurato la sua autonomia, non ha mai provato un approccio forzato, ha sempre rispettato le sue decisioni di isolamento, considerandolo la massima espressione della sua volontà. Algayer celebrava le sue conquiste con ogni nuovo insediamento o manufatto prodotto, e si preoccupava quotidianamente del benessere dell ‘”Indio del Buco”. Ad Altair, il nostro profondo rispetto». In un libro pubblicato nel 2019, Algayer scriveva: «Penso che sarà lì da solo e avrà le sue difficoltà a sopravvivere dentro (quando invecchierà). Penso che ci stia pensando molto più di noi, pensando a come affronterà questa situazione, perché avrà bisogno di cacciare, cercare qualcosa per nutrirsi. Pensiamo che, forse, in quel momento chiederà aiuto e spero che saremo lì per aiutarlo alla fine della sua vita».
Fiona Watson, direttrice del Dipartimento ricerca e advocacy di Survival International, il TI Tanaru nel 2004 con un team di monitoraggio del governo e che ha scritto un toccante resoconto della sua visita, conclude: «Nessun esterno ha mai saputo il suo nome, e della sua tribù non si sa quasi nulla. Con la sua morte, il genocidio del suo popolo è ora stato completato. Perché di un vero e proprio genocidio si tratta: l’eliminazione deliberata di un intero popolo da parte di allevatori di bestiame affamati di terra e ricchezza. L’uomo della buca è il simbolo sia delle crudeltà e delle violenze inflitte ai popoli indigeni di tutto il mondo nel nome della colonizzazione e del profitto, sia della loro resistenza. Possiamo solo cercare di immaginare gli orrori a cui ha assistito nella sua vita e la solitudine della sua esistenza dopo che il resto della sua tribù morì, ma ha resistito con determinazione a tutti i tentativi di contatto e ha chiarito bene che voleva solo essere lasciato solo Se il presidente Bolsonaro e i suoi alleati dell’agroalimentare l’avranno vinta, questa storia si ripeterà più e più volte fino a quando tutti i popoli indigeni del Paese non saranno stati spazzati via. Il movimento indigeno in Brasile e Survival International faranno tutto il possibile per garantire che ciò non accada».