Come sono state sterminate le tartarughe marine embricate: pesca illegale e commercio di carapaci
In 150 anni sterminate 9 milioni si tartarughe embricate. Restano solo 25.000 femmine nidificanti
[5 Aprile 2019]
Quella che era iniziata come una ricerca di dati storici sulle rare tartarughe marine embricate (Eretmochelys imbricata) si è trasformata nello studio“The historical development of complex global trafficking networks for marine wildlife”, pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori di Usa, Giappone e Thailandia che potrebbe aiutare a far luce sull’oscuro mondo della moderna pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (illegal, unreported, and unregulated – Iuu).
Il progetto è iniziato una decina di anni fa quando l’autore senior dello studio, Kyle Van Houtan – allora alla National oceanic and atmospheric administration (Noaa) e oggi direttore scientifico del Monterey Bay Aquarium – stava conducendo un programma di ricerca sulle tartarughe marine alle Hawaii. Lo scienziato spiega che «Il nostro obiettivo era dare alle tartarughe imbricate l’attenzione che meritavano. Le tartarughe marine embricate sono gravemente a rischio in tutto il loro areale, soprattutto a causa delle minacce provenienti dalla raccolta illegale».
Infatti, lo studio ha scoperto che questi rettili marini, gli unici del genere Eretmochelys, che arrivano a 90 cm di lunghezza e a una settantina di Kg, vengono uccise per il commercio del loro magnifico carapace in un numero 6 volte superiore a quel che si credeva prima. Si tratta di animali considerati a rischio critico di estinzione dalla Lista Rossa Iucn.
Van Houtan è davvero affascinato da queste tartarughe: «Hanno anche un collo lungo e sottile che permette loro di cercare cibo nelle cavità tra i rami di corallo in una barriera corallina. Lì trovano spugne, alghe e altri invertebrati» E la principale autrice dello studio, Emily Miller, anche lei del Monterey Bay Aquarium, aggiunge: «Possono davvero modellare una barriera corallina, permettendo alle colonie di corallo e all’ecosistema della barriera di prosperare».
Stime recenti indicano che le femmine nidificanti di tartarughe embricate sono ormai ridotte a meno di 25.000 esemplari in tutti gli oceani del mondo. Dato che la loro carne può essere velenosa, spesso non vengono catturate per mangiarle ma per i loro “gusci” e la Miller fa notare che il carapace davvero prezioso tra quello di tutte le specie di tartarughe marine è solo quello della embricata.
Per migliaia di anni, con i carapaci di tartarughe gli esseri umani hanno realizzato ami da pesca, braccialetti, tagliacarte e pettini: «È traslucido – spiega la Miller – è come se le tartarughe nuotassero con un gioiello sulla schiena. Quella bellezza, purtroppo, è stata la loro maledizione».
Neanche l’avvento della plastica ha salvato le tartarughe marine embricate, anzi i prodotti in tartaruga sono diventati uno status symbol per la nuova classe medio-alta asiatica e i rifiuti marini di plastica si sono aggiunti alle altre minacce.
Fino ad ora, la migliore analisi dei numeri delle tartarughe embricate si basava su dati risalenti solo al 1950. Per capire meglio perché oggi sono così rare servivano più informazioni sulle loro popolazioni anche negli anni e nei secoli precedenti. Un compito assolto da Loren McClenachan un’ecologa storica marina dell’Environmental studies program del Colby College che collabora da tempo con le Miller. E’ cos’ che il team internazionale di ricerca ha potuto utilizzare i dati provenienti dagli archivi di decine di Paesi, alcuni risalenti fino al 1844, riuscendo a fare una stima migliore delle catture di tartarughe embricate.
Van Houtan spiega ancora: «Sapevamo che la parte del leone del commercio la faceva il Giappone, perché per secoli ci sono stati artigiani dediti a lavorare il guscio di tartaruga – noto come bekko – come un gioiello semi-preziosi«, Ma spulciare e mettere insieme i dati dei registri doganali si è rivelato un compito molto pesante: il team di ricerca è dovuto andare in Paesi di diversi continenti, risalire indietro di anni e visionare centinaia e centinaia di pagine di dati storici pubblicati e non pubblicati. Fondamentale è stato il contributo di Yoshikazu Uni, della facoltà di bioindustria dell’università dell’agricoltura di Tokyo che ha trascritto tutti i documenti sul commercio di tartarughe marine presenti negli archivi giapponesi. Van Houtan e la McClenachan si sono poi avvalsi del lavoro di studenti universitari per realizzare e poi curare un database frutto dell’esame di tutti i dati, compresa l’esportazione dei prodotti finiti o delle stesse tartarughe per evitare il doppio conteggio.
