Brasile: la fine di un governo di patrioti senza nazione o stato
Ma il bolsonarismo sopravviverà a Bolsonaro e la sinistra dovrà farci i conti
[28 Dicembre 2022]
Il Gabinete de Transição Governamental del presidente eletto del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva ha presentato il suo rapporto finale sull’eredità lasciata del governo del presidente neofasciata uscente Jair Messias Bolsonaro ed evidenzia che «Smantellare lo Stato brasiliano è stato il compito in cui Jair Bolsonaro ha avuto maggior successo». . Resta da spiegare perché, nonostante tutto quel che ha combinato, Bolsonaro resti ancora popolare.
Il rapporto di 71 pagine suddivise in 32 voci, che sarà pubblicato ufficialmente il primo gennaio, quando Lula entrerà in carica, evidenzia anche l’evidente sabotaggio messo in piedi dalla destra brasiliana dopo aver perso per un soffio le elezioni al secondo turno: i libri di testo del 2023 non hanno iniziato a essere pubblicati, mancano i medicinali per le farmacie popolari e i vaccini contro le nuove varianti del Covid-19, mancano le risorse per la refezione scolastica, le università sono sull’orlo della chiusura, mancano i fondi per la protezione civile e prevenzione degli incidenti.
Il rapporto del Gabinete de Transição Governamental sottolinea che questi sono solo alcuni esempi di «Una minaccia reale di collasso dei servizi pubblici. Un’eredità socialmente perversa e politicamente antidemocratica, che colpisce soprattutto i più poveri, impattando sulla salute, l’istruzione, l’ambiente, l’occupazione e la lotta contro la fame e la povertà».
Per realizzare il rapporto, dall’8 novembre il gabinetto di transizione del presidente eletto ha mobilitato più di 300 persone e ha concluso i suoi lavori il 22 dicembre, con la consegna del rapporto al futuro presidente. Il giudizio politico è durissimo e l’agenzia IPS lo riassume così «Il governo di estrema destra di Bolsonaro afferma di essere patriottico e rappresentativo della maggioranza conservatrice del Brasile. La sua campagna di rielezione è stata presentata come una battaglia del “bene contro il male”, con uno sfruttamento abusivo della religione. La sua politica è stata in realtà un’azione permanente contro lo Stato, sovvertendo la sua laicità e assoggettando ai suoi scopi le istituzioni statali, che, in molti casi, hanno iniziato ad agire contro le loro missioni originarie».
Il caso più eclatante e<è quello della Fundação Nacional do Índio (Funai), responsabile della tutela dei diritti degli indios e che si è trasformata nel braccio operativo dei fazendeiros e della Bancada Ruralista che li rappresenta in Parlamento. Poi c’è la Fundação Cultural Palmares che avrebbe dovuto valorizzare la cultura afro-brasiliana che invece è stata discriminata. Lo stesso si può dire per molti enti ambientali e culturali.
Il simbolo di questa gestione all’incontrario è stato Sergio Camargo, che ha presieduto la Fundação Cultural Palmares dal novembre 2019 al marzo 2022 e che di definisce «Un nero di destra» e rifiuta la lotta antirazzista come una «Vittimizzazione ingannevole» e sostiene che «La schiavitù è stata benefica per i neri in Brasile, perché vivono meglio degli africani». Il risultato sono state politiche e iniziative che hanno sfavorito la popolazione nera, che rappresenta il 56% del totale di 215 milioni di brasiliani, in particolare attuate contro le comunità quilombola, create dagli schiavi fuggiaschi.
Istituzioni statali che dovrebbero essere super partes, come il Pubblico Ministero, le Forze Armate e la Polizia Federale, sono diventate agenzie governative che sono state messe a servizio dell’interesse personale, familiare o politico di Bolsonaro e del suo entourage. Anche il ministero degli esteri, che nel Brasile post-dittatura ha avuto una lunga e rispettata storia di attivismo internazionale, ha subito un intervento ideologico del clan Bolsonaro, a scapito del prestigio del Brasile all’estero, ridotto a paria, soprattutto per la difesa nei consessi climatici e ambientali dell’aumento della deforestazione amazzonica durante il governo Bolsonaro.
Il risultato è qualcosa che si è visto anche negli Usa con Donald Trump e con i governio di detra nell’est Europa (e che si inizia a intravedere anche nei primi passi del governo Meloni in Italia): un patriottismo che ignora la nazione e che ha un’azione di governo sproporzionatamente concentrata sui suoi sostenitori, contro la coesione nazionale e contro i popoli autoctoni e tradizionali.
