Come progettare aree marine protette che tengano il passo con i cambiamenti climatici

Istituire numerose aree marine protette collegate tra loro e che vadano oltre i confini politici

[27 Ottobre 2023]

Lo studio “Integrating climate adaptation and transboundary management: Guidelines for designing climate-smart marine protected areas”, pubblicato su One Earth  da un team internazionale di 50 scienziati e professionisti provenienti dal mondo accademico, organizzazioni ambientaliste e agenzie di gestione delle aree protette provenienti da Stati Uniti, Messico e Australia, ha sviluppato il primo quadro completo per la progettazione di reti di aree marine protette che possono aiutare le specie vulnerabili a sopravvivere mentre il cambiamento climatico porta alla perdita di habitat e delinea le linee guida per i governi per fornire scali protetti lungo i corridoi costieri alle larve alla deriva a lunga distanza di specie come ricci e aragoste, nonché alle specie migratorie, come tartarughe marine e squali.

Il team di ricerca guidato dallo scienziato della conservazione marina Nur Arafeh-Dalmau della Stanford University e delle università del Queensland e della California Los Angeles, evidenzia che «Le linee guida arrivano in un momento critico poiché quasi tutti i paesi del mondo si sono impegnati a proteggere il 30% della terra e del mare entro il 2030. Le aree marine protette e misure di conservazione simili a terra collegano habitat spezzati da generazioni di sviluppo umano o erraticamente divisi da incendi. e ondate di caldo».

Arafeh-Dalmau ricorda che «Fino ad ora, le aree marine protette sono state progettate per la conservazione della biodiversità, ma non necessariamente per la resilienza climatica. Soffrono gli impatti climatici ma non sono progettate per sopportarli».

Come caso di studio, gli autori hanno utilizzato le 21 linee guida biologiche e fisiche presentate nel loro quadro per mappare le protezioni per gli ecosistemi e le specie di alghe giganti in tutto il Southern California Bight, una vasta regione caratterizzata da una graduale curva verso sud-est della costa della California, fino lungo la penisola della Baja California, in Messico. I ricercatori spiegano che «Qui, le foreste di alghe giganti forniscono aree di nursery, riparo dai predatori e dalle tempeste e cibo per centinaia di specie di valore commerciale e culturale». Ma negli ultimi anni, le ondate di caldo marino e i periodi prolungati di basso livello di ossigeno disciolto hanno portato al collasso attività di pesca commercialmente preziose come quella dei calamari giganti e dell’abalone, mettendo a repentaglio i mezzi di sussistenza delle comunità locali.

Sebbene la Baja California ospiti grandi aree marine protette e se ne stia progettandone altre, meno dell’1% delle acque costiere sono integralmente protette e vietano attività estrattive come la pesca o la trivellazione di idrocarburi. In California, le aree marine protette comprendono il 16% delle acque statali, metà delle quali sono completamente protette. Secondo il California Department of Fish and Wildlife, «costituiscono la più grande rete di aree marine protette ecologicamente connesse nel mondo». Ma lo studio fa notare che «La rete non tiene conto del modo in cui le specie si spostano tra gli Stati Uniti e il Messico, il che significa che anche se un Paese protegge le nurseries, tali benefici vanno persi se le protezioni si interrompono per un breve tratto nel Paese vicino dove le larve potrebbero stabilirsi e crescere fino a diventare adulti».

Il co-autore principale Adrian Munguia Vega, genetista dell’università dell’Arizona e all’Applied Genomics Lab in Messico, sottolinea che «Abbiamo progettato un approccio sistematico per aiutare i gestori delle risorse a stare al passo con i tempi e ad anticipare piuttosto che reagire ai cambiamenti climatici. Gran parte di questo dimostra come interi ecosistemi marini e le specie che li abitano siano collegati da correnti oceaniche che non si fermano al confine internazionale. Pertanto, abbiamo bisogno di sforzi coordinati e di protezioni che vadano oltre i confini politici».