La Miller sottolinea che «Con un lavoro di tipo storico, una delle sfide è quella di trovare e riunire delle cose che sono state create e mantenute per uno scopo completamente diverso In questo caso, è diventato un grande esercizio di cura dei dati storici». Grazie a questo enorme e meticoloso lavoro, i ricercatori sono stati in grado di risalire molto più indietro nella storia della pesca e del commercio delle tartarughe embricate.
Ma era solo l’inizio: «Il team ha quindi dovuto tradurre questi dati in biologia, – fa notare Van Houtan – Un dato sull’importazione ci direbbe: “dalle Isole Salomone, l’anno 1876, al Giappone, 1800 chili di gusci”. Ma non sapevamo quante tartarughe significassero. Chili di carapace potrebbero significare un adulto o più giovani».
Quindi i ricercatori hanno cominciato a pesare i carapaci delle tartarughe embricate, molti dei quali sequestrati dalle forze dell’ordine ai bracconieri e la Van Houtan spiega ancora: «E’ stato un processo piuttosto sporco. Abbiamo dovuto fare un po’di preparazione degli esemplari, che in questo caso significava far marcire i gusci in modo da far sì che le piastre scutali – il materiale che viene commerciato – si separassero naturalmente dal carapace». Intuizione giusta che ha dato ai ricercatori molti dettagli per aiutarle a modellare come è cambiata nel tempo la popolazione di tartarughe marine embricate.
La Miller non nasconde la sua soddisfazione: «E’ incredibilmente raro avere 150 anni di dati per qualsiasi cosa, figuriamoci scambiarsi dati per una specie in via di estinzione. Ma nel nostro caso, poiché abbiamo avuto i dati coloniali europei e questi ampi dati giapponesi, siamo stati in grado di vedere molto più indietro nella storia di chiunque altro prima».
La nuova modellazione indica chele tartarughe embricate sono state sfruttate a un livello molto più grande di quanto si pensasse: per i loro carapaci ne sono state massacrate circa 9 milioni che, in 150 anni, rappresentano in media circa 60.000 tartarughe all’anno: più del doppio della stima di tutte le femmine nidificanti che vivono attualmente nel mondo. Lo studio ha anche scoperto che i Paesi che hanno esportato più carapaci di tartarughe embricate sono stati l’Indonesia, le Figi e la Thailandia che da sole rappresentano circa la metà delle esportazioni storiche. Van Houtan fa notare che «Questo non può essere spiegato solo dal fatto che dei Paesi hanno il maggior numero di embricate che vivono nelle loro acque, o che hanno le più grandi aree di pesca, Piuttosto, questo è sovrapponibile all’attuale mappa degli hotspots della pesca Iuu. Il fatto che i modelli di esportazione delle tartarughe e i modelli di pesca Iuu si sovrappongano così fortemente e siano concentrati nel Sud-Est asiatico significa che a guidare questi modelli sono fattori sociali. Questi driver sono problemi di governance e relazioni commerciali di lunga data che formano reti commerciali complesse, contorte e opache. In effetti, la mappa del commercio internazionale di tartarughe dei secoli passati potrebbe aver stabilito le basi per i moderni modelli di pesca Iuu. Sappiamo che queste pratiche Iuu non sono spuntate dall’oggi al domani, ma probabilmente hanno origine da reti e operatori esistenti. Quello che pensiamo di avere trovato in questi 150 anni di dati sulle tartarughe è l’inizio di quelle reti e degli operatori esistenti».
Nella pesca Iuu sono coinvolti bracconieri, pescherecci pirata e le ecomafie, spesso intrecciate a altre attività illegali: «Tratta di esseri umani, traffico di stupefacenti, traffico di armi, traffico di specie selvatiche: queste non sono certo attività non collegate – denuncia Van Houtan – Un migliore monitoraggio di una di queste potrebbe beneficiare del resto. Si tratta di un complicato problema geopolitico. Lavorando insieme attraverso i confini internazionali, possiamo aiutare a limitare il problema e affrontare queste sfide. Ciò significa anche che le persone possono aiutare i venditori di tartarughe embricate e non solo astenendosi dall’acquistare prodotti di tartaruga mentre sono in vacanza. Poiché il traffico di animali selvatici è legato alla pesca Iuu, un’azione che potrebbe avere un impatto ancora maggiore è l’acquisto di prodotti ittici provenienti da un fornitore controllato in modo sostenibile, al fine di orientare la spesa lontano dai potenziali commercianti di tartaruga. Solo in questo modo potremmo aiutare a mantenere un bellissimo guscio di embricata a chi appartiene: un animale vivente, che nuota liberamente in una barriera corallina».