Dal 2020, Bolsonaro ha provato ha cercato di legalizzare e promuovere il “garimpo”, l’estrazione quasi sempre illegale di oro e diamanti, nei territori indigeni, ma il Parlamento alla fine – di fronte alle proteste – non ha approvato il suo disegno di legge. Ma i garimpeiros sono stati “tollerati” e hanno proseguito un’attività che ha già avvelenato diversi fiumi amazzonici e provoca la morte di vari gruppi etnici e che è la causa di omicidi, malattie e degrado sociale.
Una delle ultime misure di Bolsonaro, prima di lasciare il governo, è stata quella di autorizzare l’estrazione del legname nei territori indigeni, con quella che ha fatto passare per gestione forestale. E’ una delle numerose misure che il Gabinetto di transizione ha raccomandato di revocare o rivedere subito dopo l’insediamento del nuovo governo, insieme a quelle che hanno ampliato la possibilità di possedere armi, indebolito le politiche ambientali, i diritti sociali e i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Inoltre, il rapporto del Gabinete de Transição Governamental propone di revocare il segreto centenario che Bolsonaro ha imposto su diversi documenti, anche per cose assurde come la sua tessera vaccinale e il processo giudiziario nel quale il figlio maggiore, il senatore Flavio Bolsonaro, è accusato di corruzione.
Nel settore culturale il governo di destra di Bolsonaro ha cercato di sterilizzare leggi ed enti di promozione, impedire meccanismi di finanziamento e avvantaggiare gli unici settori favorevoli al bolsonarismo, come la musica “sertaneja” (rurale o contadina) e i produttori cinematografici revisionisti che cercano di diffondere una falsa versione della storia, in difesa della samguinaria dittatura militare del 1964 – 1985 e dell’estrema destra.
Ma questa azione politica distruttiva, che Bolsonaro aveva durante la sua prima visita presidenziale negli Stati Uniti nel marzo 2019, non ha distrutto la sua popolarità: al secondo turno delle elezioni presidenziali, il 30 ottobre, ha ottenuto 58,2 milioni di voti, il 49,1%. Lula ha vinto per solo l’1,8% e con 60,3 milioni di voti. Per questo quasi tutti gli analisti politici brasiliani pensano che il bolsonarismo sopravviverà come una forte opposizione, anche perché in Parlamento ci sono molti suoi fedeli senatori e deputati e Lula dovrà mettere insieme una maggioranza che dovrà forzatamente comprendere “centrisi” notoriamente inaffidabili.
Il bolsaonarismo potrebbe sopravvivere senza Bolsonaro che, dopo la sconfitta elettorale è caduto in un’apparente depressione restando in gran parte in silenzio e non ha nemmeno attizzato, come fed ce Trump, i suoi sostenitori più radicali che manifestavano contro i presunti brogli di Lula e invocavano un golpe militare per impedire che la sinistra tornasse al potere. La sconfitta sembra avere spento la tracotanza di Bolsonaro e la nuova situazione, con un governo che promuove una gestione almeno efficiente, anche se non brillante, potrebbe riportare l’estrema destra brasiliana ada essere la minoranza che apparentemente è stata in passato.
Bolsonaro, un capitano dell’esercito in pensione, ha vinto le elezioni presidenziali del 2018 con il sostegno dei militari. Ma, secondo un sondaggio dell’istituto internazionale Ipsos, la fiducia dei brasiliani nei loro militari è scesa dal 39% nel 2019 al 30% nel 2022, La media del sondaggio realizzato in 26 Paesi è del 41% di fiducia nelle forze armate e il Brasile supera solo Colombia, Sud Africa e Corea del Sud.
Le proteste golpiste della destra dopo il secondo turno delle elezioni, che hanno bloccato le strade a novembre e dato fuoco ad almeno 5 autobus e 8 auto nella notte del 12 dicembre a Brasilia, hanno sortito un crescente rifiuto popolare. Il 75% degli intervistati dall’Istituto Datafolha il 19 e 20 dicembre ha condannato le manifestazioni violente contro Lula e il 56% ritiene che chi ha preso parte alle proteste filo-golpe debba subire una punizione. Anche la metà degli elettori di Bolsonaro respinge la richiesta di un colpo di stato mlitare per riportare al potere la destra sconfitta nelle urne.