Coldiretti: «I cinghiali sono un pericolo pubblico»
L’Assessore Remaschi promette una nuova legge, ma quella vigente non è stata applicata
[21 Agosto 2015]
«Non è più solo questione di agricoltura ed agricoltori, di danni alle coltivazioni e di devastazione di raccolti che ogni anno si registrano nelle campagne della regione. A rischio c’è la sicurezza dei cittadini» A dirlo è Coldiretti Toscana che definisce i cinghiali «un pericolo pubblico», dopo la tragica morte di un trentanovenne in seguito allo scontro tra la sua auto ed un cinghiale di oltre 100 chili e che gli ha tagliato la strada mentre stava percorrendo la provinciale di Castellina Marittima, al confine tra le province di Pisa e Livorno.
La più grande associazione degli agricoltori chiede «Un’accelerazione degli interventi di riduzione della popolazione concordati con la Regione Toscana». Coldiretti nelle settimane passate aveva alzato i toni della protesta contro l’invasione di cinghiali ottenendo la disponibilità dalla Regione Toscana a risolvere l’emergenza ungulati ed attuare un piano di contenimento.
Secondo gli agricoltori, «Sono 450 mila gli esemplari a piede libero che devastano campi, azzerano le produzioni, sterminano gli allevamenti, mettono a repentaglio la sicurezza stessa dei cittadini e creano conseguenze devastanti anche sull’ambiente contribuendo all’impoverimento della fauna e della flora del bosco e del sottobosco. Insufficienti gli abbattimenti da parte del mondo venatorio: appena 90 mila circa. 100 milioni di euro i danni prodotti in cinque anni ad un ritmo di 20 milioni all’anno».
Tulio Marcelli, presidente Coldiretti Toscana, spiega che «Il numero di cinghiali è raddoppiato nonostante gli abbattimenti che continuano ad essere insufficienti per affrontare un’emergenza di queste proporzioni e di questo impatto. Abbiamo fiducia nel piano che la Regione Toscana ma serve dare immediatamente corpo agli interventi: i cinghiali sono ormai un pericolo pubblico. Sono centinaia, ogni anno, gli incidenti provocati dagli ungulati (4mila dal 2001 al 2008 secondo l’ultimo dato ufficiale). I cinghiali si spingono fino ai centri cittadini, invadono le carreggiate costituendo un pericolo per tutti i cittadini. I cinghiali non devono più essere un pericolo pubblico».
Coldiretti chiede anche la revoca delle zone di rispetto venatorio e nei Parchi «Che rappresentano solo un rifugio” per gli ungulati. Siamo arrivati al punto di non ritorno: bisogna ritrovare la sostenibilità anche catturando all’interno di quelle aree che fino ad oggi sono off-limits per i cacciatori come zone di ripopolamento e parchi o rischiano di non risolvere il problema fino in fondo».
Una convinzione che non trova riscontro nella realtà visto che nelle aree protette dove si attua già il trappolamento e gli abbattimenti selettivi la quantità di cinghiali prelevati è molto più alta che dove si pratica liberamente la caccia, come nel caso emblematico dell’Isola d’Elba, dove il Parco Nazionale cattura e abbatte tre volte più cinghiali dei 300 cacciatori isolani.
Se si crede di risolvere il problema degli ungulati con chi lo ha creato, i cacciatori, si rischia un altro clamoroso fallimento. In un’intervista a La Repubblica l’ assessore regionale all’agricoltura e alle foreste, Marco Remaschi, ha annunciato «Stiamo approntando una legge regionale ad hoc per dimezzare la popolazione degli ungulati presenti in Toscana, almeno 500.000 tra cinghiali, daini, cervi, caprioli che stanno oggettivamente creando enormi difficoltà e danni sia in agricoltura che sul fronte dell’incolumità personale, nelle campagne come nei centri abitati. Stiamo articolando una bozza, la proposta di legge arriverà in consiglio regionale a settembre e chiederemo tempi rapidi per l’approvazione».
Remaschi ha anche ricordato che «Secondo i dati Ispra la media nazionale è di 0,5 ungulati per ettaro, in Toscana sono 20 per ettaro una cifra 40 volte superiore alla media su cui bisogna agire quanto prima». Peccato che la Toscana sia anche la patria della braccata per la caccia al cinghiale.
Remaschi spiega anche che l’aumento dei cinghiali dipende «Dalla mancanza di politiche di contenimento negli ultimi anni» . Ma c’è una qualche confusione: infatti l’assessore regionale annuncia che il contenimento degli ungulati sarà affidato al Corpo Forestale dello Stato (che è in via di dismissione e che nei Parchi non lo ha mai attuato) ma anche «alle associazioni di cacciatori che collaborano alla bozza di legge» insieme a Coldiretti e Confagricoltori ed ai sindaci «coi quali stiamo concertando una legge il più possibile condivisa». Quella che viene annunciata è una caccia “chirurgica” «Verificheremo il numero di ogni specie di ungulati e stabiliremo quanti esemplari abbatterne (…) Sarà di aiuto il passaggio di competenze sulla caccia dalle province alla Regione prevista a fine anno: presenteremo un piano faunistico unico per tutto il territorio toscano, con regole di caccia uniformi».
Quello che Remaschi non dice è che la normativa toscana esistente sugli ungulati – che sarebbe molto avanzata ed efficiente – non è stata praticamente applicata e nessuno si è sognato di rispettare gli indici di densità degli ungulati o ha mai parlato di rispettare davvero gli impegni previsti dalla legge per indicare le aree vocate, dove la presenza dei cinghiali è tollerabile, e quelle non vocate dove si sarebbe dovuti arrivare in tempi rapidi ad una radicale diminuzione della popolazione di suini selvatici, fino all’eradicazione.
Secondo un calcolo di Legambiente Arcipelago Toscano, sarebbe bastato applicare la normativa esistente per portare la popolazione dei cinghiali all’Elba intorno ai 200 esemplari, ma niente è stato fatto se non da parte del Parco Nazionale.
Inoltre, con l’alto tasso riproduttivo dei cinghiali, il dimezzamento della popolazione probabilmente li manterrebbe semplicemente “in salute”, provocando un altro boom demografico grazie alla maggiore disponibilità di cibo.
E’ chiaro che continuare a credere che la caccia sia la soluzione del problema è un errore madornale, visto che il problema lo ha creato, anche perché i cacciatori toscani sono sempre di meno, sempre più vecchi ed hanno bisogno di prede “facili” e abbondanti, che sembra l’identikit di quelli che Coldirette chiama «Un pericolo pubblico».
I cinghiali in alcune aree – a cominciare da quelle protette – hanno ormai un impatto insostenibile sulla biodiversità floristica e faunistica e l’agricoltura, come già fatto in altri Paesi (ad esempio in Francia) bisogna rendere protagonisti della risoluzione del problema gli agricoltori e chi si occupa davvero di gestione faunistica sostenibile, rendendo possibili le catture e gli abbattimenti da parte dei contadini, incrementando gli abbattimenti selettivi e con tecniche diverse dalla braccata, che “tribalizza” i cacciatori, e interrompendo il florido mercato in nero della carne di ungulati. Ma se i Sindaci e i politici regionali si lamentano e poi hanno paura di perdere i voti dei cacciatori, questo continuerà ad essere impossibile e si appronterà magari un’altra buona legge regionale destinata al fallimento come quella vigente ed inapplicata.