Le agenzie governative incaricate di istituire nuove aree marine protette fanno generalmente riferimento a criteri biologici e fisici sviluppati dagli scienziati negli ultimi due decenni. Gli autori dello studio hanno ampliato queste linee guida, andando dal riconoscimento della necessità di affrontare gli adattamenti climatici alla pianificazione esplicita di come potrebbero svolgersi i vari scenari climatici futuri.

«Ad esempio – dicono alla Stanford – oggi i pianificatori della conservazione cercano di concedere tempo sufficiente affinché le specie minacciate si riprendano dalla pesca eccessiva o dalla perdita di habitat prima di consentire attività estrattive o di raccolta, ma pochi modelli hanno preso in considerazione come il peggioramento delle ondate di caldo marino allungherà quel periodo di recupero. Il nuovo quadro impone ai gestori delle risorse marine di valutare se le tempistiche proposte faciliteranno il recupero delle specie vulnerabili nel prossimo decennio o addirittura secolo».

Attualmente, gli enti di gestione valutano anche se le aree protette includano l’intera gamma di habitat di cui le specie regionali hanno bisogno per prosperare. I ricercatori sono convinti che «Nel Southern California Bight, potrebbero dare priorità alla conservazione di una varietà di spiagge sabbiose, piane di marea, scogliere rocciose e foreste di alghe». Oltre alla diversità dell’habitat, lo studio ha dato priorità alla persistenza dell’habitat o alla presenza di un habitat nel tempo e dice che «Considerati “rifugi climatici”, questi habitat spesso subiscono sbalzi di temperatura naturali dovuti alle correnti locali e possono fornire un sollievo costante alle specie che devono affrontare shock termici estremi».

Una delle autrici dello studio, Fiorenza Micheli, a capo dell’Oceans Department  della Stanford University e  condirettrice del Center for Ocean Solutions, ribadisce che «Gli estremi climatici non si fermano ai confini di un’area marina protetta. Se la rete di aree marine protette della California fosse stata progettata tenendo conto del clima, sarebbe diversa».

I ricercatori hanno esaminato decenni di immagini satellitari per mappare la persistenza delle alghe giganti lungo 2.700 chilometri di costa continua nella Southern California Bight e quantificare quanti rifugi sicuri forniscono alle larve generate da oloturie, ricci di mare, abaloni e California sheephead (Semicossyphus pulcher) e hanno scoperto che, «Con gli attuali schemi di protezione, le ondate di caldo marino previste nei prossimi 50 anni distruggeranno l’habitat adatto a queste larve». Gli autori dello studio stimano che «La connettività ecologica, una misura della capacità degli animali di muoversi liberamente da un luogo all’altro, diminuirà di circa la metà, mentre la densità di popolazione potrebbe diminuire fino al 90%. Questo significherebbe pool genetici più piccoli e un maggiore rischio di collasso della popolazione».

I metodi di valutazione convenzionali danno priorità alla protezione delle aree che hanno il maggior numero di specie di alghe. Il nuovo quadro, al contrario, ha identificato i siti in cui le alghe hanno le maggiori possibilità di sopravvivenza e hanno maggiori probabilità di fornire un habitat stabile per la riproduzione di altre specie marine.

Grazie a questi dati, lo studio raccomanda di istituire  «Una serie di aree protette che collegano popolazioni isolate come le perle di una collana lungo la Southern California Bight».

Per Arafeh-Dalamu, che ha documentato la peggiore ondata di caldo marino del Messico dal 2014 al 2016, «Questa strategia del trampolino di lancio può essere molto conveniente ed economica per tutti”, ha affermato,. Forse si ha bisogno di meno aree da proteggere se si sta proteggendo le aree importanti.  Inoltre, la collaborazione tra Paesi può rafforzare la capacità di ricerca e, idealmente, la diplomazia».

La Micheli conclude: «Abbiamo le informazioni e gli strumenti per progettare e attuare la conservazione marina in modo da tenere conto in modo esplicito e proattivo del cambiamento climatico. Ora è il momento di capire dove investire strategicamente nell’espansione e nel rafforzamento della protezione affinché questi ecosistemi abbiano un futuro».