Skip to main content

Confermato che il Covid-19 ha avuto origine nel mercato di animali selvatici di Wuhan

Scoperti scenari alternativi estremamente improbabili. Animal Equality: chiudere tutti i wet market
 |  Natura e biodiversità

Secondo lo studio “The Huanan Seafood Wholesale Market in Wuhan was the early epicenter of the COVID-19 pandemic”, pubblicato su Science da un team internazionale di ricercatori guidato da Michael Worobey, un esperto di evoluzione del virus dell'università dell'Arizona – Tucson, e Kristian Andersen dello  Scripps Research Institute, «Le analisi basate sulle posizioni e sul sequenziamento virale dei primi casi indicano che la pandemia di COVID-19 è iniziata nel mercato all'ingrosso di frutti di mare Huanan di Wuhan, con due salti separati dagli animali all'uomo».

Il team di ricercatori ha quindi confermato che «Gli animali vivi venduti al mercato all'ingrosso di pesce di Huanan a Wuhan, in Cina, sono stati la probabile fonte della pandemia di Covid-19 che ha causato 6,4 milioni di vittime da quando è iniziata quasi tre anni fa».

Lo studio ha tracciato l'inizio della pandemia al mercato di Wuhan, dove volpi, cani procione e altri mammiferi vivi sensibili al virus sono stati venduti immediatamente prima dell'inizio della pandemia. I loro risultati sono esposti anche in un secondo studio,”The molecular epidemiology of multiple zoonotic origins of SARS-CoV-2”, pubblicato sempre su Science da un team guidato da  Jonathan Pekar e Joel Wertheim dell'università della California - San Diego, e Marc Suchard dell'università della California - Los Angeles e da Andersen e Worobey, è un'analisi dei dati genomici dei primi casi di SARS-CoV-2. Le due pubblicazioni includono ulteriori analisi e conclusioni, eliminano virtualmente scenari alternativi che erano stati suggeriti come origini della pandemia. Inoltre, gli autori concludono che  «La prima diffusione all'uomo dagli animali è avvenuta probabilmente in due eventi di trasmissione separati nel mercato di Huanan alla fine di novembre 2019».

Il primo studio ha esaminato il modello geografico dei casi di Covid-19 nel primo mese dell'epidemia, dicembre 2019 e i ricercatori sono stati in grado di determinare le posizioni di quasi tutti dei 174 casi di Covid-19 identificati dall'Organizzazione mondiale della sanità, 155 dei quali erano a Wuhan. All’università dell’Arizona evidenziano che «Le analisi hanno dimostrato che questi casi erano strettamente raggruppati intorno al mercato di Huanan, mentre i casi successivi erano ampiamente dispersi in tutta Wuhan, una città di 11 milioni di persone». In particolare, i ricercatori hanno scoperto che «Una percentuale impressionante di pazienti Covid precoci senza alcun legame noto con il mercato, il che significa che non lavoravano lì né facevano acquisti lì, viveva vicino al mercato». Worobey  ha detto che «Questo supporta l'idea che il mercato sia stato l'epicentro dell'epidemia, con i venditori che sono stati infettati per primi e hanno innescato una catena di infezioni tra i membri della comunità nell'area circostante. In una città che si estende su più di 3.000 miglia quadrate, l'area con la più alta probabilità di contenere la casa di qualcuno che ha avuto uno dei primi casi di Covid-19 al mondo era un'area di pochi isolati, con il mercato di Huanan al suo interno».

Una conclusione supportata da un altro risultato. Come spiega ancora Worobey: «Quando gli autori dello studio hanno esaminato la distribuzione geografica dei successivi casi di Covid, da gennaio e febbraio 2020, hanno trovato un modello "polar opposite". Mentre i casi di dicembre 2019 sono stati mappati "come un bersaglio" sul mercato, i casi successivi hanno coinciso con le aree a più alta densità di popolazione di Wuhan. Questo ci dice che il virus non stava circolando in modo criptico. Ha davvero avuto origine in quel mercato e si è diffuso da lì». Poi, Worobey e i suoi collaboratori hanno affrontato la questione se le autorità sanitarie cinesi abbiano trovato casi nel mercato semplicemente perché è lì che hanno cercato. «E’ importante rendersi conto che tutti questi casi erano persone identificate perché ricoverate in ospedale - ha detto Worobey - Nessuno era un caso lieve che avrebbe potuto essere identificato bussando alle porte di persone che vivevano vicino al mercato e chiedendo se si sentivano male. In altre parole, questi pazienti sono stati registrati perché erano in ospedale, non per il luogo in cui vivevano».

Per escludere qualsiasi possibilità di pregiudizio potenzialmente persistente, il team di Worobey ha fatto un ulteriore passo: partendo dal mercato, ha iniziato eliminare i casi dalle sue analisi, allontanandosi dal mercato man mano che procedeva, e ha eseguito nuovamente le statistiche. Il risultato è stato che «Anche quando i due terzi dei casi sono stati rimossi, i risultati sono stati gli stessi – sottolinea  Worobey. - Anche in quello scenario, con la maggior parte dei casi rimossa, abbiamo scoperto che i restanti vivevano più vicini al mercato di quanto ci si aspetterebbe se non ci fosse una correlazione geografica tra questi primi casi di Covid e il mercato»,

Lo studio ha anche esaminato campioni di tamponi prelevati dopo la chiusura del mercato di Huanan da superfici del mercato, come pavimenti e gabbie per animali e «I campioni risultati positivi al SARS-CoV-2 erano significativamente associati a bancarelle che vendevano fauna selvatica». I ricercatori hanno così determinato che «I mammiferi ora noti per essere suscettibili alla SARS-CoV-2, tra cui volpi rosse, tassi suini e cani procione, venivano venduti vivi al mercato di Huanan nelle settimane precedenti i primi casi registrati di Covid-19». Gli scienziati hanno sviluppato una mappa dettagliata del mercato e hanno dimostrato che «I campioni positivi per SARS-CoV-2 riportati dai ricercatori cinesi all'inizio del 2020 mostravano una chiara associazione con la parte occidentale del mercato, dove alla fine del 2019 venivano venduti animali vivi o appena macellati».

Andersen, co-autore senior di entrambi gli studi, ricorda che «Gli eventi a monte sono ancora oscuri, ma le nostre analisi delle prove disponibili suggeriscono chiaramente che la pandemia è derivata da infezioni umane iniziali da animali in vendita al mercato all'ingrosso di frutti di mare di Huanan alla fine di novembre 2019».

Nel secondo studio i ricercatori hanno combinato la modellazione epidemica con le analisi della prima evoluzione del virus sulla base dei primi genomi campionati e hanno determinato che «La pandemia, che inizialmente coinvolgeva due lignaggi sottilmente distinti di SARS-CoV-2, probabilmente derivava da almeno due infezioni separate di esseri umani da animali al mercato di Huanan nel novembre 2019 e forse nel dicembre 2019. Le analisi hanno anche suggerito che , in questo periodo, ci sono state molte altre trasmissioni del virus da animale a uomo nel mercato che non si sono manifestate nei casi registrati di COVID-19».

Gli autori delm secondo studio hanno utilizzato una tecnica nota come analisi dell'orologio molecolare, che si basa sul ritmo naturale con cui si verificano le mutazioni genetiche nel tempo, per stabilire un quadro per l'evoluzione dei lignaggi del virus SARS-CoV-2 e hanno scoperto che «Uno scenario di un'introduzione singola del virus negli esseri umani piuttosto che introduzioni multiple non sarebbe coerente con i dati dell'orologio molecolare». Studi precedenti avevano suggerito che un lignaggio del virus - chiamato A e strettamente correlato ai parenti virali nei pipistrelli – avesse dato origine a un secondo lignaggio, chiamato B. Ma per Worobey, secondo i nuovi dati, «E’ più probabile uno scenario in cui i due lignaggi sono saltati dagli animali agli esseri umani in diverse occasioni, entrambi al mercato di Huanan. Altrimenti, il lignaggio A avrebbe dovuto evolversi al rallentatore rispetto al virus del lignaggio B, il che semplicemente non ha senso biologico».

La conclusione è che «I due studi forniscono la prova che il Covid-19 ha avuto origine tramite salti dagli animali all'uomo nel mercato di Huanan, probabilmente in seguito alla trasmissione a quegli animali da pipistrelli portatori di coronavirus in natura o negli allevamenti in Cina. Scienziati e funzionari pubblici dovrebbero cercare di avere una migliore comprensione del commercio di fauna selvatica in Cina e altrove e promuovere test più completi sugli animali vivi venduti nei mercati per ridurre il rischio di future pandemie».

Commentando i risultati dei due studi, Animal Equality ha denunciato che «Come documentato anche dalle strazianti immagini raccolte e pubblicate nel 2020 e nel 2021 dal team investigativo di in Cina, Vietnam e India, i wet market sono luoghi in cui gli animali vengono trasportati, venduti e uccisi senza protocolli circa la sicurezza alimentare, il benessere degli animali o la salute delle persone coinvolte. Anche grazie alla campagna lanciata nel 2020 da Animal Equality e rivolta alle Nazioni Unite che ha raccolto oltre mezzo milione di firme, nel giugno 2021 l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), l’Organizzazione mondiale per la salute animale (OIE) e il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) hanno chiesto congiuntamente la sospensione su scala globale della vendita di mammiferi vivi e selvatici nei wet market, a causa dell’alto rischio che rappresentano per la trasmissione di malattie zoonotiche».

Alice Trombetta, direttrice esecutiva di Animal Equality Italia, conclude: «Animal Equality ribadisce la necessità di chiudere una volta per tutte questi luoghi dell’orrore dove gli animali e le persone sono in pericolo costante. I wet market non hanno posto nella nostra società e, a fronte di quanto emerso da nuovo studio scientifico dello Scripps Research Institute, a maggior ragione devono cessare di provocare danni agli animali e alla sicurezza globale».

Redazione Greenreport

Greenreport conta, oltre che su una propria redazione giornalistica formata sulle tematiche ambientali, anche su collaboratori specializzati nei singoli specifici settori (acqua, aria, rifiuti, energia, trasporti e mobilità parchi e aree protette, ecc….), nonché su una rete capillare di fornitori di notizie, ovvero di vere e proprie «antenne» sul territorio.